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Cat Quest – Recensione Nintendo Switch

Uno dei vantaggi di Nintendo Nintendo Switch è la sua natura ibrida di console casalinga/portatile che la rende la piattaforma perfetta per accogliere qualsiasi tipo di titolo indie, e non è un caso che molte software house stiano portando in massa le loro produzioni sull'ultima nata della casa di Kyoto. Tra queste troviamo anche The Gentlebros con il loro Cat Quest, nato per mobile e PC (versione che abbiamo a suo tempo recensito) e solo recentemente approdato anche su Playstation 4 e, appunto, Nintendo Switch. Proprio quest'ultima incarnazione è un esempio lampante di come la console Nintendo sia la piattaforma ideale per certi titoli, dato che coniuga la praticità dei controlli tramite joy-con (al posto dei comandi touch), con la comoda portabilità che PC e PS4 non possono offrire.



È stato quindi un piacere poter provare su Switch il delizioso Cat Quest, rivelatosi uno degli indie più interessanti degli ultimi tempi.



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Dal punto di vista del setting e del comparto narrativo Cat Quest non propone niente di originale, ma anzi punta tutto sul classico e la nostalgia. Come suggerisce il titolo, però, lo fa rivisitando il tutto in salsa felina: il gioco è infatti ambientato in un tipico mondo fantasy, popolato interamente da gatti antropomorfi, con tanto di giochi di parole ricorrenti nei nomi o nei modi di parlare.



La storia inizia con il nostro eroe sorpreso durante un viaggio in barca da un oscuro figuro di nome Drakoth, che senza alcun apparente motivo ne rapisce la sorella e ne distrugge l'imbarcazione, costringendolo a naufragare sulla riva del regno di Felingard. Qui sarà soccorso da Spirry, uno spirito guida che riconoscerà in lui il marchio dei Sangue di Drago, una mitica stirpe di felini capaci di tener testa ai draghi, tornati improvvisamente nel regno a seminare il caos. Inizierà così il viaggio per ritrovare la sorella rapita e sventare i piani del losco Drakoth.



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Come già accennato, la trama ha un sapore volutamente ultraclassico, e in varie occasioni ricorre palesemente a citazioni di altri giochi (evitando spoiler, basti pensare che Sangue di Drago in originale è “Dragonblood”, da cui è impossibile non cogliere l'assonanza con Dragonborn di Skyrim) e in generale vengono toccati vari cliché a cui gli appassionati di giochi fantasy saranno abituati. Verso il finale vengono riservate un paio di sorprese, ma affrontate in maniera molto leggera, in linea con il tono generale dell'avventura. La storia principale è piacevole quanto basta, niente di più. Un peccato per l'ultima boss fight decisamente poco appagante, dopo la quale il gioco ci lascia con un finale davvero troppo aperto; evidentemente gli sviluppatori hanno deciso di tenersi spazio per un eventuale seguito, ma lasciando con l'amaro in bocca.



Per fortuna le numerose missioni secondarie contribuiscono molto a dare sostanza al gioco e, mentre di alcune vi ritroverete financo a saltare i trascurabili dialoghi, altre vi riveleranno alcuni particolari interessanti sul background della storia principale. Le sub quest sono inoltre talmente numerose abbastanza da far dimenticare temporaneamente la storia principale.



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Padroneggiare il sistema di combattimento è davvero semplice, rivelando nella sua semplicità un occhio di riguardo al mobile. Potremo attaccare con l'arma equipaggiata e rotolare via per schivare gli attacchi avversari, opportunamente segnalati da un raggio d'azione di colore rosso; durante l'avventura sbloccheremo vari incantesimi che potremo assegnare a uno dei quattro tasti dorsali. Il tutto starà nell'imparare i pattern di attacco dei vari nemici e saper adattare la nostra offensiva di conseguenza, attaccando e rotolando via al momento giusto. Gli incantesimi consumeranno energia magica, che potremo ripristinare tramite gli attacchi fisici: in questo modo si sarà sempre portati a cercare un equilibrio tra i due tipi di attacco. I vari capi di equipaggiamento consentiranno comunque un minimo spazio alla personalizzazione per chi volesse specializzare il proprio stile di gioco.



Siamo di fronte quindi a un hack ‘n slash dai comandi semplici ma efficaci, e un ritmo di gioco che dà dipendenza e fa scorrere via le ore di gioco come niente fosse. Solo alla lunga potrete sentire una certa stagnazione e ripetitività delle meccaniche, complice anche il level design dei dungeon che non brilla esattamente per originalità. La difficoltà di gioco non è sicuramente alta, ma sarà richiesto comunque un po' di impegno, soprattutto nei momenti in cui verrete sorpresi da più nemici contemporaneamente; attaccare i nemici a testa bassa menando fendenti alla cieca vi porterà inevitabilmente alla schermata di Game Over.



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Visivamente il gioco si presenta in una grafica bidimensionale dallo stile cartoonesco, ben disegnata e dai colori brillanti. Le animazioni non sono certamente ai livelli delle opere di Vanillaware, ma funzionano quanto basta per un prodotto di questo calibro, così come gli sporadici effetti speciali.



La colonna sonora è gradevole e in linea con il mood scanzonato dell'avventura, ma nonostante le composizioni siano efficaci purtroppo alla lunga risultano abbastanza ripetitive.



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Cat Quest è un indie dalla personalità parodistica senza grandi pretese di originalità o profondità, ma risulta comunque un prodotto ben confezionato, simpatico e gradevole, soprattutto per chi vuole passare una decina di ore divertendosi in leggerezza. Il gioco è completamente tradotto in italiano e se non vi dispiace un certo umorismo “cheesy” di cui i dialoghi sono impregnati, assieme al suo aspetto carino saprà strapparvi più di un sorriso mettendovi di buonumore.

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28 novembre 2017 alle 09:00

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