Welcome to Noir York City
Correva l'anno 2002. Io ero uno scapecciato diciassettenne, ormai da almeno un lustro in fissa con Nintendo. Avevo già in casa un Gamecube preso al dayone (anzi il giorno prima).
Era pieno inverno e il freddo mentre camminavo per strada tornando da scuola mi tagliava la pelle come lame di ghiaccio.
Meglio rintanarsi in casa magari davanti la console.
Pareva un pomeriggio come tanti quando ad un tratto il portone di casa si spalancò come le porte dell'inferno. Il freddo mi penetrava le budella ripiene di Nutella mentre una sagoma faceva capolino all'interno della magione.
Quando le tende del portone smisero di agitarsi in preda al vento come signorine in preda ad una crisi isterica riconobbi la figura di mio padre.
Era lui si ma aveva qualcosa stretto tra le braccia.
Era il suo nuovo PC. Un Olidata per chi se la ricorda o era abbastanza grande al tempo da non starsene più sotto la sottana della donna che lo ha messo al mondo.
Lo montammo in balia alla frenesia come tossici in preda ad una crisi di astinenza.
Aveva anche un nuovo monitor, probabilmente proveniente dalla cina. Roba strana, molto più sottile dei normali tubi catodici, mi chiedetti come facesse a funzionare.
Una volta avviato notai subito un nuovo tipo di Windows. Si chiamava XP, nome esotico e che mi convinceva poco. Oggi avrebbe potuto tradursi in un emoji ma allora non esistevano.
Chissà se sarebbe riuscito a sostituire l'ottimo '98 nel mio cuore da ex pcista, ormai inaridito come il deserto del Nevada.
Ad ogni modo premuto start e aperto il menù a tendina il mio sguardo fu catturato come un ronzino al lazo di un cowboy da un software insolito.
Il suo nome era Max Payne, roba Yankee pensai.
A ben rimembrare avevo già visto quel nome da qualche parte. Probabilmente tra le pagine di Consolemania o qualche altra rivista dell'epoca. Non aveva catturato la mia attenzione al tempo, sulla spigolosa console Nintendo non sarebbe uscito e io ero più tipo dagli occhi a mandorla, almeno come software.
Guardai mio padre giocarci, non era mai stato un videogiocatore, salvo casi sporadici e arcaici e vederlo gestire mouse e tastiera in un mondo 3D non era un bello spettacolo.
Era goffo e impacciato, come un verginello in un covo di baldracche consunte, ed il povero Payne finiva spesso per rotolare contro il muro o i bidoni dell'immondizia della metropolitana Newyorkese.
Il giorno dopo mentre lui era ancora al lavoro anch'io feci conoscenza di quel mondo sporco e rancoroso. Non mi dispiacque ma neanche mi conquistò. In fondo pareva la brutta copia del Punitore e a me piacevano giochi più ragionati, alla Goldeneye.
Introduceva il Bullet Time nel mondo dei videogiochi ma a me Matrix non era mai piaciuto, forse perché me lo fece vedere un professore a scuola e inconsciamente il mio cervello rifiutava tutto ciò che proveniva da quelle mura, chi lo sa.
Mi promisi di ritornarci sopra ma già pensavo a far digerire all'Olidata roba come MGS2 Subsistance o Shadow of Memories e fu così che io e Max non ci vedemmo più. Ognuno in corsa su binari paralleli destinati a non incontrarsi mai.
Però si sa il Signor Payne non è tipo da lasciare faccende in sospeso e chiude sempre i conti aperti.
Oggi alle porte dei quarant'anni non sono più quello di allora. Le speranze ed i sogni stanno lentamente lasciando il posto ad acciacchi e pesi da portare sulle spalle.
La mia vita tutto sommato va bene, non mi lamento. Solo il tempo sembra sfuggirmi inesorabilmente dalle mani, come uno sgusciante serpente a sonagli che va a rintanarsi sotto una cocente pietra dell'arizona.
Non so se ho realizzato il sogno Americano ma almeno io moglie e figlia li ho ancora.
Ogni tanto frequento una bettola chiamata Ludomedia, spesso c'è gente strana al suo interno. Gente che non ha niente da perdere tra Hater, Troll, Fake, personalità multiple, depravati, feticisti dei piedini, persone che non sanno chi sono e altre che ucciderebbero per una PS5.
Fortunatamente ogni tanto si incontra anche qualcuno d'interessante, tra questi (pochi) c'è uno che se ne va in giro con un cappello da pirata e ha una faccia da gatto. Pare sapere il fatto suo tra giochi Rari e Capi Mastri.
Così tra un whisky e l'altro inizia a blaterare di Alan Wake e della storia di Remedy. La prende alla lontana e dopo aver citato giochi di rally mortali inizia a parlare di lui. Si Lui il poliziotto rinnegato, quel Max Payne che avevo conosciuto fugaciemente più di vent'anni prima.
Il destino è beffardo si sa e così nonostante l'Olidata ormai sia cibo per avvoltoi da lustri, in una nuvola di vapore compare di nuovo sul mio PC attuale. Era in saldo dicono, saldi di autunno o roba simile.
Va bene asserisco, appena posso magari gli darò una seconda possibilità ma ora ho altro per la testa.
Payne però non è un tipo paziente e qualche giorno dopo si presenta direttamente alla mia porta sotto forma di versione Xbox.
Ora non posso più evitarlo, mi ha trovato. Ci puntiamo entrambi la pistola alla testa. Lui ha una Desert Eagle, roba Americana, io una nostrana Beretta. Potrebbe farmi saltare facilmente le cervella e spargerle per tutta la cucina se volesse e invece si limita a guardarmi dritto negli occhi, immobile.
Dopo qualche secondo che sembrano ore si muove, accenna un ghigno, forse un sorriso ma non credo si ricordi come si facciano.
Ha una faccia strana, difficilmente interpretabile, quasi imperscrutabile ma me lo faccio bastare. Mettiamo giù i ferri e ci spostiamo di sotto in taverna. Mentre osserva la mia collezione preparo due whisky, a lui piace annusarlo e sentirne il sapore in bocca. Ci sediamo e iniziamo a parlare.
Devo ammetere che più lo conosco e più mi piace, anche lui è invecchiato come me ma non ha perso il suo smalto.
In fondo è un tipo divertente e alla mano e le storie che ha da raccontare fanno decisamente presa sul me attuale.
Mi piace proprio il suo stile, bada al sodo e ha carisma da vendere. Tra l'altro ha proprio una bella voce.
Mi parla delle difficoltà che ha dovuto affrontare, di nemici scaltri, intelligenti e capisco che oggi non ci sono più gli sgherri di una volta.
Scopriamo pure di avere delle cose in comune, ad entrambi piace Twin Peaks.
Le ore in sua compagnia scorrono veloci, non sono state tante ma di qualità.
Poi si alza e fa per andare, lo accompagno alla porta, più per sincerarmi che non la sfondi a calci che per timore non trovi l'uscita. È già fuori e il sole del tramonto lo illumina come un pistolero alla fine di un bel Western. lo ringrazio per essere passato, mi sarei perso tanto altrimenti. Lui si gira appena, fa il suo solito ghigno e s'incammina.
Sembra compiaciuto ma non faccio in tempo a chiderglielo che già non lo vedo più, sparito più in fretta dello stipendio di un giocatore incallito di video poker.
Quel che mi rimane oltre al sapore del Whisky in bocca è una piacevole sensazione e la consapevolezza di non avere più conti in sospeso.
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Luca Strife
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Quella dell'emoji è da segnare