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The Silver Case HD – Recensione

Partiamo dal principio: Gōichi Suda è un nome che sicuramente non risulterà nuovo alla maggior parte di voi lettori. Egli è il misterioso soggetto conosciuto con il nome d'arte Suda51 che sta a capo della produzione di una gamma di videogiochi fra i più disparati e malati che il mondo videoludico abbia offerto nell'ultimo ventennio.



Alcuni esempi di tale categoria, relativamente recenti, sono sicuramente Killer is Dead, Lollipop Chainsaw, Sine Mora, Shadows Of The Damned e soprattutto il celeberrimo Killer7, quest'ultimo risalente al lontano 2005.



Pochi sanno però che nel 1999, Suda entrò a gamba tesa nel mondo dei videogiochi con un certo The Silver Case, assumendo le vesti del direttore/sceneggiatore e proponendo il titolo su PlayStation.



A distanza di quasi vent'anni, il (capo)lavoro di Grasshoppers Manufacture è stato riproposto su PlayStation 4 in versione HD Remastered, cosa ormai abituale di questi tempi.





Tic tic tic tic tic… Beeeep. Tac-tic-tac-tic… Prrrrr



The Silver Case si colloca quasi inequivocabilmente nel genere delle visual novel, vale a dire in quei giochi che si caratterizzano prevalentemente per la presenza massiccia di dialoghi fra personaggi, scritti in una casella di testo, spesso neanche accompagnati da un parlato.



The Silver Case è però molto di più.
Il gioco alterna infatti fasi prolungate di dialogo o di lettura di documenti (che possono ricoprire anche 6-7 pagine di lettura complete) scritti manualmente al computer, a cervellotiche fasi di investigazione e risoluzione di enigmi.



Arriviamo alle prime (e tendenzialmente uniche) due note dolenti di questo titolo: la prima, e lo si nota dal capo del paragrafo, è il rumore, ridondante e fastidioso, della tastiera da PC che scrive i documenti che dovremo (e dovremmo) leggere; la seconda è l'esplorazione, che si svilupperà in spazi molto ristretti e chiusi, e che si limiterà a una visuale in prima persona che potrà essere ruotata solo in 4 direzioni (nord, sud, est, ovest) e poi portata avanti o indietro.



Il menù delle azioni fattibili è molto legnoso, soprattutto se giocato con il joypad (ricordo che vi è anche una versione su Steam, per chi fosse interessato), e ci permetterà di osservare oggetti, parlare con eventuali compagni al nostro seguito, utilizzare oggetti raccolti, interagire con vari strumenti e così via.
Un gameplay molto limitato, certo, ma comunque unico nel suo genere, ed è questo l'obiettivo principale di Suda51; teniamo conto del fatto che alle soglie del XXI secolo creare gameplay fluidi con un budget limitato corrispondeva inoltre a una cosa praticamente impossibile.





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Pensavi di aver visto tutto, eh?



Il gioco è ambientato nel Giappone “contemporaneo” dell'epoca, rimodellato però con stile noir e la cui collocazione tecnologica temporale risulta ampiamente distorta.
Nel distretto 24, si manifesta una misteriosa catena di omicidi che si pensa possano essere opera di un serial killer chiamato Kamui Uehara (sì, come Hiromi Uehara, la giovane e talentuosa pianista jazz… Che eredità “pesante” NdG), di cui però non si sa assolutamente nulla se non il nome.



Ricopriremo i panni di un giovane investigatore che si troverà ad affrontare numerosi casi apparentemente disgiunti fra loro. Proseguendo con la storia del protagonista, sbloccheremo una seconda modalità denominata Placebo, ovvero una storia parallela alla prima in cui vestiremo i panni di un secondo protagonista diametralmente opposto al precedente, sia come carattere che come approccio alle varie situazioni.



Anche la narrazione in sé e lo spunto artistico appariranno totalmente diversi rispetto alla prima modalità, poiché a scrivere questa sezione del gioco non è stato Suda, ma Sako Kato e Masaki Doka; questo ci permetterà di osservare i casi da più punti di vista, essere coinvolti emotivamente da due modi di agire diversi (che potremo poi invertire cronologicamente nel nostro gameplay) e soprattutto far luce sugli avvenimenti ancora poco chiari.



La storia e la narrazione sono chiaramente il punto di forza di questo titolo. I casi sono tutt'altro che banali sia da risolvere che da pensare, mentre i personaggi (sia i principali che i marginali) sono caratterizzati in maniera sublime, alternando soggetti di una maturità spiazzante a quelli al limite del grottesco, a cui Suda ci avrebbe poi abituato con il proseguo della sua carriera.



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La trama è totalmente degenere e malata in alcuni suoi frangenti, con spiegazioni decisamente prive di senso e di qualsivoglia morale, scene e situazioni quasi disturbanti concettualmente e una immedesimazione del fruitore nei confronti di alcuni personaggi che si rivelerà praticamente inevitabile.
Insomma, stiamo pur sempre parlando di Suda, nonostante alle prime armi e ancora con la frangetta da scolaro modello; anche se retroattivamente: nihil sub sole novum.



The Silver Case, nel 1999, si concludeva qui, con un finale che chiaramente non vi spoileriamo ma che, ai tempi, generò non poche polemiche da parte della critica nipponica.
In questa versione sono stati aggiunti due nuovi capitoli: il primo si svolgerà in un periodo successivo ai due originali, esponendo il seguito del distretto 24; il secondo è invece un capitolo che collega The Silver Case con il suo sequel, The Silver Case: 25 Wards che, nel caso in cui The Silver Case HD dovesse avere successo, verrà riproposto con una remastered o un porting, come già annunciato da Suda stesso.



Continua la lettura su www.playstationbit.com

23 giugno 2017 alle 16:51

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