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Brothers: A Tale of Two Sons Remake – Recensione

I due fratelli sono in procinto di compiere un nuovo, vecchio viaggio in coppia per la salvezza del loro genitore virtuale, mentre il loro padre reale li ha salutati per dirigersi altrove, verso A Way Out (2018) prima e It Takes Two (2021) poi. Non si è trattato di abbandono, ma della consapevolezza che questi attuali undicenni possano oggi sfoggiare una certa indipendenza derivante dalle qualità mostrate ieri e riproporle ora con Brothers: A Tale of Two Sons Remake.



Se infatti Josef Fares e i suoi colleghi di Hazelight Studios si sono diretti verso altri mondi, Avantgarden (il fu Ovosonico di Last Day of June) e 505 Games hanno fatto coppia per portare su PlayStation 5 la prima avventura dell'autore svedese. Lo hanno fatto passando da un remake ottenuto grazie a Unreal Engine 5 che sorprende per il risultato, laddove gli altri elementi sono rimasti intoccati a favore di chi voglia conoscere o ritrovare la storia dei due fratelli.



Una fiaba da giocare



Unendo in maniera delicata situazioni tragiche e momenti divertenti, attimi pacati ed eventi drammatici, Brothers: A Tale of Two Sons Remake è una fiaba fatta videogioco a tutti gli effetti. La telecamera passa da un'ambientazione dai colori autunnali apparentemente distesa a un primo piano del piccolo Naiee che piange davanti alla tomba della madre, salvo poi riunirsi al maggiore, Naia, in una casupola. La tragedia dei due fratelli non è infatti terminata, poiché il padre è gravemente malato, anche se una flebile speranza li sostiene ed è incarnata nell'Acqua della Vita, l'unica medicina esistente per curarlo.



Da tali premesse si apre il primo capitolo del libro fiabesco che condurrà il giocatore lungo ambienti diversi eppure accomunati da un velo fantastico e insieme realistico, un percorso di formazione per il quale la meta è soltanto una tappa del viaggio. Controllando ora il minore ora il maggiore dei due, l'utente è portato a scoprire entrambe le loro personalità, a provare empatia per loro strada facendo, scoprendosi curioso del mondo come loro stessi.



Nella fiaba di Starbreeze e Josef Fares, le immagini e le sequenze animate prendono il posto della parola, o per meglio dire dei dialoghi comprensibili a noi esterni; quella di Brothers è infatti una lingua inventata, sussurrata dai personaggi che lo compongono, sicché l'immaginazione del giocatore deve intervenire per amalgamarla ai movimenti che vede sullo schermo.



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Un pad, due controlli, tanti enigmi



Ben prima di Blanc (2023) o di A Way Out per rimanere nel curriculum di Fares, Brothers: A Tale of Two Sons chiede al giocatore di gestire due sistemi di controllo con un solo pad. È come se il DualSense (parlando del remake) fosse diviso nel mezzo da una linea immaginaria e chi lo controlli debba muovere il fratello minore con un lato e il maggiore con l'altro: la fatica mentale richiesta per compiere le azioni in modo quanto più agevole possibile è parte del processo di game design studiato per entrare in contatto con i protagonisti, pertanto nonostante certe spigolosità nelle movenze, rimane la caratteristica madre del gioco.



Lo stratagemma messo in atto per impersonare il duo deve necessariamente rapportarsi con una sola possibilità d'interazione con l'ambiente circostante, mossa che invero non banalizza il gameplay, anzi, rimane in armonia con il messaggio del gioco in generale. Si creano così tanto dei siparietti divertenti, tra Naiee che fa dei dispetti come sputare in un pozzo e Naia pronto a calmare le acque, quanto degli enigmi ambientali funzionali al procedere della narrazione.



Ciò significa che i puzzle legati all'ambiente circostante non siano pensati per spremere le meningi del giocatore, bensì per rafforzare il rapporto tra i fratelli e tra di loro e il giocatore, permettendo a questo ultimo di allenarsi con i controlli; ne deriva una difficoltà tarata verso il basso e dei check point posizionati saggiamente lungo il cammino ancora oggi. Il remake odierno consente anche di condividere l'esperienza con un secondo giocatore in locale, per affrontare la stessa avventura e le stesse emozioni insieme.



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Una nuova luce alla fiaba dei fratelli



Rotti gli ostacoli tecnici imposti dalla generazione PlayStation 3, il remake di Brothers: A Tale of Two Sons sfoggia una resa impressionante sia delle espressioni facciali, sia delle animazioni, totalmente riviste per l'occasione; ogni fase è stata rivista da zero da parte del team italiano, mitigando le rigidità di un gameplay votato alla cooperazione per un singolo giocatore. Ciò permette di esaltare la costruzione delle aree, votate alla verticalità quanto alla profondità – con tanto di opzioni apprezzate per nascondere o accentuare la presenza di un personaggio nascosto da un dato oggetto.



Un sistema di luci e ombre studiato a puntino fa inoltre brillare la fiaba dei due fratelli come mai prima d'ora, con gli ambienti che, seppure non presentando una resa eccelsa delle texture, brillano come mai prima d'ora. La colonna sonora è stata riarrangiata con il supporto di un'orchestra dal vivo, enfatizzandone le note epiche e fantastiche in armonia con la storia tutta.



Trofeisticamente parlando: come undici anni fa



Non sono cambiati invece i 12 trofei totali di Brothers: A Tale of Two Sons Remake che ne comprendono 7 di bronzo, 4 d'argento e 1 d'oro. Una caccia magra per i cacciatori più incalliti, ma per la cui fatica vi rimandiamo alla guida ai trofei dell'epoca firmata PlayStation Bit.




L'articolo Brothers: A Tale of Two Sons Remake – Recensione proviene da PlayStationBit 5.0.

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27 febbraio alle 17:10