Thimbleweed Park – Recensione

Era il 18 novembre 2014 quando Ron Gilbert, considerato a ragione una leggenda vivente nel campo delle avventure grafiche, rivelava per la prima volta sul suo blog Grumpy Gamer l’intenzione di realizzare un nuovo titolo che si ispirasse a capisaldi del genere come The Secret Of Monkey Island e Maniac Mansion.

In verità le prime nostalgiche conversazioni su quanto sarebbe stato affascinante riprendere le meccaniche e le atmosfere di quelle avventure degli anni ’80 e ’90 risalivano a un’appassionata discussione di molti mesi prima tra lo stesso Gilbert e Gary Winnick, altro veterano del genere con al suo attivo titoli come Loom di Lucasarts (a quel tempo conosciuta ancora come Lucasfilm Games) e Labyrinth.

Fu proprio Winnick a proporre a Gilbert, con il quale aveva già collaborato alla realizzazione di Monkey Island, Maniac Mansion, Indiana Jones And The Last Crusade e Zak McKracken And The Alien Mindbenders, di realizzare insieme una nuova avventura grafica.

Gilbert, che aveva accettato la proposta senza pensarci due volte, aveva subito proposto di finanziare lo sviluppo della nuova avventura tramite campagna Kickstarter, ormai immancabile in questo genere di produzioni. I due fissarono un budget di 375 mila dollari, obiettivo che venne raggiunto e superato in breve tempo, tanto da permettere di introdurre nel titolo finale molti miglioramenti, di approfondirne le meccaniche e di assumere un team professionale, nel quale figuravano anche Mark Ferrari e David Fox, ex colonne dei tempi gloriosi di Lucasarts.

Sviluppato e distribuito da Terrible Toybox, azienda costituita dagli stessi Gilbert e Winnick, questo Thimbleweed Park riesce a riportare su Steam e su Xbox One (nei prossimi mesi sono previste anche versioni per PlayStation 4, iOS, Android e probabilmente anche per Nintendo Switch) tutto il fascino e la giocabilità delle gloriose avventure punta e clicca che hanno ormai fatto la storia del genere.

Tra l’altro il titolo è stato al centro di una curiosa e accesa discussione su internet per una motivazione tra le più inutili: in una delle stanze del gioco, per la precisione un bagno, il prode designer aveva posizionato il rotolo della carta igienica nel lato sbagliato. Da qui partì una sorta di indignata campagna con centinaia di utenti che aggredirono il povero Gilbert, reo di cotanta trascuratezza nei dettagli. Non stiamo scherzando. Ma mister Maniac Mansion reagì con la consueta classe e ironia, inserendo nel titolo finale un’apposita opzione per spostare il rotolo incriminato nella posizione giusta.

Thimbleweed Park
A destra, il rotolo incriminato

Tra Twin Peaks e X-Files

La nostra storia inizia nel 1987 a Thimbleweed Park, amena cittadina che sembra ricordare molto i picchi gemelli di un certo David Lynch, un’impressione accentuata dal ritrovamento di un cadavere nel fiume.
A indagare vengono inviati due agenti dell’FBI: Angela Ray, esperta, abile e ormai disincantata, e Antonio Reyes, entusiasta e incuriosito da tutto e da tutti. Un’altra gustosa e riuscita citazione a una ben nota opera di un certo Chris Carter, confermata dalla somiglianza anche estetica tra le due coppie di agenti federali.

Giunti nella cittadina, Angela e Ray iniziano subito a darsi da fare, con tutto il corredo di strumenti e tecniche degli anni ’80, per fare luce sul macabro ritrovamento nel fiume. Ma mentre Antonio si getta subito con entusiasmo nelle indagini, Angela non vede l’ora di chiudere la questione per tornarsene a casa convinta, a torto, di avere a che fare con un caso di morte accidentale.

Mentre i due emuli di Dana Scully e Fox Mulder sono impegnati nelle loro indagini, ci spostiamo in un altro luogo e in un altro tempo, dove il pagliaccio Ransome, vanesio, egocentrico e talmente scurrile da detenere persino i diritti d’autore delle sue imprecazioni, si trova nel circo dove lavora alle prese con il problema di doversi truccare ogni sera prima di uno spettacolo. Problema che si risolverà, per così dire, in modo piuttosto drastico.

Spostiamoci di nuovo: l’aspirante sviluppatrice di videogiochi Delores Edmund e i suoi fratelli sono concentrati nella lettura del testamento del ricco zio, mentre al 13mo piano dell’albergo di famiglia, l’Edmund Hotel, un disorientato Franklin tenta di mettersi in contatto con la figlia. Unico ostacolo: il povero Franklin è morto stecchito, ormai ridotto a un fantasma, e non ha la minima idea di cosa gli sia successo.

Cinque personaggi per altrettante storie, che partiranno in modo indipendente per poi riunirsi in un meccanismo eccellente e ben studiato, che nonostante l’apparenza scanzonata del progetto non ci farà mancare momenti maturi o addirittura di ansia, vista anche l’ottima atmosfera.

La storia di Thimbleweed Park, scritta dallo stesso Gilbert insieme a David Fox, Jenn Sandercock e Lauren Davidson, è uno dei lati migliori dell’opera di Terrible Toybox, forte di una trama solida e complessa, di dialoghi intelligenti e talvolta surreali e di personaggi ottimamente caratterizzati e affascinanti. E non poteva essere diversamente, visto il curriculum degli sviluppatori.

Thimbleweed Park
La nostra coppia di agenti federali. Forse ci ricorda qualcuno.

Ritorno alle origini del punta e clicca

Il sistema di controllo di Thimbleweed Park è basato sul motore SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) creato dallo stesso Gilbert insieme a Aric “Scumm Lord” Wilmunder nel 1987, in cui le azioni vengono effettuate combinando fra loro gli elementi e i personaggi presenti sullo schermo con gli oggetti nell’inventario, utilizzando una serie di azioni preimpostate presenti nella parte bassa della schermata. Mentre un doppio click del pulsante sinistro del mouse permette di correre, la pressione del destro esegue in automatico l’azione più indicata in quel contesto.
Un meccanismo semplice, ma che nell’insieme, vista l’enorme quantità di combinazioni possibili, permette di creare anche azioni complesse e mirate.

La scelta di affidarsi a meccaniche di controllo vecchie ormai di 30 anni (che in termini videoludici sono praticamente un’era geologica) potrebbe sembrare anacronistica e scomoda, soprattutto se confrontata con produzioni più recenti dello stesso genere, che puntano a una semplificazione dei controlli talvolta troppo estrema. Ma l’idea di Gilbert e Winnick si rivela vincente: riprendere la mano con le varie combinazioni di oggetti e di azioni risulta in breve tempo veloce e intuitivo (soprattutto per chi ha vissuto l’epoca d’oro delle avventure grafiche) grazie anche a situazioni ed enigmi che risultano talvolta complessi ma sempre abbastanza intuitivi. Siamo ben lontani, quindi, dal famoso enigma della scimmia/chiave inglese di The Secret Of Monkey Island.

Nella schermata di gioco, oltre alle azioni e all’inventario, troveremo in alto a destra le icone delle opzioni (classiche, tra salvataggio, caricamento e altro) e del cambio personaggi. Perché anche qui, come in Maniac Mansion, sarà spesso necessario passare da un personaggio all’altro, scambiandosi anche gli oggetti, per risolvere le varie situazioni dell’avventura, arricchendo in questo modo un gameplay già di suo complesso e divertente.

Una scelta, quella di mantenere cinque personaggi giocabili, che permette di avere ben sei finali different: uno in cui tutte le indagini si concludono perfettamente e altri cinque dedicati ai vari protagonisti, così da garantire anche un’alta rigiocabilità, piuttosto rara in un’avventura grafica. La presenza di due tipologie di gioco, una casual con tutorial iniziale e meno enigmi e una difficile per gli avventurieri più navigati, permette anche ai meno esperti di avvicinarsi all’opera di Gilbert e Winnick.

Manca, a dire il vero, un pulsante per evidenziare tutti gli hotspot presenti sullo schermo, incluso ormai in gran parte delle avventure grafiche. Ma è una mancanza che si nota poco: paradossalmente, infatti, la grafica volutamente pixellosa e retro di Thimbleweed Park permette meglio di notare gli oggetti con cui interagire, rispetto a quanto accade in produzioni di ben altra potenza estetica.

Thimbleweed Park
Non manca l’opzione per un comodo tutorial iniziale

Tutta la gloria del pixel

La scelta coraggiosa, ma riuscita, di Gilbert e Winnick di ispirarsi all’epoca d’oro delle avventure grafiche si è estesa anche al comparto tecnico. Thimbleweed Park, infatti, non ricorda lo storico Maniac Mansion solo per le meccaniche, i personaggi e gli enigmi, ma anche per l’aspetto estetico in un trionfo di pixel art.

Utilizzata spesso nel campo delle avventure grafiche (ma anche in altri generi, come nel semi sconosciuto Slain: Back From Hell) la pixel art riprende perfettamente, anche se con colori e definizioni più efficaci, quel comprato tecnico tipico delle produzioni a 8 bit degli anni ’80.

Una scelta che, come nel caso dell’utilizzo dello SCUMM, potrebbe sembrare ormai fuori tempo massimo, ma che si rivela anche qui vincente. Ogni singolo pixel della nostra avventura, infatti, risulta piacevole e perfettamente inserito nel contesto, grazie anche a un’atmosfera tra le migliori mai viste in questo genere e a un utilizzo dei colori sempre azzeccato.

Non una semplice operazione di nostalgia, quindi, ma una scelta studiata e intelligente che, insieme alle meccaniche da vecchia scuola, permette di immergersi ancora meglio in quello che, in definitiva, è lo scopo finale di Gilbert e Winnick: ricreare il fascino dei punta e clicca dell’epoca d’oro di LucasArts.

Dal punto di vista sonoro troviamo musiche ben riuscite e orecchiabili, che probabilmente non faticheranno a diventare un classico come la musica iniziale di Monkey Island, e un doppiaggio (in inglese, con sottotitoli in varie lingue italiano incluso) ben riuscito.

Thimbleweed Park
nell’avventura prenderemo il controllo di vari personaggi

Pur senza togliere nulla a molti eccellenti punta e clicca di questi ultimi anni, ci volevano Ron Gilbert e Gary Winnick, insieme ad altre firme della storica LucasArts, per riportare il genere agli autentici splendori degli inizi. L’utilizzo del motore SCUMM funziona ancora bene, nonostante abbia ormai tre decadi addosso, gli enigmi risultano sempre ben studiati e intuitivi e le meccaniche generali non mostrano segni di cedimento o di frustrazione, nonostante la complessità causata dalla presenza di cinque personaggi le cui storie andranno sempre più a incrociarsi. La presenza di una modalità di gioco più semplice permette anche agli avventurieri meno navigati di avvicinarsi a questa affascinante e divertente storia. Oltre che un’eccellente avventura grafica, quindi, quella di Terrible Toybox è una dedica di rispetto e amore nei confronti di tutti gli avventurieri cresciuti tra pirati, dottori pazzi, tentacoli assassini e cani antropomorfi (accompagnati da conigli iperattivi e logorroici).

8.8

Pro

  • Atmosfere della migliore epoca delle avventure grafiche
  • Meccaniche ancora oggi godibili
  • Ottima trama
  • Enigmi sempre interessanti
  • Dialoghi e personaggi ben studiati
  • Rigiocabile

Contro

  • Tecnicamente non all'altezza di ben altre produzioni
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