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Punch Club - recensione

Prima regola del Punch Club: l'allenamento fa la differenza tra una sonora ripassata e una vittoria che può determinare la fine della Guerra Fredda. Seconda regola del Punch Club: bisogna abbondare con le citazioni, così che ogni ambientazione, dialogo e personaggio non siano altro che un meraviglioso tributo a certi film e serie TV di fine Anni '80 e inizio Anni '90. Terza regola del Punch Club: non esiste nessun Punch Club.



Già, nessun gruppo, palestra o società di allegri e promettenti lottatori in cerca della propria occasione. Il protagonista di questo RPG/gestionale è un tipo solitario, tutto preso dalla sua voglia di vendicare il padre dopo averlo visto morire davanti ai suoi occhi. Il nemico non ha volto, né nome, ma qualcosa gli suggerisce che proseguendo sulle orme paterne, incentrando la propria vita sulla boxe e sui combattimenti in generale, prima o poi arriverà l'occasione per riscattarsi.



L'indifeso infante, suo malgrado testimone di un efferato omicidio, è ora grande abbastanza per vivere da solo e badare a sé stesso. La saga di The Sims, del resto, ha aiutato un po' tutti non appena abbiamo deciso di abbandonare i genitori e metterci in proprio, ricordandoci di ritagliare del tempo per mangiare, dormire quanto basta, fare i bisognini quando necessario. I ragazzi di Lazy Bear Games, minuscolo team di sviluppo con base in Russia e responsabile del gioco, non fanno evidentemente eccezione, dal momento che hanno scelto un approccio molto simile a quello inaugurato dalla saga di Maxis.

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16 marzo 2016 alle 10:40