Ludomedia è il social network per chi ama i videogiochi. Iscriviti per scoprire un nuovo modo di vivere la tua passione.

talesofmanu condivide alcuni suoi interventi solo con i suoi amici. Se vuoi conoscere talesofmanu, aggiungila agli amici adesso.

talesofmanu
Cover Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty per PS2

ATTENZIONE SPOILER.
Piccola avvertenza: la versione da me giocata in realtà è quella contenuta nella collection hd per Ps3 ma, per comodità e chiarezza, inserisco qui questo parere.

Un rapimento. Un rapimento bello e buono. Questo è ciò che Metal Gear Solid 2 ha riservato alla mia mente. Dalla metà del gioco in poi io ho cessato praticamente di esistere al di là e al di fuori di ciò che potevo vedere e provare attraverso lo schermo. Un viaggio mentale incredibile ed allucinante, fatto di continui cambi di prospettiva e di uno sguardo di variabile profondità sugli eventi narrati, quasi come che un sadico zoom si sia divertito a prendersela comoda nell'alternare, con chirurgica premeditazione, momenti di improvviso ingrandimento a brusche marce indietro, mantenendo sempre alta la tensione ed un costante senso di incertezza.
E cavolo se e quanto mi è piaciuto.
Ma andiamo con ordine.
Esaltata dal giro sulla pirotecnica giostra del primo Mgs, ho riversato su questo titolo attese gargantuesche sebbene non specifiche. Non mi aspettavo di vedere qualcosa piuttosto che qualcos'altro, volevo solo tornare a respirare un po' di aria “metallica”. Lo volevo eccome.
E quando ho assistito all'introduzione, giocabile, ho intuito che anche stavolta non ci sarebbero andati leggeri con me. Quindi ho preso un bel respiro e mi sono “preparata” (certo, come se fosse possibile...) a fare la conoscenza di Jack “Raiden”.
Ve lo dico subito, senza mezzi termini, quel ragazzo mi piace! Non parlo di una cotta per la sua fluente chioma bionda, ma proprio di un apprezzamento globale della sua caratterizzazione, tanto più intenso in quanto maturato nel corso del gioco.
Questo giovane agente della Fox – Hound alla sua prima missione operativa mi ha da subito messa a mio agio. Mi sono sentita come lui, presa e catapultata in un contesto in cui tutto potrebbe essere il contrario di tutto ed ogni nuovo dettaglio potrebbe spalancare baratri inesorabili.
Ho trovato vincente l'idea di farci calare nei panni di un “novellino” (almeno in apparenza...) dopo le esperienze di Shadow Moses.
E' stato come sentirmi dire: “Hai visto cosa è successo nel primo Mgs? Ecco, niente è sicuro, tutto in bilico e molto hai da patire prima di scoprire la verità o, almeno, una parte accettabile della stessa. Quindi ora parti con un basso profilo che hai ancora da farti le ossa, mia cara”.
Una cosa del genere, almeno.
Ma al di là e prima di questa fulminea empatia, la vera carta vincente nel mazzo di Raiden è il suo essere il perfetto protagonista per la specifica storia attorno cui ruota il fulcro del gioco.
In un contesto narrativo, di cui dirò di più oltre, ma che, senza dubbio, ruota intorno alla manipolazione della mente umana e alla distorsione dei mezzi informativi e dei contesti cognitivi ed esteriori al tale scopo, in cui il protagonista è la prima cavia di questi agghiaccianti meccanismi di controllo, avrebbe senza dubbio stonato un personaggi più scafato e smaliziato, un veterano delle missioni operative e delle menzogne mutate in istruzioni, un...uno Snake.
Non fraintendiamo, Solid Snake è stato un sublime protagonista per Mgs, ma non lo avrei visto al suo posto ad essere fautore e vittima inconsapevole degli eventi di questo titolo.
Ed infatti, a testimoniare che non di un rimpiazzo bensì di un tipo totalmente diverso di personaggio si tratta, Raiden verrà affiancato proprio dalla leggenda di Shadow Moses che, qui, avrà il cruciale compito di essere mentore e guida della nuova pedina di biechi giochi di potere.
Tornerà, allora, la nostra leggenda vivente. E tornerà dando vita, peraltro, ad un divertente camuffamento non esente da un tributo citazionista, al fine di non rivelare, fin da subito, a Raiden, la sua vera identità. Il rapporto tra i due sarà grandemente cruciale in quanto attraverso questo passerà molta della presa di coscienza di Raiden sull'esistenza di qualcosa che trascende la verità abilmente manipolata da altri. Qualcosa che sfugge ad ogni controllo e si alimenta solo della nostra fiducia.
Con il trascorrere delle ore di gioco, poi, vedremo Raiden passare per tutta una serie di svolte nella sua maturazione, a beneficio di un legame crescente con il videogiocatore, anch'esso gettato nell'arena senz'altra arma che il proprio istinto di sopravvivenza e il proprio equilibrio interiore.
Vedremo Jack passare da soldato pedissequamente fedele alle istruzioni ricevute, capace di schermare le sue tante incertezze dietro una cieca ubbidienza, ad individuo sospeso in un limbo ben più complesso, a metà strada tra un passato devastante che vorrebbe solo dimenticare e l'impossibilità, però, di proiettarsi nel futuro, appesantito dalla zavorra di così tante cose irrisolte.
Scopriremo la sua infanzia da bambino della guerra, addestrato precocemente alla ferocia e alla freddezza in nome di un cieco istinto di sopravvivenza, in una graduale manipolazione e disumanizzazione tanto capillare dall'aver investito ogni aspetto della sua esistenza.
E allora inizieremo a guardarlo con occhi diversi.
Quando poi cominceremo a realizzare l'ennesima crudele macchinazione inflitta alla sua esistenza, già gravati dal peso di quanto rivelatoci della sua infanzia, e lo vedremo così rigettato nell'ennesimo incubo lucido, con la propria intera identità appesa al sottile filo della sua tenuta psicologica, capiremo veramente la grandezza della sua caratura umana.
Inizieremo a filtrare attraverso ben altre lenti ogni suo gesto e ci troveremo al contempo sofferenti ed ammirati dinanzi a tanta tempra e ad ogni suo pur piccolo passo avanti nella graduale maturazione di un io infine capace infine di resistere ai continui tentativi di soffocarlo perpetrati da forze che sembrano tormentarlo senza soluzione di continuità e di sviluppare qualcosa di ben più grande del mero istinto di sopravvivenza.
Sarà un viaggio lungo e faticoso ma varrà la pena viverlo così, legati a doppio filo al percorso interiore ed esteriore di Jack, proiettati senza sosta in un mulinello di attese tradite e di nuove prospettive, maltrattati ma al contempo ampiamente ricompensati.
E mai sarebbe stato possibile un tale livello di immedesimazione se ci fosse stato offerto un alter ego diverso. Di questo sono certa.
Quella che verremo chiamati a vivere, infatti, sarà una storia di ampissimo respiro, inesorabilmente votata a plasmare la nostra mente al fine di renderci creta nelle sue mani, predisponendoci così alla proiezione, senza filtri, di ogni nostra fibra celebrale sul periglioso terreno artificialmente posto , di volta in volta, sotto i nostri piedi, per poi essere smosso, sgretolato, improvvisamente innalzato o aperto in raggelanti precipizi.
Verremo manipolati tanto quanto Raiden e vivremo così un sodalizio profondo con lui, uniti in una comune lotta di sopravvivenza e di riconquista della signoria sulla nostra mente.
Ad un certo punto del gioco sarà come stringere un'ultima disperata alleanza al riparto di tutte le menzogne e i tradimenti che gli eventi ci pareranno dinanzi.
L'intreccio narrativo è tanto potente che a tratti ho dubitato potesse essere contenuto dai confini di uno schermo.
Parliamo di una storia camaleontica e spietata, capace di celarsi ai nostri occhi e di rivelarsi in affondi improvvisi di lancinante intensità.
Come in un subdolo gioco di potere verremo prima abilmente predisposti con un andamento narrativo molto diluito nelle sessioni di gioco, nel corso del quale saremo premiati con fittizi zuccherini ad ogni rivelazione di cui crederemo di impadronirci. Ci sembrerà quasi di padroneggiarla, la situazione.
Ma, dalla metà del gioco, come detto in apertura, calerà il sipario sulle nostre pallide certezze e se ne innalzerà uno ben più pesante, rivelando l'inconsistenza delle precedenti rivelazioni, negandoci ogni acquisita consapevolezza e catapultandoci in una sciarada che metterà a dura prova la nostra tenuta mentale.
Ogni cosa vivrà una nuova vita in questa incredibile svolta e ci troveremo a bocca aperta dinanzi alla prospettiva di un disegno tanto ampio quanto meticoloso nei dettagli.
Il setting iniziale della nostra missione sarà quello di un'infiltrazione nella piattaforma di decontaminazione “Big Shell” al fine di salvare il Presidente degli Stati Uniti ed un consistente numero di ostaggi dalle grinfie di un gruppo terroristico, i Sons of Liberty, composto da ex membri dell'unità antiterroristica (scusate il gioco di parole) Dead Cell e affiancati da soldati dell'esercito russo.
Semplice, no?
Sbagliato.
Niente si rivelerà ciò che sembra ma tutto avrà un preciso motivo di esistere, quasi che ci trovassimo senza saperlo sul palco di una ambiziosa opera teatrale in cui ad ogni ruolo corrisponde un'elaborata finzione atta a sospendere lo spettatore in una dimensione fittizia eppure reale nella sua percezione.
Ogni elemento introdotto nella narrazione, dagli iconici personaggi alla stessa maestosa ospite delle nostre peregrinazioni, vivrà allora questa dimensione precaria, mutando sotto gli occhi del giocatore in modo improvviso e disarmante.
E alla fine resterà ben poco cui appigliarsi per non cedere alla raggelante consapevolezza di essere stati vittime di una chirurgica decostruzione e ricostruzione cui scopriremo di non aver avuto scampo.
Come luci improvvisamente accese in una fitta oscurità, scopriremo di esserci aggirati nell'Arsenal Gear, enorme mezzo offensivo creato per trasportare i Metal Gear Ray, spietate armi d'assalto votate alla difesa di questo gigante che, lungi dall'essere una mera arma di distruzione di massa, si rivelerà una sofisticata entità capace di controllare e manipolare uno dei beni più preziosi della società moderna, le informazioni, piegandole al volere dei Patriots, misterioso gruppo di dodici potenti che pare celarsi, da secoli, dietro la storia Americana.
Attorno a questo baluardo della sopraffazione di pochi su molti si concentreranno le mire di individui diversi, animati da scopi distorti in quanto a loro volta manipolati, in una spirale senza fine.
Solidus, Vamp, Olga, Fortune, Fatman, Ocelot.
E poi Raiden, Rose, Snake, Otacon, Emma Emmerich.
Solo pedine su una scacchiera posta ben più in alto di quanto il loro sguardo possa giungere a cogliere o consapevoli artefici di qualcosa che trascende le loro mire apparenti?
La risposta non è semplice e, per alcuni, probabilmente, non è interamente contenuta nei lidi virtuali di Metal Gear Solid 2.
Quello che è certo è che li vedremo tutti, ad un certo punto, stretti nella morsa per loro costruita dagli invisibili burattinai noti come Patriots, che sembrano celarsi dietro ogni cosa, tanto ramificati dall'essersi insinuati anche laddove nessuno avrebbe pensato di essere a rischio, nel luogo in cui risiedono la coscienza e la capacità di discernimento.
Le scioccanti rivelazioni di cui saremo testimoni, allora, saranno tanto più maestose in quanto colpiranno in piena faccia anche i personaggi che credevano di avere la verità in pugno. Nessuno sarà al sicuro quando la mannaia calerà a recidere ogni legame ed ogni certezza.
Incontri volutamente ritardati quelli con questi personaggi, che non si riveleranno a noi in toccanti momenti di autocoscienza disseminati durante la narrazione bensì, per la maggior parte, ci attenderanno, con tutta la potenza della loro caratterizzazione prima solo efficacemente accennata, ad un fatidico appuntamento con la verità che sarà, lasciatemelo dire, semplicemente devastante e che, sopratutto, non risparmierà neanche loro, mostrandoceli per quello che sono infine, marionette di altri, consapevoli o no e più o meno capaci di opporre resistenza in eroiche affermazioni di indipendenza.
Non racconterò qui i dettagli della storia. Sapete bene a cosa mi riferisco (ed in caso contrario siete temerari che si stanno sottoponendo a spoiler vari ma vi invito comunque a scoprire il resto da voi) e sarebbe impossibile condensare ed esprimere in modo chiaro cotanta magniloquenza e complessità. Né potrei efficacemente parlare in modo compiuto di ogni personaggio.
Non perché non ne avrei desiderio, non fraintendetemi, ma perché ho la coscienza di riconoscere che, in questo caso, non posso che limitarmi ad un riverente inchino nei confronti di un imponente ed impressionante affresco che, per quanto provi a guardarlo attentamente, sarà sempre capace di rivelare ulteriori dettagli prima sfuggiti al mio sguardo.
Il conflitto tra l'esasperazione indistinta degli ideali di libertà portata avanti da Solidus, affascinante fratellastro genetico di Snake e Liquid, già adepto dei Patriots, per il cui tramite aveva ottenuto la presidenza degli Stati Uniti, ma poi scopertosi animato da ben altri fini, e la disumanizzante idea di controllo globale da questi ultimi perpetrata è quanto mai avvincente ed attuale.
Le opposte idee della libertà che deve trionfare quale che ne sia il prezzo in termini di umana sofferenza o, al contrario, della necessità di passare sotto il filtro di un'impietosa censura persino ciò che trascende la genetica prima di poterlo tramandare, giungendo così ad un controllo che sfocia nella manipolazione dell'animo umano, sono sintomo, volutamente esasperato, della lotta senza quartiere che si combatte nella società moderna tra uomo e macchina, tra artificio e vita, tra annichilente mistificazione ed anarchia indiscriminata e che tanti pericolosi estremismi è in grado di generare.
E se un giorno scoprissimo che qualcuno controlla ogni pur minima informazione con cui veniamo in contatto, sottraendoci così un'infinità di possibilità di conoscenza e di esperienza? E se fosse davvero possibile controllare persino l'eredità non genetica che l'uomo è destinato a lasciare su questa terra?
Come non sentirci toccati nel vivo da questi interrogativi quando poi, oltretutto, scopriremo che l'intero corso degli eventi narrati altro non sarà stato se non una crudele macchinazione volta a sperimentare un programma per la manipolazione della mente umana?
La scioccante verità nascosta dietro ogni senso di deja – vù legato al primo titolo, dietro ogni piccola apparente incongruenza, dietro ogni verità nascosta da parole pronunciate a mezza bocca, sarà difficile da assorbire e ci farà sentire come presi in prima persona nella morsa dello scontro sopra descritto, ad un tempo vittime involontarie di un subdolo filtraggio di informazioni al fine di condurci in un preciso modo fino ad un preciso punto e artefici di una successiva strenua ricerca di libertà individuale, nel momento in cui, nel gioco ma anche fuori, affermeremo la possibilità di autodeterminarci senza per questo ricorrere a mezzi macchiati di sangue e non giustificati da alcun fine.
Ci sentiremo cuciti addosso a Raiden come la sua tuta e con lui sospesi, costantemente in pericolo di cadere e cedere, a seconda del suolo dell'impatto, alla delirante caccia alle streghe di Solidus o alla morsa che tenterà di stringersi sulla nostra mente chiedendoci solo una resa totale.
Il gioco sarà crudele, ci toglierà persino la soddisfazione di trionfare nello scontro finale con il lucido folle che Raiden aveva avuto l'ardire di chiamare padre, un tempo, quando senza ripensamenti gli aveva messo in mano un fucile e lo aveva così condannato ad una perenne fuga da se stesso. Eh sì, perchè anche quel duello a fil di spada, epico, a mio avviso, sarà il risultato della macchinazione ordita dai Patriots. Niente più e niente meno che l'ultima prova della simulazione di controllo mentale che scopriremo avere investito ogni centimetro degli ultimi due anni della vita di Jack, tanto potente da essersi insinuata persino sotto le lenzuola del suo letto.
Crudele, non è vero?
Sì, molto. Ma anche affascinante.
Il gioco si rivela, nelle sue meccaniche, primo esempio delle tematiche narrative dallo stesso messe sul piatto. Ci hanno sottoposto ad una simulazione che trascende la finzione naturalmente connessa ad una dimensione virtuale. E, alla fine, ci hanno schiaffato in faccia la possibilità che ciò che nel gioco viene demandato ad un'oscura cospirazione e ad intelligenze artificiali altamente complesse sia in realtà operato attraverso un dvd ed un joypad. Nel farlo, poi, si sono ben presi gioco di noi, irridendoci con trovate geniali quali “Fission Mailed”.
Chapeau, sul serio.
Ed alla fine, dopo un crudele carnevale che sembrava destinato a non avere fine, sarà proprio Snake a consegnarci, in un monologo meraviglioso, la più grande delle verità secondo la visione di Kojima, ossia che ciò che possiamo lasciare a chi verrà dopo di noi è qualcosa che trascende la mera genetica e non chiede di ergersi a verità assoluta, qualcosa che semplicemente risiede nel nostro animo e che si alimenta di ciò di cui sapremo nutrirlo. Cultura, sentimenti, esperienze.
Nessuno dovrà o potrà imporci cosa sarà bene o meno tramandare, perchè non permetteremo di mercificare e selezionare le parti del nostro animo e della nostra coscienza che decideremo di consegnare ai nostri figli.
Non serve trovare una verità vera in modo incontrovertibile, ma scegliere in cosa credere, qualcosa per cui valga la pena di vivere, e lasciarlo dopo il nostro passaggio su questa terra.
Quanto al sistema di gioco, mi sono trovata dinanzi un prodotto capace di raccogliere l'eredità del primo titolo trasponendola in meccaniche evolute, sicuramente più fluide.
Ho apprezzato, in particolar modo, la maggiore responsività dei comandi e la possibilità di compiere, in modo più immediato, una più ampia gamma di movimenti, come procedere sospesi sulla parte esterna di un camminatoio al fine di eludere la sorveglianza delle guardie.
Ottima poi anche l'implementazione della visuale soggettiva, cruciale in molti casi per esplorare l'ambiente circostante prima di accedere al terminale virtuale che ci fornirà la mappa di ogni distinta sezione della base.
In generale ho trovato estremamente divertente e convincente l'impianto di gioco e ampiamente gradito tutte le piccole chicche di cui è intriso, come la necessità di interrompere, con specifici oggetti, il sanguinamento conseguente ad una profonda ferita onde evitare di lasciare tracce del nostro passaggio o la possibilità di spostare i corpi dei nostri nemici per nasconderli e fuggire ai sospetti dei loro compagni a seguito del ritrovamento.
L'IA delle guardie risulta notevolmente raffinata al fine di presentarsi più bilanciata ed avanzata.
La circostanza, poi, che le stesse lavoreranno quasi sempre in squadra, chiamandosi alla radio e sortendo così l'effetto di veloci invasioni di campo da parte di un gran numero di nemici, rende il tutto ancora più avvincente, senza contare che sfida la nostra ambizione nel momento in cui ci permette di cimentarci nel tentativo di piazzare un unico chirurgico colpo al fine di disabilitare le loro radiotrasmittenti.
Ancora di più sarà vitale agire indisturbati, ricorrendo in modo estremamente misurato all'uso delle armi eccezion fatta per la pistola stordente, vista la possibilità di trovarci, quale che sia il nascondiglio cui ci appiglieremo, improvvisamente ricoperti di nemici urlanti e il maggior tempo che, almeno nella mia percezione, sarà necessario per passare dallo stato di allerta di nuovo alla normalità.
L'interazione con l'ambiente, poi, è impressionante e gode di un nuovo interessante sistema di coperture, molto utile durante gli scontri che, nel mio caso, ho dovuto a volte ingaggiare con le guardie e la loro IA collettiva ed estremamente affilata.
Quanto alle boss fights, indiscusso fiore all'occhiello del primo capitolo, sebbene anche qui verremo chiamati ad un attento studio della situazione al fine di accedere alla chiave di volta rappresentata dalla più efficace strategia per abbattere il nemico, il feeling con le stesse sarà totalmente diverso, meno emotivo e più sottile, suggerito a livello intuitivo.
Al di là del puro gameplay, per cui riconosco che forse si sarebbe potuto fare qualcosa di più al fine di renderle più coinvolgenti, eccezion fatta per lo scontro finale combattuto stile ninja e gasante all'inverosimile, credo che il minor impatto emotivo che mi pare di non esser stata l'unica a provare sia una precisa scelta legata al particolare taglio narrativo delle vicende.
Non volendo raccontarci la storia attraverso i suoi personaggi, mostrandoceli in tutta la loro disarmante umanità sul punto di morire, bensì volendo ritardare fino ad un momento ben preciso l'appuntamento con la verità per noi come per loro, si è scelto di rendere le boss fights meno intense da un punto di vista dei contenuti narrativi messi in campo.
Tuttavia, permettetemelo, se avessero saputo bilanciare meglio questo attento dosaggio di informazioni e le meccaniche di gioco degli scontri forse si sarebbe fatta sentire meno quella sensazione di non completo appagamento per le boss fights che, talvolta, lo ammetto, si è fatta strada anche in me, per essere però poi subito cancellata dal presagio, poi concretizzatasi, che ci fosse qualcosa di grosso sotto.
Ho adorato l'ambientazione di gioco. Questa struttura chiusa, claustrofobica ma al contempo enorme, piena di passaggi e di stanze e, soprattutto, in continuo mutamento, quasi viva, ed effettivamente tale, in un certo senso.
Fantastica.
La colonna sonora, eccezion fatta per il main theme, non mi ha esaltata, pur non disdegnandola, assolutamente.
Quanto al comparto tecnico non ho molto da dire. Non ho provato il gioco nella sua versione originale per Ps2, quindi posso solo constatare che, quale che sia stata la portata del lavoro di porting in alta definizione, il titolo si difende bene e si lascia giocare senza grossi problemi.
In conclusione, credo sinceramente di poter dire che Metal Gear Solid 2, lungi dall'essere solo un capitolo di passaggio, un tramite obbligato per passare ad altro, si è rivelato una magistrale fusione tra narrazione e sistema di gioco, in cui le prime vittime di quanto raccontato saremo proprio noi che pensavamo di essere protetti dietro lo schermo della televisione per trovarci, poi, totalmente in balia di quanto sapientemente ordito al fine di offrirci un'esperienza di gioco mentalmente provante ma grandemente intrigante e soddisfacente. Un trip mentale di elevatissimo livello, dotato di un comparto narrativo esaltante seppure volutamente punitivo, di personaggi che vivono in prima persona lo scotto di quanto appena scritto e di un sistema di gioco divertente e coinvolgente, tutt'altro che superficiale. Un viaggio attraverso le possibilità di questo media e la commistione tra lo stesso ed altre forme narrative. Un capolavoro.

9.5

Voto assegnato da talesofmanu
Media utenti: 9.1

talesofmanu

ha scritto una recensione su Metal Gear Solid

Cover Metal Gear Solid per PSX

ATTENZIONE SPOILER

Prima di raccontarvi cosa è stato per me giocare Metal Gear Solid, permettetemi poche righe di digressione per fare una doverosa premessa.
Tante volte ho sfiorato, durante i miei anni da videogiocatrice, questa serie così famosa ma, soprattutto, cosa più importante, così apprezzata, dall’essere oramai diventata, nel sentire comune, quasi una leggenda, uno di quei miti inviolabili ed eterni.
E Metal Gear Solid porta con sé una fama che sembra incisa nella roccia.
Mai, però, ho seriamente considerato di giocare questo titolo, fino ad ora.
Proprio come a volte snobbiamo ciò che ci viene frequentemente proposto con entusiasmo, ho girato lo sguardo altrove, sicura, tra l’altro, del mio scarso feeling con il genere.
Per fortuna alla fine ho saputo guardare nella giusta direzione.

Non conosco altro della serie, all’infuori di quanto ho visto con i miei occhi in questo titolo, e di piccole parole rubate qua e là, che però non combaciano minimamente con le tessere del puzzle sin qui raccolte.
Non mi considero, perciò, conoscitrice della saga, né esperta di alcunché la riguardi, finanche di questo titolo.
Niente di ciò che potrei dire aggiungerà nulla a quanto voi conoscete di questo gioco, o alle emozioni che avete provato e probabilmente rinnovato negli anni.
Ma, se mi presterete un po’ di attenzione, posso provare a darvi un punto di vista che, per forza di cose, non vi appartiene più.
E, allora, proverò a mostrarvi un po’ di quello che i miei occhi hanno portato direttamente al mio cuore durante una delle più belle esperienze di gioco che ho vissuto. E stiamo parlando di un numero che non supera le dita di una mano.

Chi non lo ha giocato, secondo me, non dovrebbe leggere oltre. Sia perché, nonostante i miei sforzi, non ho potuto esimermi da qualche piccolo spoiler, sia perchè credo che questo titolo vada giocato come ho fatto io, ignari, come un foglio bianco su cui lasciare che venga scritta una storia indelebile. Se non lo avete giocato, neanche le emozioni dovete farvi raccontare da altri, tanto meno da me.

Il mio arrivo a Shadow Moses è stato complicato.
Guardavo il radar, cercavo di capire cosa fare di questo soldato all’apparenza abbastanza anonimo, provavo a comprendere i comandi. Inevitabilmente, almeno per me, ho finito con l’inanellare un numero di morti da record. Tanto che ho pensato che dopo il primo ascensore avrei trovato la battaglia finale.
E mentre il nervosismo iniziava a montare, tutti i miei preconcetti sul genere iniziavano ad affollare il divano di casa mia, osservandomi come a dire che avrei dovuto ascoltarli, che mi ero illusa di poterli definitivamente archiviare come vecchi file obsoleti.

Poi, come quando dal buio si passa repentinamente alla luce, ho iniziato ad ambientarmi, il senso di disagio è andato scemando, e sono riuscita a spalancare gli occhi. Ogni strato di inutile ritrosia si è sciolto come neve al sole e mi sono lasciata andare come poche altre volte mi era capitato, sfidando finanche le radici di alcune mie polverose convinzioni.

Ho scandito le successive fasi di gioco con una serie di grossolani errori, strategie fallite e piccoli successi ben presto vanificati.
Ma la grinta che ho sentito crescere in me ad ogni insuccesso ha calmato ogni mia smania.
E ho capito che Metal Gear Solid mi avrebbe spinta oltre i miei limiti, chiedendomi molto, senza possibilità di adagiarmi sui fasulli allori del superamento di un punto critico. Ma, al contempo, ho capito che avrebbe ripagato cento volte qualsiasi sforzo.

Ricordo bene il profondo senso di solitudine e smarrimento iniziali, quella sensazione insistente di claustrofobia.

Ho presto imparato a soffermarmi attentamente prima di muovere un avventato passo in qualsiasi direzione.
Prendere le misure con l’ambiente circostante. Scegliere un approccio che permetta di non tralasciare nulla. Tracciare mentalmente un percorso. Mantenere il sangue freddo.
Una sorta di piccolo mantra che mi ha accompagnata, quasi una piccola iniezione di auto disciplina.

La profondità del gameplay non avrebbe meritato, né consentito, nulla di meno.
E anche così ho patito la mia inesperienza, trovandomi spesso a commettere errori portati dalla fretta o dalla superficialità.
Ma ho apprezzato questo gioco tanto di più ogni volta che ne ho visto la grandiosità riflessa nei miei piccoli fallimenti.
E ogni successo è stato tanto più sentito perché preceduto da qualcosa che è andato oltre il meccanico ripetersi di azioni pre - impostate.

Non è consentito, giocando a Metal Gear Solid, convincersi di avere visto tutto, persino alla fine.
Ogni nuovo ambiente porta con sé qualcosa che vuole mostrarsi a noi per la prima volta.
Fosse l’impossibilità di usare il radar, le mine, invisibili mietitrici, le telecamere armate o i corridoi inondati di gas. Fossero i laser smascherati solo dagli occhiali termici o l’impossibilità di usare armi in una certa stanza. Per citarne solo una minima parte.
Un gameplay di tale spessore, che oltretutto sa rinnovarsi senza mai vanificare quanto acquisito nelle fasi precedenti, alzando il tiro senza per ciò perdere in coerenza, da solo varrebbe la partita. Senza esagerazioni.
Niente è proposto al giocatore per caso, ogni situazione merita di essere studiata e risolta scegliendo uno dei possibili approcci, mai dimentichi del fatto che ogni dettaglio di gioco nasce per un preciso fine.
Le boss fight, poi, sono coronamento e massima espressione della varietà dell’esperienza di gioco offerta. Ognuna diversa, ognuna curata in ogni particolare. Senza alcuna possibilità di approcci superficiali, senza scampo per chi non si cura di cercare le risposte ai tanti interrogativi che ogni nuova sfida di gioco porta con sé.
Si presentano come estensioni della personalità dei nostri antagonisti. Sconfiggerli sarà iniziare a conoscerli.

La base militare dove dovremo incedere, solitari guerrieri chiamati ad una missione che risveglia nel giocatore un sopito senso di allerta per qualcosa di non detto ma sempre presente, sarà camaleontica narratrice di ogni nuova svolta della storia.
Dietro ogni porta potrebbe celarsi una nuova veste della nostra chiamata a questa avventura.
Sia il nevaio infestato di lupi, la torbida fonderia, i corridoi silenziosi attraversati dalle note di una musica quasi spettrale, o il tetto, dove scopriremo che in questo gioco niente va escluso a priori. Neanche lo scontro contro un Hind.
Sempre nuova, sempre la stessa. Presto dimenticheremo le sue quattro mura e ci sembrerà quasi di vederla vivere di vita propria, sadica ospite delle nostre peripezie, divertita nel vederci confrontarci con sfide sempre diverse e diaboliche nella loro esemplare precisione.
Torneremo indietro, ma non potremo mai essere disattenti e il viaggio ci sembrerà sempre nuovo.
E inizieremo a sentire un graduale senso di conquista. Espugnare ogni più segreto luogo della base sarà come denudarla di ogni velo, arrivando a conoscerne le più intime trame.

Si dice che la strada entra dai piedi.
Ecco, Metal Gear Solid si è fatto strada in me attraverso quanto ho appena provato a descrivere.
Le difficoltà che mi ha insistentemente proposto, quel senso di solitudine e di costante allerta, la necessità di servirmi di ogni mezzo, di dosare al meglio le risorse e di utilizzarle seguendo i preziosi consigli ricavabili usando in modo saggio il Codec.
La continua scoperta di un ambiente di gioco solo apparentemente limitato.
Ogni cosa mi ha parlato in modo preciso, abbattendo ogni mia difesa e rendendomi completamente vulnerabile dinanzi all’imponenza narrativa che mi aspettava, nascosta con doti stealth sicuramente superiori alle mie.
E ben presto sono stata avvinta senza possibilità di divincolarmi, se non con un inutile dispendio di energie.

Quando, per la prima volta, dopo le primissime fasi di gioco e in modo crescente andando avanti, ho guardato Snake e mi sono sentita anche io un’infiltrata, chiamata ad espugnare le meccaniche di un gioco per tanto tempo sentite lontane, fortificate da tutte le mie ritrosie, ho sentito montare in me il desiderio di accompagnarlo in questa missione, nascondendomi accuratamente ad ogni mio residuo, e sparuto, barlume di dubbio, muovendomi, un passo dopo l’altro, verso un gioco che, alla fine, mi sembra fosse lì ad attendermi da sempre.

Metal Gear Solid sembra risiedere in quella feconda lingua di terra, che non sapevo potesse esistere, in modo così netto ma al contempo sfumato, tra il cinema e il videogioco.

La sapiente cura e proposizione delle meccaniche di gioco si lega ed intreccia perfettamente al taglio cinematografico della narrazione. E da questo incontro non escono feriti o prigionieri, bensì solo alleati reciprocamente esaltati dalle peculiarità di ciascuno.

Abbondantemente predisposti dal gameplay a sentirci in un determinato modo, tenendo sempre i sensi allerta, diffidando di chiunque e di qualsiasi apparente calma, saremo perfetti destinatari del testo e del sotto testo di questo titolo.

L’uso delle telecamere, il ritmo dei dialoghi, mai noiosi pur essendo molto corposi, la scelta sapiente delle parole, dei tempi, persino dei puntini di sospensione.
Uno stile narrativo avvincente e, sino all’ultimo, fecondo, posto al servizio di una storia che definire maestosa mi risulta quasi riduttivo.
La capacità di raccontare finanche nell’apparentemente limitato contesto del Codec (trovata geniale, perla narrativa da scoprire a fondo), mi ha letteralmente sconvolta.
La potenza dei colpi di scena, inseriti non solo al mero fine di sorprendere, è un qualcosa cui è impossibile abituarsi. Arriveranno violando ogni nostra difesa, con ineluttabile puntualità, pure ad un appuntamento di cui nessuno ci aveva avvertiti.

La violenza, l’odio, la sopraffazione, la vendetta, la cupidigia.
Questi vocaboli che giacciono su questo foglio, senza vita, sono in realtà forze capaci di vivere di vita propria, di staccarsi dai loro miseri portatori ampliando a dismisura il loro respiro, manovrando silenziosamente persino colui che, stolto, pensava di stare tirando le fila della storia.
E poi, la loro deforme figlia, la guerra.

La guerra disumanizza.
Toglie all’uomo ogni reale percezione di sé stesso, relegandolo in un pericoloso limbo in cui la realtà si confonde con le false verità suggerite da quel crudele deus ex machina che gode del disfacimento di ogni umana virtù.
Priva l’essere umano persino delle parole, lo rende uno spettro, ramingo in una terra devastata da forze infinitamente più grandi di quelle che pensava di poter controllare e volgere a suo vantaggio.
Questa crudele progenie di ogni umana turpitudine sarà ingombrante protagonista di ogni centimetro virtuale di questa magniloquente avventura.

Il gioco ci presenta un eccezionale cast di personaggi.
Eterogeneo ma al contempo omogeneo nell’essere composto da individui marchiati dall’incontro con la guerra e le sue mefitiche madri.

Il ricettacolo di umana disperazione che ci si parerà davanti sarà difficile da assimilare e impossibile da metabolizzare senza diversi sussulti dell’animo.

Individui spezzati, vinti, ciechi oramai ad ogni verità, buttati nella mischia a contendersi un falso brandello di speranza, piegati ad un volere che hanno illusoriamente creduto di condividere e che li ha, ben presto, svuotati di ogni barlume di vera volontà.

Ma la vita è più forte di ogni cupo scenario, e allora, proprio nel momento in cui la morte compie la sua unica chiamata, nel luogo del più difficile degli addii, tornerà a farsi sentire, reclamando pochi ulteriori attimi di umanità.
E per quanto profondo potesse essere l’oblio dei sentimenti, in quei pochi attimi di ritrovata umanità, questi individui martoriati dalla guerra sapranno ancora guardare in faccia la vita, riappropriarsi della sua memoria.

Proprio in questi ultimi attimi di vita, allora, gli antagonisti che saremo chiamati a scavalcare come ostacoli lungo il nostro passaggio, apriranno per noi porte su scenari agghiaccianti, permettendoci di affacciarci sulla loro profonda disperazione.

Psyco Mantis, dalla mente fortificata per sfuggire al dolore, instancabile inseguitore, bramoso di cibarsi di ogni residuo brandello della sua psiche. La morte inconsciamente attesa come unica consolazione.
Sniper Wolf, letale cecchino, nascosta, per anni, dietro un mirino, per non dover guardare nello specchio l’unico volto cui avrebbe realmente voluto dirigere un unico, infallibile, proiettile.
Vulcan Raven, intimamente disgustato dai macabri giochi che l’uomo compie con la vita, anche lui desideroso di trovare, nella morte, un distacco da tanto putridume.
Ogni battaglia mi ha condotta ad un ultimo ravvicinato sguardo all’uomo dietro la crudele maschera imposta da un’esistenza spezzata dalle ineluttabili trame della guerra.
E, consapevole di questo, non ho provato “odio”. Ho desiderato affrontarli in modo aperto, leale, donandogli una morte onorevole, senza ricorrere a miseri trucchi.
E non ho potuto esimermi dal soffrirne la dipartita, dal patire una profonda commozione.

E poi Revolver Ocelot, spietato e grottesco vate di una crudeltà dosata con il contagocce per essere ancora più letale, straziante, faticosa.
Sadico volto dell'esaltazione della meschinità umana, quella che si veste di gloria ma è colma di miseria.
Ancora più misero mi è apparso, in tutta la sua ostentata superbia.

E poi, in quella zona grigia dove si collocano tutti gli altri, né buoni, né cattivi, ho incontrato alcuni tra i personaggi più riusciti che abbia mai avuto la fortuna di conoscere virtualmente.

Gray Fox, quasi un fantasma, nel corpo e nello spirito, marchiato dalla guerra, più che nelle cicatrici, nelle ferite dell’anima, costantemente richiamate dai due occhi innocenti tenuti accanto come monito e silenziosa punizione.
Tra i resti della sua umanità, Gray Fox troverà la lucidità per affermare un’ultima volta la sua libertà sovrana, le catene della guerra spezzate da un grido di disperata ribellione contro la negazione di ogni possibilità di scelta.
Eroe tragico di una potenza disarmante. Intenso e sfuggente, come la luce di una stella cadente.

Meryl, conosciuta all’inizio dell’estenuante salita verso la sua maturazione di donna, convinta di scelte compiute in nome di un desiderio di appartenenza, per sentirsi ancora parte di legame spezzato dagli eventi.
Questa giovane donna ben presto svelata nella sua meravigliosa fragilità, incarna perfettamente il disagio di dover scendere a patti con la propria femminilità per cercare, ostentatamente, di rivestirsi di abiti maschili, ignara, ancora, della possibilità di essere donne in ogni, pur arduo e disperato, scenario.
Nel passaggio dalle finte convinzioni alle scelte Meryl ci rivelerà la donna che avevamo creduto di intravedere fin dall’inizio, finalmente libera dalle pesanti zavorre di atteggiamenti posticci, capace di determinate resistenze, a costo della stessa vita.

Otacon, burattino della sorte, gelato dalla scoperta dei reali echi delle sue azioni, sarà chiamato a scegliere se naufragare in una burrascosa autocommiserazione o se risvegliarsi dal torpore per compiere, finalmente, una scelta libera, consapevole, mettendo in gioco ogni cosa, scommettendo tutto nell’affermazione della propria sovrana coscienza.

Naomi, animata da una vendetta covata in un’esistenza senza origine, senza radici, alimentata da un dolore inesorabile come il tempo. Sarà straziante conoscere la sua storia, o quel brandello di verità che saprà rivelarci riemergendo a fatica dalla melma di ogni falso mito capace di accecarla. Da lei, insospettabile musa, portatrice del messaggio dell’intero gioco, ascolteremo le parole più importanti, il dono più grande di questo straordinario viaggio.

In ognuno di questi individui la vita, nascosta in ogni tentativo di negarla, ci mostrerà di saperci tornare a chiamare a cose grandi, di sapere aspettare, anche anni, in silenziosa attesa, prima di tornare a chiederci di riappropriarci di ogni battito del nostro cuore.

E poi Liquid, e poi Snake.
L’uomo non è solo la somma dei suoi geni.
Questa verità tanto “banale” quanto spiazzante appare con forza nel corso del gioco, accendendo piccole fiammelle di quello che poi sarà un incendio divampante al momento dell’incontro tra le due esistenze appena menzionate.

Gemelli, portatori di un identico corredo genetico, pur diversamente declinato per il mai domo desiderio dell’uomo di sentirsi divinità, ma profondamente diversi in tutto ciò che non può essere dettato dalla biologia.

Entrambi guerrieri, avvezzi a dare del tu alla morte, a guardarne ogni sanguinolento volto, separati però dal profondo solco delle rispettive convinzioni, di una coscienza che non si lascia imbrigliare dalla sequenza del nostro dna, dal destino scritto nei nostri geni.

Liquid ha scelto di inseguire i fantasmi di un’esistenza che gli è stata negata, di smaniare nell’ombra di un padre che odia ma verso cui è irresistibilmente attratto.
Folle, forse geniale, sicuramente sconfitto.

Snake, misterioso personaggio che scopriremo soprattutto ascoltando le poche ma fondamentali parole che rivolgerà ad ogni individuo che meriterà la sua attenzione, rappresenta proprio l’unicità di ognuno di noi, la possibilità di vincere ogni artificiale predeterminazione, seguendo una strada che, alla fine, si rivelerà nostra.

Non importa se sarà stato ingannato, manovrato, privato di un vero passato e indirizzato verso un futuro non degno di tale nome, non importa se ci sembrerà un reduce della sua stessa vita, Snake, alla fine, riempirà di significato la parola vita, guardando in faccia ciò che avrebbe dovuto essere nell’idea dei burattinai delle sue sorti, e scegliendo di affermare un IO che nessuna analisi scientifica poteva prevedere o sciogliere nel liquido di una provetta.

E allora, questa epopea di guerra, morte, che ci fa riflettere sulla portata della brama umana e sulla disarmante potenza dell’odio e della disperazione, giungerà infine a parlarci di qualcosa che avevamo già percepito, nonostante ogni opposta spinta, nelle esistenze spezzate che avevamo incontrato, nelle scelte di chi era ancora in tempo, nelle parole del nostro alter ego, sempre meno impenetrabile, sempre più uomo dinanzi ai nostri occhi.
Ci parlerà di vita, di scelte, di volontà.
E la speranza si farà strada tra i ghiacci dell’Alaska, vincendo il gelo di ogni delirio dell’uomo, regalandoci non un quadro di irreale risoluzione di ogni pericolo, bensì una profonda chiamata alla vita in pienezza.

Non ho detto abbastanza, non è possibile.
Probabilmente, anzi, ho detto poco, nascondendo la mia pochezza nell'esprimere quanto appena giocato dietro tante parole.
Di alcune cose non ho volutamente parlato, desiderosa di regalarvi il MIO punto di vista, la MIA esperienza, al di là di tecniche constatazioni che saprà, o avrà già saputo, donarvi qualcun altro.
Di altre ho tentato di dare, spero, anche solo una vaga idea di quanto mi abbiano profondamente scioccata, disarmandomi con violenza da ogni illusione di "esperienza", a livello pratico come emotivo, in questa meravigliosa forma d'arte.

Ho giocato molti giochi, ancora pochi se penso alla inappagabile fame di questa mia passione, ma comunque numerosi.
Ho vissuto storie, ho accompagnato personaggi, ho condiviso ogni tipo di sentimento.
Ho affrontato sfide e risposto a tante diverse chiamate.

Ma Metal Gear Solid mi aspettava nascosto sotto tante inutili sovrastrutture, con una pazienza che sfida ogni strenua difesa.
E questo “incontro” è stato quasi un’epifania.
E ora che ho visto e l’ho provato sulla mia pelle, ora che ho chiari in mente i sussulti che ho provato e i brividi che ancora mi scuotono, nonché la soddisfazione elevatasi da ogni fallimento, posso solo alzare le braccia, in un’inesorabile resa, scandita con meticolosa precisione da ogni battito del gioco all'unisono con il mio cuore, e poi rinnovata dopo i titoli di coda, quasi a ricordarmi che non finisce qui.
Sia ciò che Metal Gear Solid ha in serbo per me.

10

Voto assegnato da talesofmanu
Media utenti: 9.6

talesofmanu

ha scritto una recensione su Tales of Vesperia

Cover Tales of Vesperia per Xbox 360

Ogni capitolo della serie che ho giocato sino ad ora è stato per me un'esperienza.
Se c'è una cosa che mi sento di riconoscere a questa serie che tanto mi è, oramai, cara, è la capacità di cambiare senza snaturarsi, senza venire meno alle promesse implicite nel primo capitolo, quando per la prima volta i giocatori hanno potuto scoprire le gioie sottese a quella meravigliosa fusione tra gameplay, comparto narrativo e character design che avrebbe poi orgogliosamente portato il nome “tales of”.
Da quella prima scoperta i giocatori hanno potuto confrontarsi con una serie in evoluzione, capace di nuovi slanci ad ogni capitolo, sempre diversa ma al contempo sempre coerente, sempre sé stessa.
Parto da qui perchè ogni tanto è giusto fare il punto, per non finire ingabbiati nelle nostre preferenze, ricordando a noi stessi perchè a questa serie riserviamo un posto speciale nel nostro cuore.
Ho giocato e finito Vesperia tempo fa, scrivendo anche qualche riga su questo titolo, ma in modo sbrigativo, senza sentimento, tanto per. Che errore. Sono qui per rimediare. A volte un gioco richiede tempo per sedimentare, essere elaborato, e poi tornare di nuovo a “parlarci”.
Non posso che iniziare da Yuri. Il gioco inizia, vive e finisce grazie a Yuri. In mezzo c'è tanto altro, c'è magnificenza, ricchezza sotto ogni punto di vista, ma raramente ho trovato un altro protagonista così potente, così determinante, così influente.
Non fraintendetemi.
Non oserei neanche instillarvi il dubbio che la trama di Vesperia ruoti esclusivamente intorno ad un personaggio. Sarebbe una sorta di eresia.
Quello che voglio dire è che Yuri è l'anima di questo gioco, è il capolavoro nel capolavoro.
Il nostro protagonista è un giovane uomo testardo e determinato a vivere secondo le proprie convinzioni, i proprio ideali, completamente avulso da tutto quello che è il sistema, che gli chiede di conformarsi, di adeguarsi.
Un tempo soldato dell'impero, Yuri se ne è ben presto chiamato fuori, rifiutandone la schematicità, le tante imposizioni. Non crede nel sistema, se tiene al di fuori, vive seguendo una legge personale.
Trascorre il suo tempo in un'immobilità fatta di disincanto e frustrazione ben celata, accompagnato solo dal fedele Repede (cane dotato di pipa che sul campo di battaglia si difende benissimo. E scusatemi se è poco asd) vivendo ai margini, nel quartiere “basso” della capitale, Zaphias, tenendosi in una voluta penombra sì da non dover mai essere coinvolto in qualcosa che richieda uno slancio, una presa di responsabilità.
Sono ormai lontani i tempi in cui poteva contare su una quotidiana amicizia con Flynn, suo compagno dall'infanzia, arruolatosi con lui ma tutt'ora nell'esercito, protagonista di una fulminea carriera, rispettato come giusto e onorevole soldato, più incline alla vita militare, convinto di poter servire con onore, proteggendo a costo della vita, fidando in un bene mosso dai governanti, nella possibilità che attraverso l'attenzione ai grandi problemi si possa cambiare davvero la vita di ogni singolo individuo.
Attorno a loro due, alla loro amicizia, la storia compierà i suoi rocamboleschi volteggi, volendoli insieme a tanti fondamentali incroci, per poi tornare a separarli lungo sfiancanti rettilinei, riavvicinandoli dove il percorso curva rendendo visibili nuove prospettive, trovandoli sempre smossi e mossi da un profondo rispetto e da un imperituro affetto reciproco, ben celato, anche negato, ma mai dimenticato.
Ma il destino, oltre ad avere una sua puntualità, non sbaglia mai indirizzo.
E così Yuri si troverà, suo malgrado, spinto e sospinto in un continuo divenire che, partendo come mero interessamento per una questione di ordine pratico, risolvibile, nell'ottica dell'ignaro protagonista, in poco tempo, si rivelerà essere la strada che la sorte aveva in serbo per lui.
E non sarà un percorso facile o lineare. Sarà tortuoso, e chiederà a Yuri di riscoprirsi capace di credere in qualcosa, nella capacità degli uomini di fare il bene, di cambiare il corso degli eventi. Di fidarsi.
Da Zaphias, dal palazzo imperiale, per la precisione, partiranno, con diverse premesse ma simili conseguenze, le strade di Yuri e Estellise, la protagonista femminile,che fuggirà dal castello alla disperata ricerca proprio di Flynn – lungi da me spiegarvi perchè – e si imbatterà nel nostro protagonista, chiedendogli un aiuto che muterà, ben presto, in una vera e propria chiamata all'avventura.
Estelle è una ragazza aristocratica, apparentemente ingenua ed infantile, evidentemente vissuta studiando e leggendo di un mondo che non ha mai visto. Estelle sa cose di cui non ha mai fatto esperienza, conosce le parole più delle persone, più della realtà. Sa parlare di ogni meraviglia del mondo, ma poi si meraviglia dinanzi ad ogni sua piccola estensione.
E' dotata di poteri curativi dalla misteriosa origine, e non si tira mai indietro nel soccorrere ed aiutare.
Questo incontro, in verità, all'inizio desta quasi un fastidio che è innanzitutto visivo.
Inizialmente i due sembreranno essere tenuti insieme solo da una sadica scelta degli sviluppatori, così poco attenti ai nervi di Yuri, spesso insofferente nei confronti di quella che vede come una palla al piede o, tutt'al più, come una ragazzina bisognosa di aiuto.
Ma, come le migliori narrazioni ci insegnano, quando il fato ha compiuto la sua inesorabile scelta, entrano in gioco forze ben più grandi delle simpatie, capaci di svelarsi gradualmente rendendo infine evidente il perchè di un incontro che poteva sembrare mero accadimento. E allora per il giocatore sarà come un'epifania scoprire quale epica storia sarà nata da quelle prime parole, così apparentemente casuali, pronunciate da una timida fuggiasca verso uno scafato giovane uomo di mondo.
Yuri, dotato di una personalità ben definita, risulta empaticamente chiaro, tanto che ci si trova quasi a leggerne i pensieri come raramente mi era capitato, arrivando a prevederne le reazioni, a tutto giovamento del coinvolgimento e della coerenza dell'esperienza di gioco, che, lungi dal risultare per questo scontata, si arricchisce di un rapporto privilegiato tra il suo protagonista ed il giocatore.
Ricchi di questo rapporto, pienamente partecipi della sua sorte, lo vedremo confrontarsi con i suoi fantasmi, perdere il sonno avvinto dal conflitto tra la spinta a farsi giustizia da solo, tagliando via il male come un ramo secco, e la nuova propensione a dividere la propria strada con altri, a credere nella possibilità che un gruppo di persone mosse dai giusti ideali e dalle giuste motivazioni possa cambiare le cose, agendo in piccolo e in grande.
Bilanciando quelle opposte spinte, non senza momenti di “cedimento”, che lo porteranno a compiere azioni talvolta controverse, anche di difficile elaborazione, Yuri scoprirà che si può cedere un po' a volte, mollare la presa sulle nostre difese, e lasciarsi coinvolgere in un viaggio che vada al di là delle azioni di un vigilante, di qualcuno che punisce il singolo per un proprio istinto di giustizia, che lo porterà a doversi fidare, a credere in qualcuno al di fuori di sé, a volere il bene dell'umanità più che di singoli specifici individui.
Perchè quando la chiamata è alta, a volte, capita di dover alzare lo sguardo, senza che questo significhi dimenticare dove sono piantati i nostri piedi.
La trama di Vesperia è complessa e profonda, molto originale, a mio avviso. Richiede al giocatore molta pazienza, molta cura ed attenzione anche alle piccole cose per lasciarsi scoprire completamente. Ma difficilmente vi sentirete deprivati di preziose ore alla fine del gioco. Semmai penserete di averle “investite”, tanto sarà il “profitto”.
Si tratta di un intreccio narrativo che tocca punti che dovrebbero parlare alla coscienza di ognuno di noi, indagando sui mali di un progresso cieco ai piccoli vuoti che si lascia dietro e non abbastanza lungimirante da prevedere i crateri che sono destinati a diventare.
Terca Lumireis è un mondo alimentato dall'Aer, fonte di energia primordiale, che viene incanalata e consumata dai Blastia, strumenti di umana concezione, capaci di trasformare ed utilizzare questa eterea sostanza per i fini più vari. Dalla difesa alle armi, dai massimi sistemi alla vita di ogni giorno. Fino a diventare parte fondante della società, indispensabili come lo sono i beni primari.
Ma il progresso motivato da altro all'infuori del benessere dell'umanità è destinato, se indiscriminato, a condurla alla rovina, che, beffarda, si farà sentire quando ormai sarà quasi troppo tardi. Il terreno costruito in modo artificiale sotto i piedi di una pigra e indolente umanità diventerà allora cedevole, trovandola disarmata.
Lo sviluppo tecnologico,l'avanzare delle umane conoscenze e delle loro applicazioni, così intesi, diventano involuzione, privando proprio gli abitanti di questo mondo tanto trasformato della possibilità di trarne qualsiasi giovamento.
Un mondo dilaniato da un uso smodato e incondizionato delle sue risorse, giunto alle estreme manifestazioni, sarà facile preda di una rovina che poteva essere presagita o letta negli insegnamenti del passato, e che verrà presto a chiedere il conto delle azioni umane. Solo guardando indietro, allora, si potrà tornare a guardare avanti, ma in modo nuovo.
Si parla poi del ruolo dell'uomo in tutto questo.
Nel contrasto tra l'Impero e ciò che incarna e il sistema delle Gilde, libere aggregazioni di individui dedite a diverse attività, con il tempo divenute enti socialmente rilevanti in quanto più vicine alle persone, più attente, in alcuni casi, alle loro esigenze, sta quello che è il contrasto tra Yuri e Flynn, nonché una delle chiavi di volta per comprendere personaggi ed evoluzione della trama.
Yuri troverà allora nelle Gilde, in quello che rappresentano, la risposta alle sue domande inespresse sull'esistenza di qualcosa per cui valga la pena seguire regole scritte su qualcosa di più duraturo dei suoi istinti, di aggregarsi ad altri senza snaturarsi, dando più ampio respiro ai propri passi.
E' un gioco che parla dell'uomo come “animale sociale” e come individuo, mettendo in risalto le derive di ogni concezione estremistica della realtà e sottolineando con forza che un individuo può restare tale pur se insieme ad altri, e che anche dietro le realtà più stratificate esiste sempre un cuore pulsante, che, indirizzando i propri battiti verso un fine oscuro potrebbe spostare quel “gigante” dietro cui si nasconde.
Non serve demonizzare la società, né portare a cieca esaltazione il singolo. La giusta via sta nel mezzo, e noi la scopriremo attraverso Yuri, chiave di lettura fondamentale della storia, che diventa centrale anche in questo parere, essendo impossibile tributargli meno attenzione.
L'amicizia è, come avrete già presagito, un altro dei temi fondamentali del gioco. Muoverà gli eventi, cambierà le carte in tavola. Nel momento in cui Yuri e Flynn si scopriranno ancora capaci di guardare insieme ad un domani da costruire solo fidando l'uno nell'altro, guardandosi con occhi nuovi e al contempo antichi, le sorti del mondo conosceranno nuova scrittura.
Quando ogni certezza sarà rimescolata alle incertezze, e cadrà il velo di apparente solidità di ogni sovrastruttura, quando ciò che divide diventerà insignificante rispetto alla possibilità che il mondo conosca pochi altri giorni, i due amici, portatori di due realtà in atavico contrasto, saranno chiamati ad un estremo atto di fede, a sfidare ogni convenzione che vuole i due poli come inavvicinabili, presentandosi così come esempi che smuoveranno le realtà di cui sono primi esponenti. Saranno pionieri, precursori.
Così Flynn scoprirà l'uomo al di là e all'interno delle formazioni sociali, degli schemi. E Yuri scoprirà la potenza di una missione condivisa, di poggiare su qualcosa di altro da sé i propri ideali.
Abbandoneranno la diffidenza di polverose etichette per abbracciare una più matura consapevolezza che un uomo si misura da ben altro che l'uniforme che indossa o il cinismo di cui spesso si veste. Bisogna andare all'essenza, dove sta quello che ci rende potenzialmente capaci di ogni cosa.
Gli altri personaggi sono un trionfo di caratterizzazione.
Estelle, nonostante le succitate difficili premesse, sarà capace di compiere delle scelte, e di determinarsi a portarle avanti, passando da inebetita spettatrice di trame tessute da altri, a donna risoluta. Saprà crearsi una strada che per lei non era prevista. Perchè nessuno può dirci come meritiamo di vivere, qual'è il nostro scopo. Peccato solo per le sporadiche ricadute, in pieno stile jappo, in quell'infantilismo che le è proprio nelle prime ore di gioco. Altrimenti ne starei parlando in toni ancora più entusiastici.
Judith, misteriosa e volitiva, è dotata di quella gravità, di quella saggezza, che si accompagna all'aver visto al di là delle menzogne della storia che ci viene spesso riportata. Sicura di sapere cosa serve a questo mondo dilaniato, si fermerà a camminare con Yuri e gli altri, scoprendo così che esistono più strade verso un unico scopo e che su una di queste sta un bene che va costruito con calma e ponderazione e non cercato a colpi di lancia, abbattendo i simulacri di un male che ha radici molto più profonde delle sue vestigia apparenti.
Karol, timido quanto testardo ragazzino che vuole disperatamente appartenere a qualcosa, essere accettato e riconosciuto, mostrerà a Yuri l'innocenza di occhi capaci di credere e di puntare in alto, mutuando dal suo involontario mentore la maturità necessaria per capire che non sono gli altri a doverci dare le sicurezze del nostro stare al mondo.
E poi ci sono Rita, eccentrica scienziata che si scoprirà capace di amare più l'uomo degli strumenti che è in grado di costruire per lui, e Raven, uomo vissuto, che spesso nasconde i suoi sentimenti sotto un velo di malizia e nasconde verità che vanno ben oltre il suo recente passato, trovandosi ad incarnare le due anime della storia, senza che possa dirvi altro per evitare anticipazioni.
Gli antagonisti, come nei migliori tales of, sono estremamente eterogenei e ben caratterizzati. Sono protagonisti di proprie storie prima e oltre che ostacoli sul cammino di Yuri. Hanno un respiro ben più ampio di semplici boss fight, e rischiano di sovvertire le certezze del giocatore, che si troverà a domandarsi se esista una sola verità. La medaglia ha due facce, certo non si può vivere senza sceglierne una.
Questa storia che involve il mondo e l'umanità, chiedendo però ai singoli uomini, uniti, di alzarsi e diventare – rubo le parole a qualcuno di ben più saggio di me – il cambiamento che vogliono vedere, saprà regalarvi una profondità ed un punto di vista attuale e al contempo originale.
Ed è per questo che i personaggi sono così centrali. Ed è per questo che anche questo parere, forse tentando la rischiosa bravata di rubare un po' allo spirito del gioco, gravita intorno al tentativo di raccontarveli, di mostrarveli come veicoli inconsapevoli del messaggio del gioco, che ci parlerà muovendo le loro labbra, dirigendone i gesti, disegnandone incontri e scontri.
Raramente un gioco mi aveva parlato tanto e tanto profondamente attraverso i suoi protagonisti. Non si può prescindere da loro se si vuole raccontare Vesperia.
Il combat system, ancora perfetto esempio di un connubio oramai solido tra dinamiche action ed elementi ruolistici, prende quanto di buono visto in Tales of the Abyss e lo implementa con nuove features, presentandosi molto più frenetico e movimentato, pur se mai confusionario.
Il sistema di crescita dei personaggi è impreziosito con un nuovo – all'interno della serie - meccanismo di apprendimento delle abilità, associate ad elementi dell'equipaggiamento, che potranno essere definitivamente acquisite, al di là dell'oggetto che le “contiene”, con il maturare, attraverso le battaglie, degli skill points. Si potrà così scegliere quali abilità equipaggiare ad un personaggio e, attraverso il loro utilizzo, questi potrà apprendere ulteriori arti, denominate “alterate” nate dalla combinazione tra le skills equipaggiate e le arti d'attacco di volta in volta settate.
Il tutto in un sistema ramificato che, seppure non del tutto nuovo, ma sapientemente richiamante quanto di buono visto in altri titoli, si presenta come ben più complesso di quanto si potrebbe pensare, implicando scelte di approccio alle battaglie e alla crescita dei pg non indifferenti.
Subendo o inferendo danni i personaggi vedono riempirsi la barra della “Over limit”, feature ricorrente della serie a partire da Tales of Symphonia, che in Vesperia presenta vari livelli, ciascuno con diverse possibilità. Quando la barra è al massimo, sarà possibile utilizzare le più potenti “burst arts” o, andando avanti nel gioco ed acquisendo alcune particolari skills ed elevati livelli di over limit, le potentissime“mystic artes”.
Interessante poi l’innovativa aggiunta dei Fatal Strikes, colpi che, una volta preparati, permettono ad un personaggio di sconfiggere un nemico con un solo colpo.
I nemici sono visibili sulla mappa e, a seconda di come li approcceremo o di come verremo colti, se frontalmente o alle spalle, avremo una diversa posizione di partenza, di favore o svantaggiata, in battaglia. Vietato girare in modo distratto per la mappa. ;)
Moltissime le sub – quests, quasi tutte significative per la trama e, in molti casi, impegnative da scovare.
Divertentissimo il Colosseo, con le diverse modalità che offre. Spassosa la creazione delle ricette, da sempre ricorrenti nella serie, che, in questo caso, al di là di quelle che impareremo incontrando il leggendario Wonder Chef, vanno scoperte combinandole tra loro. Una longevità imponente.
Da me apprezzatissima la presenza, come in molti capitoli della serie, del New Game +, in cui sarà possibile "ereditare" alcuni benefits dalla precedente partita.
Peccato per un livello di difficoltà non elevatissimo, avrei adorato un più elevato tasso di sfida, già solo per sperimentare fino in fondo le implicazioni del fantastico combat system.
Un gameplay vario e stratificato è allora sapientemente posto al servizio della trama, e, come in ogni Tales of, ma particolarmente in questo titolo, ogni cosa racconta, la storia si cela anche dove spesso non guardiamo.
Al bando la superficialità, ben venga invece un occhio attento e il desiderio di scoprire le storie che il mondo e i personaggi, anche non giocabili, anche marginali, hanno da raccontare.
A livello visivo Tales of Vesperia riesce ad essere estremamente gradevole, con una grafica in cel shading a mio avviso al di sopra degli standard, non proprio altissimi della serie, pur non eccellente, che si accompagna ad un design degli ambienti davvero notevole e diversificato.
E' un gioco che difficilmente può lasciare indifferenti se si ha la cura di tributargli la dovuta calma, se si ha la pazienza di sollevare i veli iniziali, che coprono le meraviglie che vi ho preannunziato, beandosi poi di un'esperienza di gioco coinvolgente a tutto tondo, priva di sbavature, ricca e molto matura, supportata e raccontata attraverso un gameplay davvero complesso e ben bilanciato.
Difficilmente potrei esimermi dal consigliarlo a chiunque ami i jrpg. Sì, è solo in inglese. Sì la versione ps3 non è uscita dal giappone nonostante contenesse alcune aggiunte al gameplay e a livello narrativo (queste ultime non determinanti). Ma ditemi, conta davvero qualcosa al cospetto di quanto questo titolo può offrire e che ho provato a raccontarvi? Io rispondo no. Mille volte sì.
Capolavoro.

10

Voto assegnato da talesofmanu
Media utenti: 8.9 · Recensioni della critica: 7.9

talesofmanu
Cover Valiant Hearts: The Great War per PC

Valiant Hearts racconta La Guerra. Quella sporca, estenuante, crudele espressione dei più bassi e biechi intenti umani, che tenta di disumanizzare ogni cosa, incontrando però la strenua resistenza di cuori valorosi. Ma, più di tutto, Valiant Hearts racconta L'Uomo. Quello capace di sopravvivere, tenacemente, ad ogni notte, ritrovandosi ancora saldo allo spuntare di ogni nuova alba. Fino a che la sua ora non giunga, trovandolo però fiero e degno di ogni onore.
Strana creatura è l'uomo.
E' capace di erigere muri per decenni solo per non dover incrociare la strada di chi considera diverso, lontano. E' capace di emarginare, di covare odio, di vendersi l'anima in nome del profitto. E poi, proprio nel momento in cui forze esterne ed inesorabili gli chiedono di sentirsi “nemico” di altri, sa riscoprirsi fratello di ognuno, quale che sia il nome che porta, la bandiera che serve, la lingua che parla.
Questo è l'uomo di Valiant Hearts. Un eroe inconsapevole, vittima degli eventi ma al contempo mai domo, mai sconfitto in quello che conta, nello spirito.
La storia prende le mosse “all'indomani” dell'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando d'Austria, in quel fatidico 1914 che tanto ci ha “perseguitato” dai libri di storia, chiedendoci un'attenzione, una memoria, che spesso non siamo stati – o almeno io – capaci di tributargli.
Karl è un tedesco che vive in Francia con la moglie, Marie, e il figlio Victor. Conduce, insieme al suocero Emil, una vita tranquilla, portando avanti la propria fattoria.
La dichiarazione di guerra della Germania alla Russia, però, sconvolgerà ogni equilibrio, e Karl ed Emil si troveranno a servire due diverse bandiere, su fronti opposti ma spesso vicini.
Freddie è un americano arruolatosi come volontario nelle truppe francesi, in cerca di una vendetta personale contro un barone tedesco.
Anna è una studentessa belga, figlia di uno scienziato rapito dai tedeschi per sfruttarne le scoperte, che decide di recarsi al fronte come infermiera volontaria, alla disperata ricerca del padre.
Walt è una cane da guerra, che, come efficacemente detto dalla voce narrante durante il gioco, porta sempre a termine il suo compito.
Provenienze diverse, lingue diverse, storie diverse. Ma un destino comune, quello di dover vivere sulla propria pelle gli inenarrabili orrori della prima guerra mondiale.
Le strade dei nostri eterogenei personaggi si incroceranno e separeranno più volte, in quell'infernale carnevale di morte e disumanizzazione che è il fronte.
Li seguiremo durante tutto il dipanarsi della guerra, trovandoci a guidarli in disperate avanzate, schivando e contando i corpi dei caduti, in uno scenario di agghiacciante annichilimento di ogni sentimento.
Li aiuteremo in rocambolesche fughe, ci infiltreremo, ci fermeremo con loro ad assistere feriti, quale che ne sia il colore dell'uniforme, li osserveremo perdere e ritrovare le speranze, ci troveremo ad ammirarne la forza d'animo e la nobiltà, e a dubitare con loro della reale possibilità che la parola fine giunga a sedare animi accesi da motivazioni sfumate con il tempo.
A volte dovremo cedere, seppur per brevi attimi, alla violenza di quanto ci circonda, rispondendo, nostro malgrado, alla legge del più forte.
La guerra è raccontata attraverso gli occhi di questi personaggi, che l'hanno dovuta vivere per costrizione o scelta – se di scelta si può parlare quando la vita ti sferra determinati colpi – ma anche attraverso le tante informazioni fornite, sotto forma di documenti storici o di curiosità legate ai diversi collezionabili, che, inseriti in un contesto di gioco emotivamente molto coinvolgente, si lasciano scoprire con rinnovato e, a differenza del pigro trascinarsi degli studi scolastici, attivo interesse.
A livello visivo il gioco è davvero uno spettacolo. La grafica cartoonesca, bellissima, è in efficace contrasto con le tematiche trattate, dalle quali mutua le tinte fosche, accese da sporadiche, e studiate, note di colore. Le musiche sono molto belle, con sapiente alternarsi di registri più aulici, più drammatici e più leggeri. Menzione d'onore all'ost del menù e, cambiando completamente tono, alla scelta di utilizzare il can - can come colonna sonora di un divertentissimo inseguimento in auto.
Se mi chiedeste – non lo avete fatto, ma fingiamo di sì - di definire Valiant Hearts in una parola, userei il termine “intuitivo”.
Intuitivo ad ogni livello, non solo quanto all'accessibilità del gameplay.
Ma approfondiamo.
Valiant Hearts offre un gameplay da avventura grafica che potremmo definire dinamica, che combina sapientemente fasi platform alla risoluzione di enigmi, invero non particolarmente complessi, ma spesso ingegnosi e sempre divertenti, non disdegnando brevi incursioni in altri “territori”, proponendo anche fasi di “guida” - molto semplificate, ma spassosissime – prove di riflessi, sequenze più movimentate e sezioni stealth, dove la creatività dei programmatori si è esaltata.
Ci troveremo spesso a dover interagire con Walt, il nostro adorabile amico a quattro zampe, che ci regalerà alcune tra le fasi più sfiziose del gioco.
Il risultato, lungi dall'essere un mix confuso, è assolutamente vincente.
Tutto è magnificamente implementato e bilanciato, risultando, appunto, estremamente intuitivo.
Per il giocatore è semplice calarsi nelle meccaniche proposte, godendo della fluidità con cui scorre questa deliziosa avventura, e dell'accurata scelta dell'alternarsi dei diversi stili di gioco.
Mai un momento di noia, tenendo conto anche della longevità non elevatissima, che si attesta, almeno secondo la mia esperienza, sulle 8 ore.
Dove però Valiant Hearts dà il suo meglio è nel raccontare una storia, fatta di tante vite e dei loro rocamboleschi incroci, nella Storia, con un registro narrativo che passa per gli occhi, per l'immaginazione, lasciando che sia il giocatore a trovare le parole per esprimere quanto visto e vissuto.
Eh sì, perchè, a parte la voce narrante – ottimamente doppiata in italiano, a mio avviso, con un'enfasi e un ritmo davvero perfetti - che interviene nelle fasi intermedie, tra una sezione di gameplay e l'altra, il gioco non presenta dialoghi.
Tutto è mostrato al giocatore.
I personaggi interagiscono tra loro con i gesti e le parole sono sostituite da vignette con immagini. Valiant Hearts parla una lingua universale, si lascia capire in modo intuitivo, senza mediazioni testuali, senza filtri. Arriva al giocatore in modo diretto, mostrando più che dicendo, e lasciando che sia la sua mente a fare il resto.
L'uomo è uno, al di là delle diverse lingue e dei diversi credo. C'è un linguaggio che non richiede traduzioni, ed è quello della solidarietà, della fraternità, dell'incontro tra due cuori.
E così ci troveremo ad osservare immagini che ci parleranno una lingua che ci risulterà quanto mai efficace, vicina, perchè sarà la lingua del nostro cuore.
Formuleremo frasi mai pronunciate, immagineremo dialoghi mai scritti. E in tutto questo, ci sentiremo vicini a questi sfortunati eroi, uniti a loro dall'universalità della condizione umana, al di là delle contingenze esterne.
L'intuitività, in questo titolo, è, dunque, sinonimo di un'efficacia narrativa che, vestita in modo semplice, riecheggia di echi molto profondi, stratificandosi nel giocatore che pure la percepisce in modo immediato, sedimentando in lui con la pazienza delle storie che chiedono di essere ricordate.
I toni narrativi sanno essere forti e al contempo accessibili. Non necessariamente, infatti, un messaggio importante ed intenso deve essere portato da un "veicolo" pesante.
Basta, a volte, dare quella giusta misura, quel gradevole equilibrio tra intensità emotiva e registri più leggeri, che amplifica, se possibile, la percezione del giocatore, pur se a livello inconscio, senza affanni.
Eppure si parla di guerra, di morte, di disperazione, di fame, di orrore. Eppure i personaggi, lungi dal risultare stereotipati eroi di guerra o impavidi idealisti, soffrono, sono spinti al limite, a volte cedono ai loro istinti, sono costretti a compiere azioni che ripudiano. Eppure è dura, commuovente, dolorosa questa avventura.
Ma tutto questo trova una porta d'accesso privilegiata nel cuore e nell'animo del giocatore, che non si sente mai violato nella sua intimità da queste immagini così esplicative, così espressive, bensì pronto, coraggioso, solidale.
E alla fine, quello che rimane, è un messaggio di fratellanza universale che sfida ogni convenzione sociale, ogni spinta separatista, ogni bieco interesse materiale. L'incontro tra due vite può avvenire in ogni luogo, e nessuna linea di confine, nessun pezzo di stoffa agitato dal vento, può separare due cuori che si sono riconosciuti.
Non a caso, i protagonisti di questo gioco, i veri valorosi, sono proprio i cuori dei nostri Karl, Emil, Freddie, Anna e del meraviglioso piccolo Walt, che si incontreranno dove la vita sembra destinata a finire, aggrappandosi l'uno a l'altro e scoprendo che il muscolo più forte del nostro corpo è quello che, spesso, alleniamo di meno.
Consigliato a tutti, nessuno escluso.

9.5

Voto assegnato da talesofmanu
Media utenti: 8.8 · Recensioni della critica: 8.5

Non ci sono interventi da mostrare 😔