Vendetta Giurata
Racconto
Era una giornata tranquilla. Fuori pioveva da giorni, nella mia scrivania nessun nuovo caso era arrivato. All’improvviso dalla finestra del mio ufficio scorsi l’arrivo di corsa di un agente che aveva un pacco in mano; l’agente aprì violentemente la porta ed entrò con affanno: le ciambelle mangiate giornalmente di certo non lo aiutavano.
Mi consegnò il pacco; io chiesi dove lo avesse preso e mi rispose che un mendicante giù in strada glielo aveva dato con la raccomandazione di recapitarlo con urgenza al Tenente di polizia John McCheyne: io!
Uno strano ticchettio proveniva dall’interno dal pacco; con prudenza lo aprì e il mio sguardo si posò su un orologio, un comune orologio che stranamente terminò la sua corsa alle ore 19.30.
In quel momento non avevo idea di cosa significasse; allora scesi in strada e raggiunsi l’uomo che aveva consegnato il pacco all’agente: era un medicante che passava i giorni a bere e chiedere elemosina.
Mi avvicinai mettendo due dollari nel suo sporco cappello. Chiesi del pacco e lui, con uno sguardo vuoto confuso dal Jack Daniels ormai finito, rispose che il pacco gli era stato dato da un uomo molto generoso che gli aveva donato 20 dollari.
Gli domandai che aspetto avesse questo tizio, ma non ebbi grandi risposte; riuscì solo a dirmi che era un uomo bianco con capelli scuri: il whisky ormai aveva fatto il suo corso.
Lo lasciai lì mezzo ubriaco e rientrai nel mio ufficio.
Le ore passarono cercando risposte, discutendo con i miei colleghi che, sfottendomi, dicevano che si trattava di un avvertimento di mia moglie per ricordarmi di rincasare presto ed evitare che finisse come l’ultima volta quando…., meglio tralasciare i dettagli.
Fissavo continuamente l’orologio che segnava sempre le 19.30. Alle 22,00, il telefono del mio ufficio squillò: Donald mi comunicava che un omicidio era stato commesso nel Queens.
Una donna era stata trovata morta. Mi raccomandò di raggiungerlo in fretta; di corsa presi l’auto ed arrivai nel Queens. Già la scientifica era al lavoro; entrai nella casa insieme a Donald che mi portò dalla vittima: era adagiata sul divano con la testa inclinata e con un foro di proiettile in centro sulla fronte.
Una particolare turbò il mio sguardo: un orologio lì nella casa era fermo alle 19,30. Donald, anche lui a conoscenza del pacco recapitatomi, mi chiese se potesse avere qualche legame con l’omicidio, mai io non seppi rispondere. Continuai a girare per la casa e mi accorsi, con stupore, che tutti gli orologi lì presenti erano fermi allo stesso orario: le 19,30.
Il medico legale mi raggiunse e mi comunicò che l’ora del decesso coincideva all’incirca con l’ora riportata in tutti gli orologi presenti nella casa.
Tornai dalla vittima e un poliziotto della scientifica mi si avvicinò facendomi notare un orologio che aveva trovato stretto tra le mani della vittima: era identico a quello che avevo trovato in quel misterioso pacco. Questo orologio però segnava le 3.30.
Di colpo un brivido mi percosse la schiena. Chissà se quella sarebbe stata l’ora del prossimo omicidio ?
Non c’era tempo, non avevamo indizi; sapevamo solo che il killer usava un silenziatore dato che nessuno nei paraggi aveva sentito alcunché (questa ipotesi era confermata anche da un livido tondo sulla fronte della vittima).
Chiesi allora chi avesse dato l’allarme, chi avesse chiamato la polizia. Donald rispose che la telefonata proveniva da un telefono pubblico. Altro caso strano la porta non aveva segni di scasso; o l’assassino conosceva la vittima o, cosa molto più probabile. la porta al suo arrivo era aperta. Il modo in cui la donna fosse stata uccisa e il fatto stesso che qualcun altro alle 3.30 avrebbe potuto lasciare questo mondo, mi faceva escludere la pista della di una relazione di conoscenza tra la vittima e l’omicida.
All’improvviso, lo squillare di un telefono scosse i presenti, Risposi e un uomo chiamandomi per nome (inserì il viva-voce) disse che quello era solo l’inizio, che dovevano pagare per ciò che avevano fatto. Di cosa stai parlando ? di chi ? gli domandai, lui rispose di cercare nel passato e riagganciò.
Proprio non capivo. Donald mi chiese di pensare a qualche avvenimento passato, ma in quel momento pensare era difficile. Intanto alle 3.30, molto probabilmente, qualcun altro sarebbe morto, il problema era chi!
Alle 00.30 rientrai in ufficio e con l’aiuto dei miei colleghi misi sotto sopra i fascicoli dei miei vecchi casi. Niente di niente, non sapevo cosa e chi cercare ma, all’improvviso, alla vista del nome Ted Price mi ricordai di un avvenimento che avevo rimosso da tempo dalla mia mente.
Ted Price era il padre di una ragazza ventiduenne che era stata stuprata e uccisa dal suo compagno.
Mi ricordai che il padre, un giorno, venne in centrale insieme alla figlia per denunciare l’uomo per presunte percosse; la figlia negava e diceva che con quel ragazzo stava benissimo. Consigliai al padre che forse era meglio, prima di fare la denuncia, parlare con questo uomo.
Il padre, vedendo l’agitazione della figlia, accettò le mie parole e andarono via. Fu registrata solo la segnalazione, niente di più.
Ma passò una settimana e ricevemmo una telefonata dal padre; sul registro viene riportata l’ora della telefonata: le 19,30. Il padre ci avvertì di aver ricevuto una chiamata di aiuto dalla figlia che si trovava a casa dell’uomo segnalato. Non arrivammo in tempo: l’uomo era lì con un coltello in mano e la ragazza senza vita accanto a lui.
Il caso arrivò in tribunale. Al ragazzo venne diminuita la pena dall’ergastolo a 35 anni a causa degli atteggiamenti della vittima che la difesa escogitò e rese noti per la diminuzione della pena: la ragazza, in poche parole, era la ragazza del quartiere al servizio di tutti i bisognosi di un po’ di sesso, una puttana di facili costumi.
Il padre della vittima, dal canto suo, dichiarò vendetta alla giuria per la sentenza pronunciata. Da quel momento passarono cinque anni senza che se ne sapesse più niente.
Scorrendo il registro trovai i nomi dei giurati. Uno di questi corrispondeva con la vittima delle 19.30: la signora Annie Stevenson.
Immediatamente capì che Ted Price era tornato a chiedere vendetta: voleva uccidere i giurati che avevano ridotto la pena all’assassino di sua figlia. Le 3,30 si avvicinavano, bisognava muoversi. Presi l’indirizzo di tutti i giurati e mandai una pattuglia a casa di ognuno.
2.45
All’improvviso, da una pattuglia mandata nella casa del giurato Anthony Smith a Brooklyn, arrivò la segnalazione che un individuo stava entrando furtivamente nella casa. Dissi all’agente di intervenire. Io ed il mio collega Donald ci precipitammo verso Brooklyn, Arrivati trovammo l’auto dell’agente parcheggiata davanti la casa senza nessuno dentro ed entrammo nella casa.
Una scia di sangue si diramava davanti a noi. Sentimmo delle urla che venivamo dalla cucina e lì trovammo una donna e due bambini imbavagliati: si trattava della moglie e dei figli del giurato. Appena libera la donna urlò che c’era un uomo dentro la casa. Dissi a Donald di rimanere lì e di chiamare rinforzi e un’autoambulanza .
Io salì al primo piano della casa e trovai l’agente sanguinante appoggiato in un muro. Gli chiesi dove fosse stato colpito e lui rispose che non c’era tempo: l’uomo era nella camera da letto con l’intenzione di uccidere il giurato, ad ogni costo ! L’agente sanguinava ma per fortuna era stato colpito di striscio, niente di preoccupante.
Mi indicò l’ubicazione della camera da letto: in fondo al corridoio a destra. Entrai con la pistola puntata esclamando che ormai era finita. Una voce rispose alla mia affermazione –“Finirà quando tutti moriranno”-, era la voce di Ted; non avrei mai potuto dimenticarla da quando la sentì in quella aula di tribunale: quella voce rauca e quasi claustrofobica era la sua.
Entrai, vidi il suo volto che sembrava un demonio. Gli ordinai di lasciare Anthony, ma lui non mollava; gli dissi che i rinforzi sarebbero arrivati a breve e che per lui non c’era più niente da fare.
Mi chiese come stava la signora Stevenson e gli risposi che era solo un pazzo e che tutto questo non gli avrebbe ridato sua figlia. Lui strizzò gli occhi e delle lacrime vennero giù dal suo volto. Si rivolse al giurato, lo guardò negli occhi e premette il grilletto. Io come reazione quasi senza accorgermene premetti il grilletto e una pallottola bucò la testa di Ted Price. Ted morì sul colpo, un orologio, lì accanto a lui, segnava le 3.30. Anche il giurato morì ma eravamo riusciti a salvare gli altri.
L’indomani, un’altra giornata di lavorò iniziò. Il caso Price si era concluso in una notte con tre morti.
Spero riposino in pace.