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Su Oppio Nero - La stanza degli incubi

Quando la notte cala, il tormento è vicino.Raccontaci i tuoi incubi. Noi ne rideremo. “You see, the strangeness of my case is that now I no longer fear the invisible, I’m terrified by reality.”

Barattolo

Lo posto anche qua dopo averlo postato nella stanza di Melchio perchè il posto è adatto e a M4ddok piace la partecipazione

O a Charlie, non si capisce mai un cazzo con quei due

Nell'estate dei miei 16 anni decisi, assieme a mio cugino, di guardare Paranormal Activity 2. Lo guardammo tutto, e non ne rimasi troppo impressionato sebbene un po' di ansia l'avessi provata durante la visione. Bene, quella stessa sera sognai che ci fosse il terremoto e mi svegliai letteralmente terrorizzato, correndo nel letto di mia nonna (nella casa estiva stavo sempre con mia nonna perché perché mio padre lavorava) proprio non riuscivo a stare da solo - ero in panico completo. Ma non è questo il sogno di cui voglio parlare. Rientrato dalle vacanze, dopo circa tre mesetti, feci un sogno che mi segnò più di ogni altra cosa a mia memoria. In quel periodo, dati i genitori separati, due giorni a settimana ero solito andare da mio padre, e seguivo una certa routine: alle 18:30 ca. preparavo lo zaino per il giorno dopo, controllavo che tutto fosse a posto e scendevo. Bene il mio incubo si apre così. Sono appunto in cucina che metto gli ultimi quaderni nello zaino poggiato sul tavolo quando all'improvviso squilla il telefono della cucina. E' una scena così vivida e verosimile che nella mia testa stava accadendo davvero. Ma non davvero come capita di solito nei sogni, davvero davvero. Rispondo al telefono: nessuno dall'altro lato, solo un ansimare leggermente inquietante. La linea si chiude. Rimango un po' stranito, ma penso sia uno scherzo telefonico. Così mi dirigo verso la porta della cucina per passare in camera mia a prendere le ultime cose: è tutto iperrealistico, le proporzioni, la casa, il colore leggermente freddo delle lampadine. Supero l'arco della porta e vedo, in fondo al corridoio, un uomo con i capelli scuri, leggermente ispidi. La pelle è bianca cadaverica, e il volto è ricoperto da tagli ben aperti, vividamente rossi. Indossa un camice bianco, come da laboratorio, e si avvicina verso di me come levitando, anche se i suoi piedi non sembrano staccati da terra. I suoi piedi con quei pantaloni marroni, di velluto pesante, e quelle scarpe ordinarie ma inspiegabilmente strane. Si avvicina e mi fissa con i suoi scuri occhi totalmente inanimati ma paradossalmente vivi, certamente vivi. E' assurda una cosa del genere, ma è tutto fottutamente reale, perfetto in ogni dettaglio. Nemmeno una stranezza, una sproporzione, casa mia è una riproduzione perfettamente fedele, pure lo scandire del tempo è realistico: nulla mi indica che quello sia un sogno, nulla. E sono comunque troppo spaventato, in effetti paralizzato dal terrore per pensarci: quest'uomo mi si avvicina con una lentezza agonizzante, fissandomi, senza mai distogliere lo sguardo. E io pietrificato lo guardo dritto negli occhi, non riesco a respirare, i miei muscoli sono rigidi quasi a rendermi una statua. L'uomo si avvicina, si avvicina, si avvicina, tenendo in mano un coltello da cucina da 30 centimetri, ben appuntito, finché non è ad un palmo dal mio naso. Mi fissa per qualche secondo che io percepisco come un'eternità impietrito nel mio più profondo, assoluto e mai più provato terrore (Ve lo assicuro, mai più provato un terrore così) e... e gira l'angolo del corridoio verso il salone. Scompare. Non ricordo se nel sogno feci la follia di andare a controllare se fosse in salone o fosse scomparso o se mi svegliai dopo che lui girò l'angolo, ricordo solo che aprii gli occhi completamente impanicato, cercai di rilassarmi ma fallii miseramente e andai da mia madre, in completa crisi, piangendo come un bambino, e rimasi a dormire con lei quella notte. Dopodiché non riuscii più a stare solo a casa per mesi, forse un anno intero, e quando stavo solo portavo sempre con me una balestra da 18 libbre già carica. In particolare non riuscivo proprio a fare lo zaino per andare da mio padre, proprio il mese successivo.