Pot-pourri
L'horror vanta una quantità esorbitante di archetipi e sottogeneri che hanno plasmato l'immaginario collettivo nel corso dei secoli. Riletture, mescolanze e ribaltamenti di questo immaginario e dei suoi protagonisti permettono al genere di rimanere in piedi, così che ancora oggi si parli con fascinazione di demoni, vampiri e fantasmi, pur non essendo più questi gli stessi di duecento anni fa.
Resident Evil Village è a suo modo tante cose: un horror gotico popolato da vampiri e licantropi, un'avventura barocca, un soft-horror tesissimo e dalle venature psicologiche, una parodia nient' affatto velata, un action fantascientifico e una fiaba oscura. I suoi personaggi sono sempre ridicoli e farseschi e nulla di quello che accade su schermo chiede di essere preso sul serio, partendo dalle premesse stesse su cui viene imbastita la trama. Eppure l'atmosfera rimane serrata su toni cupissimi almeno per tutta la prima metà, che è anche la più ispirata e l'unica probabilmente che vi rimarrà impressa.
Come per il suo predecessore, anche in Village la parte più succosa è il prologo, fino all'arrivo al castello. Qui giocherete con il fiato sospeso e gli occhi spalancati per il terrore e la meraviglia del tutto. Il castello Dimitrescu, con Alcina e le sue figlie, è un capolavoro di luci e design, mentre l'impalcatura sonora che abita tutte le centinaia di stanze de castello obbligano il giocatore a rimanere sempre sull'attenti. Questa è anche la parte più simile, per costruzione, alla dimora dei Baker di Resident Evil 7.
Già con Villa Benevento vi renderete conto che, per ogni zona nuova in cui vi troverete, il gioco vi chiederà approcci e attenzioni diverse. Qui, per esempio, non avrete armi, e tutto ciò che vi si chiederà di farà sarà risolvere enigmi a catena, tutti piuttosto semplici rispettando una tradizione avviata già con il precedente capitolo. Questo fino a quando non si spegneranno le luci. Lì, poi, dovrete nascondervi. È la parte più ansiogena del gioco e la più vicina agli stilemi imposti da recenti horror di successo come Outlast.
Andando avanti, il gioco vi chiederà sempre meno di risolvere enigmi e sempre più di scaricare il vostro arsenale contro orde di nemici di ogni tipo. Se non vi piace sparare, potrete disinstallare il gioco appena sconfitto Moreau, il terzo dei quattro guardiani del villaggio.
Il villaggio è liberamente esplorabile, ma non c'è nulla di realmente interessante e le attività da svolgere si riducono a due: sparare ai lycan e raccogliere munizioni/tesori nascosti. Le aree precedentemente esplorate come il castello o la Villa non sono invece più esplorabili dopo aver concluso le sezioni narrative al loro interno, ma sarebbe stato più interessante poter tornare ad esplorare quelle aree, magari con qualche boss segreto all'interno.
Le bosse fight sono tutte incredibilmente semplici, al punto da risultare quasi un anti-climax rispetto a tutto ciò che il gioco ci ha proposto nelle sezioni precedenti allo scontro. Si risolvono sparando con molta calma contro nemici goffi e lenti, e in un caso lo scontro non è proprio presente.
Cosa dire, quindi? Un'esperienza che raccoglie quasi ogni forma di horror pensabile e sperimentabile in una manciata di ore (circa dieci), che coinvolge - tanto - nella prima parte con soluzioni visive di grande impatto e un'atmosfera perfetta, da manuale, e scema vistosamente nella seconda metà, che diverte rinunciando alla freschezza che aveva caratterizzato il gioco dalle prime battute. Certo che, se amate sparare con armi sempre più grosse e pacchiane, non avrete di che lamentarvi. Quello che manca, invece, alla totalità dell'esperienza è un concreto livello di sfida: se le boss fight sono semplici e l'esplorazione fin troppo lineare, gli enigmi sono invece a prova di deficienza.