THE LAST OF US PART II
CASA: SONY
SVILUPPATORE: NAUGHTY DOG
GENERE: ACTION/HORROR
GIOCATORI: 1***ATTENZIONE: NELL'APPROFONDIRE AL MEGLIO L'OPERA SONO PRESENTI ALCUNI SPOILER, COMUNQUE NON TROPPO ESPLICITI, SU ALCUNI CONTENUTI LUDICI E NARRATIVI. CHI ANCORA NON AVESSE GIOCATO O FINITO IL TITOLO SI SENTA LIBERO DI NON PROSEGUIRE CON LA LETTURA***
IL RITORNO DI ELLIE E JOEL, SETTE ANNI DOPO14 Giugno 2013: esce in esclusiva PlayStation 3 l’ultima fatica di Naughty Dog per la settima generazione di console, The Last Of Us. Attesissimo sin dalla sua presentazione avvenuta quasi due anni prima, la Software House californiana confeziona l’ultimo, grande Capolavoro generazionale per la console Sony, portandola alla sua totale espressione tecnica ed emozionando i giocatori di tutto il mondo realizzando un mondo post-apocalittico tra i più credibili e affascinanti mai offerti in ambito videoludico.
Raccontando l’odissea vissuta da Joel ed Ellie, in viaggio attraverso gli Stati Uniti per raggiungere il luogo dove si potrebbe trovare una cura per il male che ha distrutto il mondo, gli autori sono riusciti a creare una storia indimenticabile tramite un contesto ormai abusato in più media d’intrattenimento, quello del genere umano spazzato via da un virus che ha decimato la maggior parte della popolazione trasformandola in mostri affamati di carne umana (infettati questa volta dal Cordyceps, un fungo parassita realmente esistente in natura, immaginando cosa potrebbe accadere se infestasse il corpo umano). Naughty Dog dimostra nella maniera più convincente possibile che “come si racconta” è ancora più importante di “cosa si racconta”, regalando enormi emozioni ai giocatori grazie a un cast di protagonisti stellare, una narrativa semplice ma dosata con grande intelligenza, e una rappresentazione dura e cruda del contesto in cui si svolge la vicenda.
L’immenso comparto narrativo è forse ciò che consente a The Last Of Us si ergersi come paradigma di una generazione ormai vicina alla sua conclusione, affiancato da un Gameplay capace di regalare enorme coinvolgimento nel suo comunque non essere un campione di originalità e con alcuni margini di miglioramento. The Last Of Us è l’apice dei videogiochi story-driven, dimostrando in maniera totale come “Cinema” e “Videogioco” possano coesistere con armonia assieme senza che l’uno prenda il sopravvento sull’altro.
19 Giugno 2020: dopo un’attesa di sette anni, di cui quattro dall’annuncio ufficiale avvenuto durante il PlayStation Experience 2016, esce l’attesissimo The Last Of Us Part II su PlayStation 4. La storia si ripete e, ancora una volta, tocca a Naughty Dog rilasciare una delle ultime esclusive cruciali (nomea che stavolta condivide con un’altra produzione potenzialmente di peso, Ghost Of Tsushima) dell’attuale console Sony, che a fine anno lascerà spazio al suo successore, PlayStation 5.
Per essere quindi uno degli ultimi Grandi Nomi di questa attuale generazione vicina al viale del tramonto, The Last Of Us Part II si porta sulle spalle un enorme peso, dovuto anche all’essere il successore di uno dei giochi più amati dell’ultimo decennio.
E da quel Dicembre del 2016, quando venne presentato per la prima volta facendo impazzire il pubblico, le attese attorno a Part II sono state immense, molto pesanti anche per un team come Naughty Dog che è largamente apprezzato da anni in tutto il mondo, e che su PS4 ha portato a compimento in maniera brillante le gesta di Nathan Drake con Uncharted 4: A Thief’s End. Non a caso, dopo il primo annuncio, l’opera fa perdere le sue tracce, per comparire solo a 2017 inoltrato con un secondo trailer cinematografico che ci mostra alcuni nuovi personaggi che incontreremo nel corso della nuova avventura.
Ma le informazioni sono centellinate, e del gioco se ne parla poco. Naughty Dog ammette l’enorme pressione che ha addosso e il lavoro da svolgere risulta ben più complesso del previsto, portando ad alcune problematiche nei tempi di sviluppo. E tra qualche trailer sporadico nel corso degli anni, che fa intravedere alcune cose sia in termini di Gameplay che in chiave narrativa (confermando l’omosessualità di Ellie, accennata nel DLC “Left Behind” del primo capitolo, tramite l’introduzione del nuovo personaggio femminile Dina), e news su tante caratteristiche dell’opera, la realizzazione procede. Non sempre in modo idilliaco: si pensi alle tante notizie emerse sui lavori interni a Naughty Dog, che descrivono un ambiente di lavoro “tossico” e dove il “Crunch” degli sviluppatori sembra realtà consolidata, facendo trasparire che all’interno di una delle più importanti Software House attuali l’atmosfera non sia tutta rose e fiori.
Lasciando da parte questi delicati discorsi, la sola certezza è che tutto ciò che riguarda The Last Of Us Part II, anche il più piccolo dei trailer, scatena l’entusiasmo di tutti i fan che fremono dal desiderio di scoprire cosa attende Ellie e Joel nel loro nuovo viaggio. Tutto sembra ormai pronto, con la prima data ufficiale fissata per Febbraio del 2020, annunciata in pompa magna con un ulteriore filmato inedito durante l’autunno del 2019. Felicità che dura poco: a malapena un mese dopo ecco il primo rinvio, fissato per Maggio 2020, giustificando il tutto con la necessità di dover ulteriormente lavorare su molti aspetti prima di considerare il gioco effettivamente completo.
Continua dunque la snervante attesa. E continuano anche i problemi per un’opera che di debuttare sul mercato sembra proprio non riuscire: ecco l’ennesimo rinvio, questa volta dovuto agli effetti della reale pandemia di Covid-19 che sta purtroppo causando gravi danni nel mondo, incluso quello videoludico. Nell’incertezza della situazione, Naughty Dog decide per un rinvio a data da destinarsi, nell’attesa che la situazione rientri.
Ma non c’è pace per The Last Of Us Part II, che poco dopo il secondo posticipo si ritrova vittima di un massiccio leak su momenti cruciali della trama che si diffondono velocemente sulla rete, rischiando di compromettere irrimediabilmente la lunghissima attesa di innumerevoli giocatori. Dovuta forse anche a questa grossa fuga di notizia più o meno veritiere, Naughty Dog annuncia infine la data definitiva, una volta per tutte: 19 giugno 2020, a quasi sette anni precisi dall’uscita del capostipite.
E stavolta va tutto liscio come l’olio, la data si conferma davvero quella, e l’ultimo lavoro firmato Naughty Dog riesce finalmente a giungere sugli scaffali dei negozi fisici e digitali di ogni parte del globo. Ma “liscio come l’olio”, forse, non è il termine giusto neanche in questo casa, alla luce anche del review bombing che colpisce il nuovo The Last Of Us (3.4 di media utenti su Metacritic al picco). Una pratica triste, se non proprio demenziale, di cui tante opere di spessore si sono ritrovate vittime: sotto accusa, in questo caso, sembrano essere le decisioni narrative prese dagli autori, così come le tematiche trattate all’interno della storia, come quelle LGBT.
Ancora prima di uscire, The Last Of Us Part II è divenuto uno dei titoli più controversi di tutta l’attuale generazione, con una vera e propria campagna d’odio che si è scatenata contro il gioco e i suoi sviluppatori. Ironico, considerato che l’odio e la vendetta sono appunto le tematiche centrali su cui l’intera opera poggia le sue fondamenta.
La resa dei conti è infine giunta. Sette anni dopo il Capolavoro che segnò l’esordio della serie, è giunto il momento di scoprire se la Seconda Parte ha retto tutto il peso dell’attesa, delle ambizioni e delle controversie.
VENDETTA, ODIO, EMOZIONI E CONTROVERSIEPart II parte esattamente dove si era concluso il predecessore, con Joel ed Ellie che arrivano a Jackson, nel Wyoming, nel grande insediamento messo su da Tommy e Maria.
Durante un pattugliamento, Joel racconta a suo fratello Tommy tutta la verità su cosa è successo nel laboratorio delle Luci di Salt Lake City, e di come ha scelto di non sacrificare la vita di Ellie per la ricerca di un vaccino contro l’infezione da Cordyceps. Un interessato Tommy viene quindi a sapere dell’immunità della ragazza al parassita, di come lei non sappia nulla, e del fatto che non ci sia più nessuno adesso in grado di trovare una cura per il male che ha decimato il mondo.
Dopo il racconto, i due fanno ritorno a Jackson, dove la vita scorre normale, come se fosse ritornata a prima della pandemia. Joel va a trovare Ellie, ancora perplessa dopo quanto accaduto a Salt Lake. Joel mantiene la promessa fatta alla giovane poco tempo prima: insegnarle a suonare la chitarra. E le lascia, così, il prezioso strumento musicale trovare durante il lavoro di pattuglia.
Quattro anni dopo, in pieno inverno, Ellie e Joel vivono sempre a Jackson: le pattuglie sono state intensificate a causa di avvistamenti sempre più frequenti di infetti nei pressi della cittadina, con Joel e Tommy fuori a perlustrare i dintorni per impedire che possano avvicinarsi ai bordi della loro casa. Stavolta tocca anche ad Ellie dare una mano e setacciare la zona adiacente Jackson. Il turno lo svolgerà assieme a Dina, ex fidanzata del suo amico Jessie e con la quale sta stringendo un rapporto sempre più forte che va oltre la semplice amicizia (e che non tutti vedono di buon occhio in città).
Dopo alcuni momenti di svago, Ellie e Dina escono dalle mura dell’insediamento e vanno alla ricerca dei due fratelli, in quello che, seppur potenzialmente pericoloso, resta comunque un lavoro di routine.
Nello stesso momento, fuori da Jackson, un gruppo di sopravvissuti ha trovato riparo in una grande baita. Due di loro, Abby e Owen, discutono sul da farsi, dimostrando un grande interesse nei confronti della città. Dopo una discussione, Abby decide di avanzare da sola, cercando di avvicinarsi sempre di più alla cittadina. Ignote sono le motivazioni che spingono la ragazza a voler rischiare la sua vita, considerati gli infetti sempre più numerosi nella zona.
Da quel momento, due vite apparentemente lontane tra loro si intrecceranno inesorabilmente e in una maniera imprevedibile, dando vita a un nuovo viaggio dove due saranno i sentimenti a fare da carburante al lungo cammino: l’odio e la vendetta, manifestate attraverso violenza e crudezza, ma anche tramite forti emozioni e sensazioni contrastanti verso il reale scopo da raggiungere. Sullo sfondo, una nuova città, nuovi pericoli e una guerra civile tra due schieramenti per il controllo di quell’immenso territorio, eppure non abbastanza immenso per far coesistere due realtà così diverse.
Senza troppi giri di parole, l’elemento che forse più di tutti era atteso al varco dagli appassionati del primo capitolo era proprio la storia. Come portarla avanti dopo la conclusione del predecessore, che era autoconclusiva e così potente da non richiedere, forse, un seguito per forza?
Di certo Naughty Dog ha fatto di tutto pur di dare un senso alla nuova avventura di Ellie, che veste stavolta il ruolo di protagonista principale al posto di Joel. La narrazione ripropone uno stile fortemente cinematografico come ormai prassi nelle produzioni della casa americana, e che colpisce forte in termini di recitazione già dal primissimo filmato, curato in una maniera così folle da sembrare un film in computer grafico vero e proprio. E già dal prologo gli autori ci vanno giù pesante in termini di emozioni, sconvolgendo le certezze e le aspettative del giocatore con una successione di eventi dal grande impatto emotivo.
Ecco, le emozioni sono esattamente ciò che caratterizzano il nuovo The Last Of Us. Ma stavolta sono quelle forti, devastanti, che ti consumano dall’interno: quelle dell’odio e della vendetta, scatenate dalla morte di un personaggio chiave la cui ombra e il devastante ricordo alimentano l’ossessione della giovane ragazza verso quella vendetta da compiere, che la consuma un passo alla volta e che solo la sete di sangue e il raggiungimento del suo obiettivo potrà forse colmare.
Un tema della vendetta che, tra l’altro, caratterizza anche la nuova protagonista, quella Abby che a un certo punto dell’avventura prenderà il ruolo principale per mostrarci la storia da un altro punto di vista. Ma il comun denominatore resta lo stesso: l’odio e la vendetta, che però consumano la nuova arrivata in un modo diverso, tormentandola per le azioni e decisioni prese nel corso della sua vita.
Ciò che Naughty Dog vuole trasmette al giocatore, con i parallelismi tra Ellie e Abby, è che le due giovani donne sono due facce della stessa medaglia. Sono la stessa cosa, mosse da motivazioni tanto diverse quanto simili, consumate da quello stesso male che scatena un ciclo di morte e violenza che apparentemente sembra non volersi spezzare.
Il tema della vendetta è ciò che rende così potente la narrativa di The Last Of Us Part II. Ma è al tempo stesso anche l’aspetto più controverso tra le tematiche trattate nel gioco, tanto più che si tratta di quella principale. Perché l’opera messa in piedi da Naughty Dog vuole farci capire come, appunto, odio e vendetta scatenino un continuo ciclo di morte e spargimenti di sangue, che può essere spezzato solo realizzando la futilità di questo violento sentimento. Tuttavia, è come le due protagoniste arrivano a tale consapevolezza a destare perplessità: ci arrivano in maniera quasi repentina, in una maniera che non è stata gradualmente sviluppata nel modo corretto, come se avvenisse all’ultimo secondo e senza reali input potenti per convincerle del fatto che è giunto il momento di fermarsi. Ci arrivano dopo una lunga serie di morti spietate, alcune delle quali collaterali, che minano la credibilità con cui si raggiunge quella consapevolezza, tanto più che quest’ultima arriva nei momenti di climax narrativo, finale incluso.
Un finale che, tra l’altro, lascia spazio a innumerevoli interpretazioni ed è ricco di metafore e simbolismi nel profondo che ci fanno capire quanto quella conclusione sia nera e deprimente. Un momento forte, dannatamente forte e che ti lascia svuotato a metabolizzare una volta partiti i titoli di coda. Non fosse solo per il fatto che sembra quasi non esserci una reale ed effettiva conclusione, proprio perché il motivo di quel brutale viaggio non viene effettivamente compiuto. Il che non è assolutamente sbagliato alla luce di quanto detto a proposito del ciclo di distruzione che porta seguire la strada della più potente delle emozioni: il problema, di nuovo, è la mancata gradualità con la quale si arriva a tale consapevolezza, che ne mina la credibilità stessa e che rende ambigua la caratterizzazione di Ellie (ben più cupa, violenta e impulsiva rispetto alla ragazzina conosciuta nel primo capitolo) e di Abby.
La nuova protagonista, tra l’altro, in certe occasioni sembra quasi che debba piacere al giocatore a tutti i costi, nonostante si tratti di un personaggio fortemente controverso e che, per determinate ragioni, non ha le simpatie dei giocatori. Nelle prime fasi in cui si prende il suo controllo e si inizia a conoscere la sua vita, Naughty Dog sembra quasi che voglia descriverti Abby come un personaggio “positivo”, da apprezzare a tutti i costi grazie ad alcune sue determinate azioni e i comportamenti che tiene nei confronti dei suoi compagni e delle persone a lei care. Anche qui, tutto giusto, ma è un tipo di impostazione che inevitabilmente spacca i giocatori, tra chi apprezzerà questo nuovo punto di vista e chi invece non riuscirà a provare empatia nei confronti della nuova arrivata. Ma l’idea di farci vivere la storia da quest’altro punto di vista si rivela però intrigante, proprio perché, volenti o nolenti, è impossibile restare indifferenti alla scelta presa dagli autori: una reazione, non importa di che tipo, si scatenerà comunque e sarà una delle più significative trasmesse dall’opera.
Altro punto controverso riguarda il prologo, nello specifico come si arriva alla morte di quel personaggio che dà poi il via agli eventi veri e proprio di Part II. Se da un lato questa morte ha un profondo significato che giustifica tutto ciò che andremo poi a vedere nelle ore successive, dall’altro si notano parecchie incongruenze su come si arriva a tale morte, con una serie di sviste e di fatali errori superficiali che non combaciano con la caratterizzazione di tale personaggio e di chi lo accompagna. Sembra quasi che, avendo deciso per questa morte, non importa come avviene e basta quindi che avvenga. Eppure si poteva realizzare in modo ancora più riuscito e credibile, nel rispetto della coerenza narrativa di tutto ciò che riguarda The Last Of Us.
Tematiche come queste fanno emergere come la trama in Part II mostri il fianco a diverse critiche e controversie: queste sono le più rilevanti, ma scavando ancora si possono trovare molti altri esempi, collegati a scelte spesso troppo impulsive e poco sensate compiute dai vari protagonisti dell’avventura, che talvolta un senso sembrano non avercene. In certi momenti la storia trasmette anche la sensazione di essere stata allungata, come a voler prendere tempo prima di altri eventi chiave, il che comunque può anche essere inevitabile data la grande longevità del gioco.
E per quanto riguarda le tematiche LGBT incluse nel gioco? Qui ci sono due diverse considerazioni da fare. Il rapporto sentimentale che si instaura tra Ellie (la cui omosessualità è già accennata nel DLC Left Behind del primo capitolo) e Dina viene gestito in maniera naturale e mai forzata, risultando la più dolce e normale delle storie d’amore come è giusto che sia. Maggiori perplessità invece per l’inclusione di un personaggio trans gender, per il fatto che il gioco stesso mantiene sull’ambiguità la reale essenza di tale importante spalla, senza mai farci capire chiaramente quanto sia legittima quella scelta di vita. Nel momento in cui decidi però di inserire un personaggio con una simile caratterizzazione, era importante dare maggiore chiarezza e significato allo stesso, senza lasciare in superficie questo aspetto cruciale che potrebbe forse non essere nemmeno pienamente rispettoso verso la comunità che viene rappresentata.
Andando invece ad analizzare la caratterizzazione delle tante New Entry del gioco, Naughty Dog prova a fare del suo meglio per definirli al meglio e dare loro un effettivo significato all’interno della narrativa. Logico, non era possibile sviluppare a fondo i tanti nuovi volti comprimari (anche se qualche informazioni in più sui leader delle due fazioni in guerra a Seattle sarebbe stata cosa molto gradita e interessante), e alcuni alla fine restano un po’ in disparte, pur avendo comunque ruoli a loro modo significativi per le due ragazze protagoniste.
Ellie e Dina formano una coppia affiatata, grazie anche al carattere estroverso di quest’ultima, sempre con la battuta pronta e con una natura ottimista nonostante le avversità del mondo in cui vivono. Un carattere simile lo dimostra anche Owen, che funge in più occasioni da compasso morale per Abby, esattamente come i due giovani fratelli Yara e Lev non appena la ragazza incrocia il loro cammino,verso i quali svilupperà una grande forma di riconoscenza portandola anche a riflettere su sé stessa e ciò che è divenuta.
Come detto, non è stato possibile approfondire adeguatamente ogni comparsa, e quindi diversi personaggi restano sullo sfondo senza destare forti emozioni nel giocatore (e questo nonostante Naughty Dog non si faccia problemi a farne fuori alcuni in maniera improvvisa e spietata), ma le dinamiche che si creano tra i vari “team” riescono a suscitare grande interesse e coinvolgimento, senza tuttavia mai toccare le vette emotive del binomio Ellie-Joel che ha fatto la fortuna del capostipite.
Fin qui non sono mancate critiche al comparto narrativo, ma è bene sottolineare che la nuova storia ideata da Naughty Dog, nel suo essere visivamente imperfetta e controversa, sa anche come regalare grandissime emozioni e incredibili momenti di tensione toccati raramente in altri videogiochi, persino dal precedente The Last Of Us. Certi momenti lasciano davvero di stucco, e il gioco sa anche come sorprenderti nel senso più idilliaco del termine, facendoti riflettere e trasmettendoti la pelle d’oca in alcune circostanze dove recitazione, immagini e dialoghi raggiungono vertici di magnificenza tali da suscitare un applauso.
E quindi, a maggior ragione, fa rabbia vedere le diverse sviste e perplessità generate da tante situazioni poco definitive e gestite con una certa superficialità (con tanto di scopata gratuita a un certo punto: è un dettaglio davvero minore, ma anche qui sembra di essere davanti a una forzatura). Perché Part II aveva tutte le carte in regola per portare davvero su vette qualitative ancora più alte la direzione narrativa, osando come poche altre produzioni e dimostrando così una smisurata ambizione mista a scelte coraggiose. Ma quel coraggio in più occasioni è stato fonte di spaccature e controversie, che si sarebbero potute evitare con un’attenzione ancora più grande su ogni minimo particolare.
Essere ambiziosi e mirare alla Luna è una grande forza motrice. E The Last Of Us Part II quella forza ce l’ha eccome, fatta di emozioni, tensione, stupore e momenti memorabili. Ma quell’ambizione in alcuni momenti è divenuta superbia, portando una produzione mastodontica a commettere sbagli che si sarebbero potuti evitare. E dunque la Luna non è stata raggiunta, pur rimanendo magari tra le Stelle.
EVOLUZIONE LUDICASembra quindi apparire all’orizzonte una situazione inversa rispetto al primo capitolo. Se infatti The Last Of Us raggiungeva le vette dell’eccellenza videoludica soprattutto per meriti narrativi e di atmosfera piuttosto che per il Gameplay (comunque di tutto rispetto), The Last Of Us Part II lascia alcune perplessità in termini di trama a fronte però di una componente ludica che si presenta davvero migliorata in praticamente ogni aspetto. Naughty Dog ha speso tempo e dedizione nel riprendere la formula già sperimentata sette anni prima e perfezionarla in tutte le sue componenti, riproponendo ancora una volta quel miscuglio di fasi narrative, esplorazione e combattimenti che risulta qui equilibrato in maniera ancora più armoniosa.
Le meccaniche di base restano comunque invariate: i protagonisti si controllano esattamente come nel precedente titolo, esattamente come anche l’inventario, il sistema di potenziamento delle abilità tramite pillole (ma le varie abilità principali vanno sbloccate un poco alla volta trovando alcuni manuali speciali durante l’avventura) e anche il metodo di creazione di munizioni, cure e armi da lancio, per le quali è indispensabile fare ricorso a tutte le risorse trovate setacciando da cima a fondo ogni area di gioco (e portando pazienza per i tanti cassetti e armadi vuoti: del resto son pur sempre passati 25 anni dalla fine del mondo e altri avranno già battuto le zone che ci prestiamo ad esplorare). Le armi al solito si potranno potenziare una volta raggiunti gli appositi tavoli di lavoro, stavolta senza più la necessità di trovare attrezzi migliori per sbloccare le migliorie avanzate: tutto ciò di cui abbiamo bisogno è avere la quantità sufficiente di cianfrusaglie da sfruttare per la personalizzazione del nostro equipaggiamento.
Esplorare dunque risulta ancora più cruciale rispetto al passato, considerata la disponibilità di un inventario più ampio e il gran numero di ostilità, umani o infetti che siano, con i quali dovremo confrontarci. Già dopo poche ore emerge uno dei primi, importanti miglioramenti di Part II: il design delle mappe tocca una varietà e una qualità superlativa probabilmente mai vista in nessun altro gioco della casa californiana.
Spazi aperti, che lasciano enorme libertà di esplorazione ricorrendo anche a metodi “non convenzionali”: basta mettersi alla ricerca di chiavi per aprire una porta chiusa, piuttosto rompiamo una finestra adiacente, scavalchiamo e troviamo così il modo di entrare in quell’area preclusa, trovando magari anche una bella cassaforte da aprire con la giusta combinazione (in genere contenuta all’interno di documenti oppure riportata in qualche scritta su muri o altro ancora) per fare incetta di risorse fondamentali.
La presenza di un quantitativo spropositato di collezionabili, di cui la maggior parte i classici file che svelano più retroscena sul mondo di gioco e i suoi superstiti, è un ulteriore incentivo a voler effettivamente setacciare da cima a fondo anche il più insignificante degli angoli: non si sa mai, si può sempre trovare qualcosa, che si tratti di un qualche oggetto per il rafting o ulteriori documenti interessanti da leggere.
La particolarità di Part II è anche quella di non avere un’impostazione Open World nel vero senso della parola. Il suo è uno svolgimento sulla carta classico e lineare, ma l’atto pratico fa in modo che quella “linearità” sia solo apparente lasciandoci invece ampio spazio di manovra, correndo anche il rischio di perdere qualcosa per strada data la grande vastità delle ambientazioni e il fatto che è possibile accedere a quasi ogni edificio che incrociamo durante il cammino. Ma restando in tema Open World si apprezza e non poco la presenza di un’area piuttosto vasta che ricalca lo stile tipico di queste produzioni, lasciando al giocatore la più totale libertà di movimento e di approccio a tutto ciò che questo gigantesco quartiere offre. Si può scegliere di passare oltre, ma così si rischia di perdere non solo un quantitativo enorme di utili risorse e potenziamenti, ma anche situazioni di gioco che, nel loro essere “secondarie”, sanno regalare grandi stimoli. Non sarebbe stato male vedere aree simili più volte nel corso del gioco, ma forse è giusto che questa variazione sul tema sia stata utilizzata in maniera limitata e con intelligenza: il secondo The Last Of Us del resto non è un Open World (sebbene gli sviluppatori abbiano raccontato di averlo originariamente concepito in tale maniera) e tale impostazione forse avrebbe rischiato di rendere il prodotto troppo dispersivo soprattutto in ambito narrativo.
Considerato che praticamente ogni parte del gioco ha sempre qualcosa di inedito da offrire, che si tratti di momenti in stile Open World per poi passare a fasi magari più lineari e incentrati sui combattimenti, la varietà è assicurata per tutta la durata del viaggio, con pochissimi momenti morti in termini di Gameplay.
L’eccellente impegno riposto nel design delle mappe va tutto a vantaggio anche dei combattimenti, che questa volta risultano ancora più stimolanti rispetto al passato grazie a una nutrita serie di migliorie. Ma resta spazio anche per qualche elemento ancora fuori posto: l’I.A. nemica, ad esempio, continua a non riconoscere in maniera credibile la presenza dei nostri compagni, con situazioni in cui quest’ultimi si muovono liberamente senza che gli avversari si accorgano della loro presenza, dando vita a situazioni che un po’ smorzano la tensione e l’atmosfera degli approcci stealth.
Un vero peccato, perché in verità l’intelligenza artificiale avrebbe anche compiuto alcuni passi avanti: i nemici umani ricorrono adesso più spesso a varie tattiche di combattimento, cercando di accerchiarci in maniera più strategica grazie alla costante comunicazione tra loro. In aggiunta, si portano spesso appreso cani ben addestrati che possono fiutare facilmente il nostro odore, rendendo quindi più difficile un approccio silenzioso in loro presenza, e più facile essere scoperti dando vita a un nuovo scontro a fuoco. I cani tra l’altro non vanno sottovalutati: sebbene sia possibile eliminarli con pochi colpi, la loro rapidità e ferocia può creare qualche grattacapo rognoso.
Anche tra gli infetti non mancano alcune sorprese: sebbene le tipologie di mostri sono in gran parte le medesime già affrontate nel predecessore (Runner, Stalker, Clicker, Bloater), non mancano gli inediti Shambler che, con la loro testa ormai del tutto fagocitata dall’infezione fungina, combattono ricorrendo alle loro spore acide che rilasciano come un’esplosione ogni volta che sono vicini al bersaglio: ciò rende quindi più difficoltoso l’approccio diretto, considerato che le spore coprono un raggio abbastanza ampio e prosciugano rapidamente le nostre energie residue. I “vecchi” infetti non hanno invece cambiato più di tanto le loro abitudini: se i Runner sono abbastanza semplici da contrastare (ma comunque temibili in gruppo), la maggior aggressività degli Stalker richiederà maggior impegno e concentrazione per contrastarli; i Clicker nel frattempo restano letali come sempre, capaci di eliminarci con un singolo morso e rendendo quindi indispensabile un’eliminazione silenziosa alle spalle (magari distraendoli con qualche oggetto da lancio), oppure eliminarli da distanza o con un coltello protettivo. I nuovi Bloater, infine, sono gli unici a mostrare comportamenti ben diversi rispetto a quanto visto nel predecessore: se nel primo capitolo tendevano ad essere piuttosto lenti e dediti a lanciare sacche di spore, stavolta risultano molto più rapidi e aggressivi, ancora più difficili da abbattere rispetto a quanto i fan del primo titolo erano abituati a fare.
E ci sarebbe ancora una sorpresa, che dà vita a una Boss Fight piuttosto densa di tensione. Ma in questo caso è davvero bene non rovinare ciò che il gioco offre.
Cosa rende però davvero più coinvolgenti e intriganti (specie giocando alle difficoltà maggiori) i combattimenti offerti dal Part II? Come detto, l’enorme cura riposta nelle mappe consente una varietà di approcci semplicemente immensa, di gran lunga superiore rispetto al primo capitolo e che, con la sua moltitudine di postazioni, passaggi, punti d’interesse da sfruttare, favorisce alla perfezione sia uno scontro diretto, sia l’azione silenziosa (aiutato anche da un bel silenziatore improvvisato per le nostre pistole standard, sebbene si rompa velocemente) da brevi e lunghe distanze.
Ad ogni nuova area c’è sempre qualcosa di diverso in termini di design da regalare ulteriori metodi di approccio. Si pensi ad esempio al fatto che, stavolta, capita più spesso di incontrare nemici umani e infetti contemporaneamente: proprio come accadeva nel DLC Left Behind, e qui reso ancora più significativo, elaborare tattiche per far scontrare tra loro le due “fazioni”, lasciando che si massacrino a vicenda semplificandoci la vita, si rivela spesso una strategia fondamentale (specie giocando a grandi difficoltà) per superare alcuni passaggi ostici. A patto ovviamente che la nostra tattica non si ritorca contro di noi, dato che gli infetti non fanno distinzione alcuna degli umani su cui banchettare.
E ci sono tante altre piccolezze tattiche che si possono sfruttare anche grazie alle varie risorse del nostro inventario, come creare trappole esplosive da posizionare nei punti chiave dell’area di gioco battuta dai nemici, e continue combo di armi da lancio e da fuoco a distanza che ci consentono di liberarci velocemente di tante ostilità.
Combattere stavolta è più intrigante che mai, superando quanto fatto con il già notevole primo episodio in praticamente ogni aspetto. Il dubbio riguarda dunque l’equilibrio di tutta l’essenza ludica offerta dalla produzione, che avendo una durata che può raggiungere e superare la trentina di ore (molto dipende dalla difficoltà selezionata e anche dal tempo speso nell’esplorazione e nella ricerca dei collezionabili) corre il rischio di offrire momenti morti o meno ispirati.
Certo, ci sono alcune fasi (in particolare dalla seconda metà di gioco in poi) che non sempre risultano qualitativamente eccelse, ma Naughty Dog ha svolto il miglior lavoro possibile per rendere quanto più equilibrata possibile la sua avventura, dosando tutte le sue diverse componenti in modo tale da mantenere sempre costante l’attenzione del giocatore anche di fronte a una durata assai notevole per il tipo di gioco proposto. Momenti esplorativi, fasi dall’impostazione narrativa (in una di queste c’è anche un richiamo allo stile adottato per Left Behind), scontri diretti, fughe, inseguimenti, fasi in barca, fasi Open World, Boss Fight (molto più evocative e sentite rispetto al primo episodio), fasi più lineari… In The Last Of Us Part II c’è letteralmente di tutto, e tutto è realizzato con enorme passione e impegno al netto di qualche lieve calo.
Siamo davanti a uno dei più grandi sforzi ludici compiuti da Naughty Dog nel corso della sua lunga carriera. E i risultati si vedono tutti, meritevoli di un sincero applauso.
IL FASCINO DELL’APOCALISSEIl contesto di Part II è lo stesso, evocativo, malinconico e pericoloso già conosciuto nel primo capitolo. Anzi, risulta ancora più grande e credibile di quanto il predecessore e tanti altri titoli con le stesse tematiche abbiano offerto ai giocatori. Realizzare un mondo post-apocalittico che possa colpire diventa sempre più difficile con il passare degli anni, dovuto al proliferare di opere ambientate in simili contesti, con il rischio di ripetere le stesse idee e le stesse trovate visive ed estetiche già ampiamente esplorate altrove.
Ma Part II, nel suo incentrarsi in una realtà “morta”, ci offre forse l’interpretazione più “viva” mai mostrata da un videogioco che poggia le sue basi sulla fine dell’umanità e del suo mondo. Naughty Dog ci dà forse la più dettagliata interpretazione di come potrebbe realmente essere il nostro pianeta dopo un evento catastrofico, da trasmettere quasi l’idea di essere reale, come se una situazione del genere potesse davvero verificarsi. Il mondo si ferma, la natura riconquista definitivamente il suo spazio conquistando ciò che l’uomo ha creato, stravolgendo la visione umana e la sua concezione moderna della Terra, dove quei piccoli insediamenti che provano a mantenere una partenza di normalità sociale sono soltanto delle semplice gocce in un oceano naturale dove per il genere umano non c’è più spazio.
E anche la resa di quegli insediamenti risulta infatti più realistica di quanto possa apparire, e non solo per un mero discorso grafico: gli autori ci danno davvero un assaggio di come potrebbe essere la nostra vita qualora dovessimo sopravvivere a un evento apocalittico e avere la fortuna di vivere in un insediamento, con tutte le sue regole, le sue leggi e i suoi sforzi di mantenere una realtà quanto più simile alla vita passata. Con tanto di guerre annesse, se necessario, per salvaguardare il proprio territorio evitando che finisca nelle mani di un “invasore”.
Girovagare per le strade e gli edifici di Seattle, nelle sue case abbandonate e nei negozi saccheggiati alla ricerca di una qualunque risorsa risparmiata da chi ci ha preceduto avviene nella maniera più naturale immaginabile, come se fossimo davvero noi a lottare per la sopravvivenza e non stessimo semplicemente muovendo un personaggio virtuale alla ricerca di qualche munizione o risorsa per garantirgli qualche vantaggio in uno scontro con cacciatori o infetti. E questa sensazione di lotta per la sopravvivenza così sentita, così forte, nemmeno il primo The Last Of Us era riuscito a trasmetterla.
Ciò è ulteriormente valorizzato anche dalla grande varietà scenica messa in mostra da Naughty Dog, che non si limita semplicemente a realizzare una città e qualche quartiere distrutto, ma cerca ad ogni singola area, negozio, edificio e accampamento di conferirgli una caratteristica unica e peculiare, che ti trasmetta sempre la sensazione di essere davanti a un qualcosa di mai esplorato nelle ore precedenti. Non c’è un singolo luogo che sembri anche vagamente riciclata da qualche altra zona già setacciata in precedenza: ad ogni passo avanti compiuto nel mondo di gioco ci attendono altrettante novità nei luoghi e nelle aree che stiamo esplorando, che sia adesso un quartiere centrale, un acquario, un resort, uno studio televisivo, un ospedale o un centro militare. E ci si addentra nei boschi, e si sfida il mare in tempesta per arrivare alla prossima meta. Fino a raggiungere luoghi evocativi e ritrovarsi anche nel mezzo di una sanguinolenta guerra.
Panorami incredibili, scorci mozzafiato e dettagli maniacali sono lì a valorizzare ulteriormente quel mondo così credibile e realistico nel suo essere comunque frutto di fantasia, suscitando così emozioni forti anche solo per un’immagine che si dipana davanti ai nostri occhi.
E sicuramente la magistrale realizzazione grafica ha permesso di valorizzare ulteriormente la direzione artistica e d’atmosfera concepita dagli autori. Part II porta le capacità tecniche della PS4 al suo apice, rappresentando la piena maturazione della console. Forse non con un impatto altrettanto potente come avvenne per il predecessore, considerato che su PS4 ci sono già stati altri titoli capaci di raggiungere tale vertice visivo, quali God Of War o Red Dead Redemption II, e senza dimenticare qualche piccola incertezza tecnica: le inedite animazioni dei salti, ad esempio, appaiono un po’ legnose, cosa che in un certo senso lascia anche un attimo sorpresi considerato il lavoro svolto da Naughty Dog in tal senso con Uncharted 4 (titolo comunque incentrato su un genere e una filosofia di gioco ben diversa).
Ciò però non sminuisce affatto il lavoro dei “cagnacci” svolto per il secondo The Last Of Us, che per cura nei particolari, per la caratterizzazione visiva delle ambientazioni e per i modelli poligonali di protagonisti, nemici e personaggi minori, raggiunge vette di assoluta eccellenza, visibile soprattutto nel realismo dei movimenti di Ellie e non solo, naturali e realistici così come lo sono le incredibili animazioni facciali anche durante le fasi in-game, come ad esempio al momento di un’uccisione in stealth silenziosa. Le cutscenes sono qualitativamente magistrali, con una cura folle anche nei più piccoli dettagli come possono essere le rughe sulle mani dei personaggi, ma lascia impressionati anche durante il gioco vero e proprio, che a fronte di un paio di animazioni fuori posto risulta comunque superlativo e anche superiore a quanto già mostrato dal team californiano con il precedente Uncharted 4.
La stessa eccellenza si riscontra anche in ambito sonoro per quanto riguarda il doppiaggio e gli effetti. Nel primo caso, sia in lingua originale che in italiano, la recitazione è superlativa e impeccabile in ogni scena. I doppiatori hanno saputo trasmettere le emozioni che ciascun personaggi prova in ogni momento della storia, con le giuste tonalità in ogni circostanza. Nel secondo caso, proprio come già accadeva nel predecessore, i suoni e i rumori di sottofondo conferiscono grande atmosfera alle situazioni che si stanno affrontando: che si tratti dei macabri versi di ogni infetto, o dei fischi che alcuni dei nostri nemici si mandano tra loro per comunicare, l’utilizzo degli effetti sonori è stato fatto con grande sapienza e intelligenza rendendo l’avventura ancora più immersiva.
Qualche riserva potrebbe invece esserci sulla colonna sonora, curata anche stavolta da Gustavo Santaolalla. Le musiche riprendono lo stile già sperimentato nel primo capitolo e anch’esse contribuiscono a creare atmosfera, con qualche melodia un po’ più sentita nei momenti chiave della trama o dei combattimenti. Non ci sono però brani che riescono davvero a lasciare un segno profondo, o dai toni così simbolici ed emotivi da farsi ricordare nel tempo. I sottofondi, alla fine, si rivelano appropriati ad ogni contesto, ma forse delle musiche dai toni ancora più sentiti avrebbero potuto dare una carica emotiva maggiore all’evolversi dell’intreccio.
IF I EVER WERE TO LOSE YOUQuando sei una delle Software House più amate dell’attuale panorama videoludico, con i tuoi giochi che, nel bene e nel male, vengono considerati tra i più significativi di una console o di un’intera generazione, le pressioni che hai addosso sono inverosimili, pronte a consumarti in ogni momento. Sai che con grande probabilità il tuo lavoro verrà alla fine apprezzato, ma sai anche che anche il minimo errore può costarti caro e compromettere il tuo rapporto di fiducia con il tuo pubblico. Da qui la necessità di dover dunque non lasciare neanche una virgola fuori posto, di dover essere affamati ed ambiziosi per poter stupire ancora una volta seguendo la propria visione su ciò che si vuole offrire al pubblico, nella consapevolezza che comunque non potrai accontentare tutti e che ci sarà sempre qualcuno pronto a criticare il tuo prodotto.
Naughty Dog si è ritrovata in questa posizione durante lo sviluppo di The Last Of Us Part II, seguito di uno dei videogiochi più amati di tutta la precedente generazione. Il team ha avuto una forte pressione sulle spalle, riconoscendo nel corso dello sviluppato quanto tale pressione abbia avuto ripercussioni sulla loro opera in divenire, che ha portato a momenti difficili nello sviluppo e quel bisogno di dover essere pronti alle conseguenze che avrebbero avuto le scelte compiute in fase di realizzazione. Scelte che non sarebbero piaciute a tutti i giocatori. Era inevitabile.
E l’impatto di quelle scelte compiute da Naughty Dog si è fatto sentire ancora prima che l’opera fosse disponibile sul mercato, colpa di uno sfortunato leak massiccio un paio di mesi prima dell’uscita, con enormi rivelazioni (alcune rivelatesi errate) sulla trama del gioco. Ed ecco che il nuovo The Last Of Us si attira subito uno smisurato odio attorno a sé per ciò che è emerso. Un odio divenuto ancora più grande una volta che reso disponibile il gioco e verificata l’attendibilità di molte anticipazioni. Il che è ironico, considerato che l’intera vicenda ruota attorno all’odio ed alla vendetta.
Un’opera condannata a priori per le scelte compiute dai suoi autori per dare un senso potente all’intera vicenda. Per i temi trattati. Per la caratterizzazione di alcuni personaggi chiave della storia. Per il semplice fatto che hanno voluto seguire una loro visione che non corrispondeva a ciò che i giocatori volevano a tutti i costi, magari perché ingannati da trailer confezionati a regola d’arte per far credere qualcosa che poi nel gioco reale non si è verificata. E giù di odio sui social, di insulti verso le categorie rappresentate nel gioco, di minacce di morte verso il direttore creativo e un’attrice il cui “crimine” è aver interpretato uno specifico personaggio controverso. Il tutto per un videogioco. E mentre il calendario segna il 2020.
The Last Of Us Part II ha un enorme “merito”: ha dimostrato che il medium videoludico, ma in particolare i suoi appassionati, non sono ancora maturi e forse non lo saranno mai, nonostante tutti gli sforzi che questa straordinaria forma d’intrattenimento sta facendo da anni per dimostrare il suo immenso valore artistico e la sua profondità. Ma finché continueranno a sorgere situazioni del genere, serve a poco purtroppo lamentarsi di come il Videogioco viene visto da un certo pubblico generalista: ancora considerato “roba per bambini”, capro espiatorio per i fatti di cronaca nera sparsi in giro per il mondo più di qualunque altro medium. Alcune volte sono i giocatori stessi il Male del Videogioco, non dimostrando nei fatti di essere davvero appassionati di ciò che dicono di amare.
Se dunque l’odio smisurato che si è generato intorno a The Last Of Us Part II va condannato, ciò al tempo stesso non significa che bisogna comunque osannare a priori ciò che Naughty Dog ha concepito, soprattutto in ambito narrativo. Che, detto chiaro e tondo, è l’equivalente di una montagna russa, un saliscendi di emozioni, momenti struggenti e riflessioni, ma anche di scelte discutibili, di momenti morti e di gestioni assolutamente poco felici nei momenti chiave del gioco.
L’impatto emotivo è forte, e non mancano alcuni eventi che sono capaci di far venire la pelle d’oca per ciò che trasmettono, capaci di rivoltarti come un calzino e di farti prendere del tempo per metabolizzare quanto hai appena vissuto. Sensazioni che di certo pochi giochi riescono a trasmettere.
Ma per ogni brivido appassionante che il secondo The Last Of Us trasmette, ce ne sono altrettanti sui quali è impossibile non restare perplessi.
Come avviene la morte di un personaggio chiave appare forzata e colma di inconsistenze? Certo.
Gli autori a un certo punto sembra vogliano farti apprezzare a forza un personaggio pericolosamente controverso, quasi ficcandoti in gola certe sue azioni? Certo.
Le tematiche trattate nel gioco, come quelle LGBT, non sempre vengono davvero valorizzate? Certo, si veda uno specifico personaggio che si incontra più avanti nella storia.
I protagonisti in più occasioni compiono azioni prive di logica? Certo.
Alcuni momenti della storia (soprattutto nella prima metà) sembra vengano tirati avanti troppo per le lunghe? Certo anche questo, favorendo così i tempi morti.
Ma soprattutto la tematica chiave, quella della vendetta, viene davvero espressa nella sua totalità, nella sua significativa importanza e nella sua morale? Certo, ma il modo in cui si arriva a realizzare determinate cose riguardo il tema della vendetta non viene sviluppato nella maniera più coerente possibile, risultando forse poco graduale, se non troppo repentina una volta giunti al climax dell’intera vicenda e trasmettendo così una sensazione di incompiutezza. Quella stessa sensazione che si avverte nel finale: evocativo, simbolico, pieno di interpretazioni e riflessioni scavando in profondità, eppure in superficie sembra quasi mancare qualcosa per poter davvero parlare di “conclusione”.
Ma non bisogna dimenticare, appunto, le riflessioni e le interpretazioni che Part II offre al giocatore, dopo averlo stravolto per bene con alcune scelte controverse ma anche coraggiose, capaci di trasmettere emozioni contrastanti e che possono essere vissute in maniera completamente diversa da ogni giocatore. Part II ha il merito, come se non più del predecessore, di regalarci un mondo dove il bianco e nero non esistono, lasciando spazio a tante sfumature di grigio. Dove tutti i personaggi, protagonisti principali inclusi, sono la stessa cosa, sono le facce della stessa medaglia viste da punti di vista tanto diversi quanto uguali.
Se dunque Part II non replica il successo narrativo del capostipite a causa di scelte discutibili e grossi errori superficiali, non si può negare l’impatto che è capace di trasmettere nei confronti di chiunque: che sia negativo o positivo, è una narrativa che è impossibile possa lasciare indifferenti, trasmettendo qualcosa di grosso a tutti, nessuno escluso.
E tutto questo senza dimenticare che l’ultima fatica di Naughty Dog, in tutti i suoi altri e numerosi aspetti, si dimostra un Videogioco di grande eccellenza. Una parte ludica che prende quanto fatto nel primo titolo e migliorandolo praticamente in tutto (sebbene l’I.A. alleata continui a destare perplessità, specie perché quella nemica continua ancora a non riconoscerla dando vita a momenti un po’ surreali), soprattutto nel design delle mappe e dei numerosi approcci che offrono. Esplorazione, combattimenti e narrativa sono amalgamati in maniera armoniosa dando vita a un’esperienza memorabile e soddisfacente in termini di varietà e di difficoltà, sperimentando anche situazioni inedite (come una fase Open World gestita con intelligenza) per garantire il massimo coinvolgimento per tutta la lunga durata dell’avventura. Oltre ad alcuni piccoli ma significativi accorgimenti che rendono gli scontri più stimolanti rispetto al passato, la componente esplorativa è stata valorizzata al massimo, tanto che si potrebbero passare ore intere a setacciare ogni minimo angolo di gioco alla ricerca di risorse o dei numerosissimi collezionabili.
La realizzazione visiva lascia altrettanto colpiti per l’enorme cura riposta, offrendoci un mondo post-apocalittico ancora più evocativo e realistico di quello già vissuto nel primo capitolo, dove la cura per ogni particolare risulta maniacale e offrendoci scorci e panorami capaci di togliere il fiato. Seppur con alcune fuori posto (quelle dei salti in particolare), superlativa è anche la cura nelle animazioni, quelle facciali soprattutto, di un realismo e naturalezza che non passano inosservati. Esattamente come la modellazione di ciascun personaggio, anche quelli minori. C’è qualche sporadico bug ogni tanto, ma nulla che scalfisca la magnificenza tecnica dell’opera.
E a valorizzare ulteriormente l’atmosfera che si respira ci pensa un utilizzo semplicemente perfetto degli effetti sonori, azzeccati in ogni circostanza e capaci di intensificare ulteriormente le sensazioni che si provano davanti a un momento cruciale o una situazione apparentemente senza scampo. Se la colonna sonora forse non riesce sempre a conquistare, il doppiaggio sia in inglese che in italiano risulta recitato in maniera impeccabile, con gli interpreti che sono stati capaci di trasmettere in maniera chiara le emozioni che i personaggi provano in ciascun momento del loro cammino.
Di fronte a un prodotto così enorme e ambizioso, forse non tutto è andato per il verso giusto. Forse su certi aspetti si poteva fare ancora di più. Ma quanto è stato fatto porta comunque The Last Of Us Part II a divenire uno dei più importanti e significativi Videogiochi di questa generazione che si avvicina alla sua fine. Un titolo simbolico che si può amare oppure odiare, che è al centro dell’attenzione purtroppo anche per motivi sbagliati che nessuno avrebbe voluto sentire.
Per tutto ciò che riesce a trasmettere, per le infinite interpretazioni emozionanti e controverse che regala, The Last Of Us Part II è un viaggio che deve essere vissuto. Assolutamente.
PREGI- Gli aspetti ludici, dall’esplorazione ai combattimenti, sono stati migliorati e raggiungono ora vette qualitative assai più imponenti e stimlanti
- Design delle mappe superlativo e che garantisce una moltitudine di approcci diversi a ogni situazione
- Grande varietà all’interno dell’avventura, che offre sempre qualcosa di diverso ad ogni nuova area raggiunta
- Una valanga di collezionabili da raccogliere
- Visivamente eccezionale, con una qualità dei filmati fuori parametro e un mondo di gioco tra più evocativi e credibili offerti da un videogioco con tematiche post-apocalittiche
- Recitazione e doppiaggio magistrali
- Longevità notevole
- La storia sa regalare grandi emozioni e momenti di riflessione…
DIFETTI- …ma presenta anche numerose tematiche gestite in maniera controversa e non sempre con la giusta attenzione, portando a un finale profondo ma che non trasmette la sensazione di una vera conclusione, come se mancasse ancora un tassello al puzzle
- Le musiche di sottofondo, seppur ben orchestrate, non risultano troppo incisive
- Qualche piccola incertezza tecnica
VOTO FINALE : 9Video