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FedeChief

ha scritto una recensione su Shadow Man: Remastered

Cover Shadow Man: Remastered per PC

Il Mio Nome È Legione... Perché Noi Siamo Tanti.

Shadow Man è l’esempio di gioco che hai già sentito nominare qualche volta in maniera positiva, ma generalmente non è sulla bocca di tutti.
Quel gioco “classico, ma di nicchia” che con il passare del tempo, all’infuori di store come GOG, non è facile vedere, se non nel mercato dell’usato.

Nightdive Studios arriva in nostro soccorso, come sempre d’altronde.
Per chi non conoscesse i Nightdive Studios sono un team di sviluppo che si occupa principalmente di acquisire le licenze e riportare alla luce gli abandonware, ovvero quei titoli che il proprio editore ignora e anche se sono sotto copyright non è possibile reperire in nessun modo.
Inizialmente tutto è partito da delle semplici re-release, come quelle relativa a System Shock 2, ad alcuni Wizardry, a I Have No Mouth e anche a quella di Shadow Man.
Negli anni successivi oltre a ripubblicare altri titoli, hanno iniziato a lavorare a delle remastered vere e proprie, dato che molti di questi titoli sia in termini di risoluzione che di comandi erano invecchiati parecchio per gli standard odierni.
Da questa loro intenzione vediamo tornare sugli store: Strife Veteran Edition, System Shock Enhanced Edition, Blood Fresh Supply, Doom 64 e i primi due Turok.

Fatta questa premessa si intuisce già che la scelta dei titoli su cui hanno lavorato è tutto tranne che casuale, abbiamo una schiera di titoli di alto livello e con un’importanza storica notevole.
Grazie al loro engine proprietario, il KEX Engine, sempre in continua evoluzione, sembra che i Nightdive non abbiano intenzione di arrestarsi nel riproporre perle del passato.
Attualmente in cantiere hanno le remastered di SiN (di cui già si occuparono della re-release), Exhumed, Blade Runner, System Shock 2 e il remake del primo System Shock, di cui in minima parte sono backer.
Grazie proprio al KEX Engine arriva sugli scaffali digitali questa remastered di Shadow Man, forse quella dove è stata riposta più attenzione da parte del team di sviluppo da quando hanno iniziato a pubblicarne.

Shadow Man era un titolo pubblicato dall’Acclaim nel 1999 per N64, PS1, PC e poco più tardi per Dreamcast.
Le versioni più apprezzate sono quelle per N64 e PC, mentre quella per PS1 è considerato il peggior porting del titolo e uno dei peggiori porting sulla piattaforma in generale.
Questa versione rimane fondamentale perché il source code della remastered è stato reperito proprio da li.
Nightdive si è assicurata che l’aspetto fosse alla pari con la versione PC, quindi giocando non è possibile accorgersi della sua origine.

Dopo tutta questa spiegazione probabilmente qualcuno avrà già smesso di leggere e qualcun altro si starà chiedendo: si ok, ma che gioco è questo Shadow Man?
Shadow Man essenzialmente è un Adventure nel senso più classico e puro del termine, il tuo obiettivo nel gioco sarà raccogliere le Dark Souls (ehm), o come aulicamente sono state tradotte in italiano “Anime Prave”.
La racconta delle Anime Prave permetterà al nostro protagonista di aprire sempre più porte che conducono in altre aree esplorabili del mondo dei morti o in alcuni dungeon, dove raccoglieremo oggetti, strumenti, armi o potenziamenti che ci aiuteranno nella ricerca di 5 serial killer nel “mondo dei vivi”.
Di conseguenza il gioco mescola al suo interno elementi di platforming insieme allo shooting e qualche elemento puzzle.

L’esplorazione delle aree e della mappa è completamente libera e svincolata da qualsiasi tipo di aiuto esterno per capire l’orientamento.
Questo potrebbe rappresentare un gradino difficile per una fetta di utenza abituata ad essere presa per mano nella progressione di un gioco, infatti a primo impatto potrebbe risultare confusionario anche se l’avanzamento del titolo è strutturato in maniera abbastanza logica, forse solo in due frangenti risulta effettivamente controintuitivo.
Per aiutarsi un minimo, se si incombe in qualche punto morto, nelle edizioni originali veniva fornita cartacea una mappa del mondo di gioco, che in questo caso è assente, ma reperibile online senza nessun problema.

La remastered fa un ottimo lavoro nello svecchiare i comandi dove possibile, il protagonista (soprattutto se giocato con mouse e tastiera) avrà dei movimenti abbastanza naturali anche se non convenzionali.
Se da questo gioco però si ricercherà un sistema di movimento standardizzato se ne rimarrà abbastanza delusi.

L’atmosfera del titolo, forse anche grazie alla sua natura low poly, è abbastanza suggestiva e in alcune occasioni anche un po’ inquietante.
L’esplorazione del mondo dei morti e gli interni del complesso dell’Asylum sono stati inizialmente la forza trainante che mi ha portato a giocare il gioco e a volerne sapere di più.
Ogni zona è accompagnata anche da una soundtrack distinta, una soundtrack a tratti atipica e sorprendente per come si mescola uniformemente con l’ambiente che ti circonda facendo risaltare ancora di più la sensazione di inquietudine di alcuni luoghi.

La remastered oltre ad aumentare la risoluzione del titolo e la qualità delle texture, grazie al KEX Engine garantisce una fisica degli oggetti migliorata, ma soprattutto una gestione dell’illuminazione fantastica, che ad un titolo del genere giova come non mai.
Il team ha aggiunto una ruota delle armi per selezionare con più facilità oggetti necessari alla progressione ed ha anche ridisegnato alcuni elementi dell’HUD originale per adattarli alla nuova risoluzione.

Il lavoro più grande svolto nella remastered, però non è niente di tutto quello che ho detto prima.
Nello sviluppo del gioco originale alcune aree per problemi di tempi di sviluppo erano state tagliate completamente, aree anche importanti che davano un senso di completezza al titolo nella visione degli sviluppatori.
Nightdive ha rimasterizzato e riadattato anche le aree tagliate e finalmente dopo 20 anni è possibile giocarle nella loro interezza.
Tra le aree più importanti ripristinate figurano: la zona dei laboratori dell’Asylum accessibile grazie al tram che nel titolo originale conduceva esclusivamente alla Cattedrale del Dolore, una boss fight nel tempio delle Wasteland prima di accedere alla camera dove potenziare la propria energia vitale, ma soprattutto sono state ripristinate due aree relative ai 5 serial killer a cui si deve dare la caccia nel gioco.

Infatti, per chi non lo sapesse, ogni serial killer nell’idea originale doveva avere un livello specifico da superare prima di poterlo affrontare, ma nella release del 1999 figuravano solo 3 delle 5 aree previste.
Gli altri 2 serial killer erano stati inglobati nel livello dedicato al killer principale.
Tutte queste aree aggiunte garantiscono circa 5-6 ore aggiuntive di gameplay.
In questo caso l’unica nota negativa sono le battaglie con questi serial killer, distinte tra loro dallo stage e dalle armi utilizzate dal killer, ma tutte non troppo complicate e abbastanza ripetitive.

In Conclusione: Nightdive ha fatto un lavoro eccezionale nel creare questa remastered, il gioco è una piccola perla del passato oggigiorno spesso ignorata.
Di sicuro, per alcuni dei suoi elementi legati al periodo storico in cui è uscito, non è un gioco adatto a tutti i palati, ma io l’ho trovato divertentissimo da esplorare.
Personalmente uno dei migliori giochi che ho giocato e, che con buona probabilità, giocherò quest’anno.

FedeChief

ha scritto una recensione su Beneath a Steel Sky

Cover Beneath a Steel Sky per PC

Underworld

Beneath a Steel Sky nasce da una collaborazione tra Revolution Software, i quali diverranno famosi per la serie di Broken Sword, ed il fumettista inglese Dave Gibbons.

Il gioco datato 1994 ed uscito in origine per Amiga e MSDOS è un’avventura grafica punta e clicca di stampo classico.
Nel 2003 è stato reso pubblico il codice sorgente e quindi attualmente è possibile recuperarla gratuitamente sia su Steam e GOG, ma anche direttamente sul sito dello ScummVM.

Iniziando il gioco verremo catapultati nei panni di Robert Foster, un orfano che è stato adottato da un gruppo di persone che abita nell’outback australiano.
Successivamente catturato da un gruppo armato e trasportato ai piani più alti di un edificio in centro sarà nostro compito riuscire a scappare dalla città per tornare nel nostro luogo di appartenenza.
La storia durante la fuga si arricchisce con varie nozioni che ci porteranno a scoprire man mano i segreti che si celano sotto il tessuto urbano.

I personaggi che incontreremo saranno quasi tutti memorabili ed anche se l’impostazione della storia segue una trama con dei tratti più seri, non mancheranno di certo situazioni o dialoghi divertenti che ci strapperanno una risata.

I puzzle che il gioco ci piazzerà davanti non saranno mai eccessivamente complicati ed in poche occasioni richiederanno di utilizzare oggetti recuperati molto lontano o di pensare troppo fuori dagli schemi.
La vera sfida sarà rappresentata dal cosiddetto “pixel hunting”, un tratto che quasi obbligatoriamente affligge le avventure grafiche di quegli anni e che in qualche occasione può rallentare il proseguimento del gioco perché non si sarà notato un oggetto particolare in un area già esplorata.

La colonna sonora che accompagna il titolo è abbastanza nella media, ma riesce a dare la giusta atmosfera ad ogni sezione del gioco, anche dove in un primo momento può sembrare un po’ atipica.
Se giocato senza nessuna modifica si potrà ascoltare la OST nella maniera classica, non brutta, ma peggiore rispetto ad alcune opzioni che il gioco può supportare.
Grazie all’emulatore inserito all’interno dello ScummVM sarà possibile utilizzare le ROM con le librerie di suoni dell’MT-32, un fantastico sintetizzatore MIDI che migliora notevolmente la resa sonora del titolo.
[Su internet non mancano tutorial per far questo, ma mi metto a disposizione io stesso se qualcuno avesse qualche domanda]

Nota positiva nei confronti del doppiaggio incredibilmente diversificato e generalmente ben realizzato, anche se ogni tanto ha qualche scivolone rispetto agli standard odierni.
L’impianto cyberpunk del titolo garantirà lo sviluppo di un ottimo artstyle, a tratti anche sorprendente, senza contare le varie citazioni ad altre opere di cultura pop.

Un mio consiglio generale è quello di salvare ogni tanto, è infatti possibile imbattersi nel gameover e se non è presente un salvataggio relativamente vicino si dovrà ripercorrere un po’ di strada.
Per chi fosse interessato esiste una versione anche remastered, uscita esclusivamente per dispositivi Apple, con una colonna sonora rivisitata ed i comandi touch.

In Conclusione: Beneath a Steel Sky è un bellissimo gioco con ottimi puzzle, un racconto interessante e personaggi ben scritti.
Entra di diritto tra le mie avventure grafiche preferite e dato che viene distribuita gratuitamente non credo ci siano troppe scuse per non provarla.

9

Voto assegnato da FedeChief
Media utenti: 8.6

FedeChief

ha scritto una recensione su Perfect Dark (2000)

Cover Perfect Dark (2000) per Nintendo 64

Alien Intelligence

Dopo il rilascio di Goldeneye il team di sviluppo aveva tra le mani la possibilità di svilupparne un seguito sulla base del successivo film, ma EA era già riuscita a posare le zampe sui diritti per la serie di James Bond.
Rareware colse quest’occasione per focalizzarsi su un titolo che sfruttasse meccaniche e concetti che all’interno del panorama della serie di 007 non avrebbero trovato posto, stavano prendendo forma le prime idee per Perfect Dark.

Il gioco si ispira fortemente a prodotti come Blade Runner, Ghost in the Shell e X-Files mescolando molti dei loro elementi con lo stile un po’ più spensierato di Rare.
Nella trama abbastanza lineare, ma mai particolarmente banale sarà possibile riscontrare molti ingredienti classici come la rivalità tra corporazioni, conflitti alieni, complotti ed ovviamente lo spionaggio.

Partendo con il bagaglio dell’esperienza maturata con Goldeneye gli sviluppatori impiegano da subito delle tecnologie migliori per la realizzazione del titolo: un engine migliorato e delle tecnologie di motion capture più all’avanguardia, questo grazie anche ai nuovi spazi garantiti dal trasferimento dello studio nel nuovo edificio di Twycross, dove ancora oggi ha sede la software house.

A differenza del gioco precedente oltre alle classiche schermate di briefing saranno presenti delle cutscene all’inizio e alla fine di ogni missione realizzate tutte in motion capture, come tutte le animazioni di gioco.
Botwood, il designer che si è prestato per le animazioni, non ha un ottimo ricordo del periodo di ripresa, infatti ha dichiarato più volte che per garantire delle reazioni più naturali possibili veniva spinto con dei bastoni o legato e strattonato, anche se grazie al suo sacrificio abbiamo dei personaggi che si muovono egregiamente ancora oggi.

L’approccio al level design è più studiato e meno rilegato al concetto di “reverse” di cui ho parlato della recensione di Goldeneye.
Pur non abbandonando l’idea dei livelli liberi con obiettivi multipli in questo caso ogni area di gioco è stata calcolata e studiata per avere uno scopo ben preciso, giocando si nota una maturazione dei designer che gli ha permesso di creare qualcosa di decisamente più curato e strutturato.
Proprio come il predecessore giocare ad un livello di difficoltà piuttosto che un altro comporta obiettivi differenti da compiere, ma in questo caso il gioco si spinge ancora oltre offrendo in alcuni casi nuove aree da esplorare o intere sezioni di livello diverse rispetto alla difficoltà precedente.

Uno sparatutto non può vivere senza un arsenale di livello ed anche in questo Perfect Dark fa centro.
Durante il corso del gioco avremo a disposizione 40 armi differenti, tutte aventi (fatta eccezione per le legacy weapons) una modalità di fuoco alternativo che può variare anche drasticamente l’utilizzo dell’arma.
Il gioco ci fornirà anche gli strumenti necessari per testarle grazie ad un poligono di tiro a punteggio ed una modalità multiplayer con dei BOT personalizzabili.

Oltre alla modalità single-player che conta 17 missioni standard, 3 missioni speciali ed 1 sfida aggiuntiva, il gioco piò essere giocato nella sua interezza sia in cooperativa che in “contro-operativa” con un amico.
La counter-operative è una modalità peculiare dove uno dei due giocatori interpreterà a turno le varie guardie del livello opponendosi all’amico che giocherà come protagonista.

Il pacchetto del gioco si chiude con il multiplayer, qua più elegantemente chiamato Combat Simulator.
Alla sua base è figlio di Goldeneye anche questo: tantissimi personaggi tra cui scegliere, molte mappe e modalità personalizzabili, ma la grande novità di Perfect Dark è l’inclusione dei BOT (o Sims) già accennati in precedenza.
Infatti se si deciderà di affrontare una partita con dei BOT sarà possibile personalizzare il loro livello di difficoltà, ma soprattutto ad ogni personaggio presente in partita si potrà associare uno schema comportamentale.
C’è un Sim che odia le armi e farà in modo di girare la mappa raccogliendone il più possibile per non permettere agli altri giocatori di sparare, è presente un altro Sim che si accanirà solo su un giocatore scelto a caso, c’è un Sim codardo che ti attacca solo se hai un’arma più debole della sua… etc…

La colonna sonora fu affidata ai compositori interni di Rare, come da tradizione, ed è stata composta principalmente da Grant Kirkhope e Graeme Norgate, anche se il contributo di Norgate è nettamente inferiore, perché ad un certo punto abbandonò il progetto insieme ad altri membri del team di sviluppo per fondare Free Radical Design, dedicandosi alla creazione della colonna sonora di TimeSplitters.
Una delle novità introdotte dal team audio era la presenza di un doppiaggio, infatti a differenza della console concorrente, su Nintendo 64 era molto più complicato riservare spazio per dei dialoghi all’interno della cartuccia di gioco e non era scontata la sua inclusione.

Il doppiaggio è abbastanza buono, anche se ogni tanto volutamente caricaturale.
Nintendo sembrava voler insistere perché venisse assunto qualche attore per recitare delle parti, ma 20 anni fa a Rare sembrava assurdo spendere dei soldi in qualcosa di simile ed infatti ogni voce all’interno del gioco è realizzata dagli sviluppatori stessi, tradizione portata avanti per molti anni ed abbandonata solo recentemente.
Per esempio uno dei personaggi è doppiato da Chris Sutherland, attualmente Director in Playtonic Games, ma all’epoca famoso per le voci di Banjo, di Kazooie, di K.Rool o dell’annunciatore di Killer Instinct.

Gli unici punti dove il gioco risulta invecchiato sono i controlli ereditati a piè pari da Goldeneye e limitati dal singolo analogico e su hardware originale (pur avvalendosi dell’expansion pak) in molti casi il gioco faceva incredibilmente fatica a girare ad un frame-rate stabile.
Fortunatamente viviamo in un’epoca dove è possibile recuperare il gioco tramite la remastered per xbox 360, inclusa anche nella Rare Replay, che ci garantisce granitici 60fps e 4K di risoluzione sui nuovi sistemi.
[oppure su PC in versione originale senza limitazioni tecniche tramite emulatore “1964” con mouse e tastiera]

In Conclusione: Perfect Dark rappresenta una fantastica evoluzione di ogni singolo aspetto presente in Goldeneye, rappresentando un sequel spirituale perfetto.
Gioco per alcuni aspetti ancora oggi imbattuto chiude in bellezza la quinta generazione di console e simbolicamente trasferisce il testimone di “console per gli FPS” dal Nintendo 64 alla prima Xbox.

10

Voto assegnato da FedeChief
Media utenti: 9.5

FedeChief

ha scritto una recensione su Return of the Obra Dinn

Cover Return of the Obra Dinn per PC

"Captain! Open the door..."

Come il lavoro precedente di Lucas Pope, anche in questo caso ci troviamo davanti ad un esperimento unico nel suo genere.

Return of the Obra Dinn ci mette nei panni di un perito assicurativo che deve investigare sulla scomparsa dell’equipaggio del vascello Obra Dinn che si era disperso in mare.

Ad inizio gioco ci verranno dati un libro e un orologio, gli unici due strumenti che ci aiuteranno nell’impresa di identificare e scoprire le varie sorti delle 60 persone a bordo della nave.
Il libro sarà il nostro strumento principale per annotare ogni evento, persona e sorte che riusciremo ad individuare, oltre che a darci di base informazioni utili come l’elenco dell’equipaggio, la pianta e la rotta della nave.
L’orologio rappresenta il fulcro del gameplay del titolo, infatti tramite esso ogni qualvolta che ci capitasse di imbatterci in un cadavere o in un oggetto importante potremmo azionarlo per rivivere un frammento del passato che spesso corrisponde alla morte di qualcuno.

Gli indizi che il gioco ci fornirà non sono sempre sbandierati, anzi è raro che questo accada.
Per identificare le varie identità bisognerà prestare attenzione ad ogni minimo particolare scovabile nei molteplici ricordi o arrivare per esclusione alle varie identità.
Il modo di parlare, riferimenti di parentela, etnia, uniformi, abitudini… qualsiasi informazione reperibile non è mai casuale e tutte lentamente portano alle varie identificazioni.
A tutto questo dobbiamo aggiungere anche il fatto che il gioco non ti confermerà immediatamente se le tue supposizioni sono esatte, ma le convaliderà ogni 3 deduzioni corrette, portando il giocatore a ponderare più attentamente le proprie decisioni.

La veste grafica del titolo è la prima cosa che salta all’occhio, l’idea di utilizzare l’estetica ad 1-bit è decisamente peculiare.
Non solo questo tipo di grafica implementata in un gioco con visuale in prima persona porta il titolo a vivere di esistenza propria, ma l’ho trovata anche altamente funzionale dal punto di vista dell’immersione nella storia.
Il concetto di esplorare questo vascello abbandonato e colpito da chissà quale sventura aggirandosi tra i vari ponti e corridoi con questo gioco di bianco/nero restituisce immediatamente l’idea di star muovendoci dentro qualcosa di diverso dal solito, qualcosa di effettivamente vecchio e misterioso, oltre che a rendere benissimo riconoscibili i volti dei vari personaggi con la loro controparte raffigurata nel libro.
Sarà anche possibile cambiare palette cromatica dalle impostazioni, passando dall’aspetto Macintosh di default al nero nitido dell’LCD, al Blu Basic del Commodore 64 e altri colori derivati dai monitor di altri vari vecchi computer.

L’esplorazione della nave sarà particolareggiata dal silenzio più totale fatta eccezione per il rumore del legno e dell’eventuale pioggia.
La musica è comunque presente e rappresenta uno degli aspetti che più ho amato del gioco, infatti servirà per evidenziare ogni avvenimento accaduto e farà da sfondo ogni volta che useremo l’orologio ed esploreremo il passato della nave.
Anche in questo caso l’effetto reso insieme alle immagini l’ho trovato estremamente suggestivo.

In Conclusione: Return of the Obra Dinn è un gioco unico nel suo genere, con uno stile fantastico e un gameplay intelligente che non prende mai per mano il giocatore.
Ogni conquista nel gioco è solo merito delle tue intuizioni e completare tutto il registro dell’equipaggio da una grossa soddisfazione.
Sicuramente non un gioco adatto a chiunque, ma se a leggere questa recensione vi è anche solo venuta mezza voglia di provarlo non aspettate oltre e correte a recuperarlo.

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