The Spectrum Retreat: un puzzle game cromatico, la recensione

Dopo il riconoscimento ai Bafta, The Spectrum Retreat arriva sul mercato, proponendo i suoi enigmi a base di colori. Ma c'è qualcosa fuori posto.

The Spectrum Retreat: un puzzle game cromatico, la recensione
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • La storia di The Spectrum Retreat (ai tempi solo Spectrum) comincia ai BAFTA 2016, dove il suo creatore Dan Smith, all'epoca solo diciottenne, ottenne il premio Game Making Award per giovani sviluppatori. Il gioco era un puzzle game dalle idee semplici ma riuscite, ispirato a classici del calibro di Portal e ad avventure geniali ma poco conosciute come Antichamber. Spinto dai riconoscimenti ottenuti, Dan decise poi di presentare il suo progetto a diversi publisher, così da soddisfare alcune sue ambizioni: Ripstone - lo stesso editore di Stick It to the Man - vide in quel giovincello pieno di iniziativa una persona di talento, e così gli diede i fondi per formare uno studio e per creare quello che poi sarebbe diventato The Spectrum Retreat. Partito come un puzzle game puro, il gioco di Dan Smith è divenuta una vera e propria avventura narrativa, nella quale le fasi ad enigmi occupano comunque un ruolo importante, ma non rappresentano più l'unico elemento da tenere in considerazione. Purtroppo non tutto è andato come sarebbe dovuto andare, poiché la scollatura tra fasi narrative e quelle più "ludiche" è molto evidente. Inoltre, vuoi per inesperienza o per troppa ambizione, il design delle sezioni puzzle ha delle fluttuazioni qualitative piuttosto importanti. The Spectrum Retreat è insomma una buona prova per un giovane talento, ma a parte qualche intuizione ed enigma, non ha niente per cui possa esser ricordato negli anni a venire.

    Benvenuti al Penrose Hotel

    Sollevato il corpo un po' irrigidito da un comodo letto, ci accorgiamo che tutta intorno a noi si estende una sfarzosa camera d'albergo, munita di tutti i comfort adatti ad una lunga e rilassante vacanza. Quando però alla porta bussa un manichino inespressivo dall'aria un po' inquietante, un graffiante sospetto comincia ad insinuarsi sottopelle. In ogni caso siamo stati invitati ad una sontuosa colazione nel ristorante di lusso, tanto vale accettare l'invito, al resto si penserà poi.
    Percorriamo qualche corridoio dallo stile vagamente Art déco ed andiamo a finire finalmente nel salone centrale. Una scalinata ornata con un drappo rosso forma una curva, fino a discendere al piano terra. Sopra di noi ricchi lampadari e finestrone da cui penetrano raggi solari obliqui, dall'intensità così forte da sembrare innaturale. Alla reception c'è un altro di quei manichini: immobile, nella sua statuaria eleganza, dice che il tempo sta peggiorando, ma a giudicare dalla luce che inonda quella sala luccicante, non si direbbe. Avventurandoci verso il ristorante ne incontriamo altri, di quegli uomini di metallo: fermi, impegnati in attività che non porteranno mai a termine, eppure sempre pronti a deliziarci con una sviolinata di affettata galanteria.
    Qualcosa, pensiamo con più insistenza, non va. La porta d'uscita non esiste, il ristorante è vuoto. Su una tovaglia rosa, accanto alla scritta "riservato", c'è la nostra colazione: un semplice piatto di egg and bacon un po' lontano dalla nostra concezione di sontuoso. Passa un istante e ci accorgiamo che qualcosa sta turbando i nostri sensi. La percezione della realtà vacilla, sembra che il tempo sia andato in avanti veloce per non si sa quanto: rinsaviamo solo quando sentiamo il trillare di un telefono. Dall'altro capo c'è Cooper, non sappiamo chi sia, né cosa voglia, ma pare conoscere meglio di noi la situazione: ci troviamo in una trappola mortale, siamo ingabbiati in un loop infinito dal quale dobbiamo uscire. E sarà lei la nostra guida.

    Cromatismi

    Il Penrose, così si chiama il palazzone Art déco in cui siamo ingabbiati, è quindi una prigione, una realtà digitale da cui è quasi impossibile scappare. Il nostro scopo è quello di trovare dei punti deboli ed accedere a delle particolari stanze in grado di sbloccare i piani più alti dell'edificio. Il pattern da seguire è sempre il solito: trovare un tastierino numerico a fianco di una porta ed ispezionare gli ambienti per recuperare il codice. Ci saranno da interpretare degli indizi, completare semplici puzzle ambientali e via di questo passo: niente di troppo elaborato, specialmente se confrontato con le meccaniche delle sezioni enigmistiche vere e proprie. Una volta completato un frangente ambientato nell'albergo, si accede ad una serie di stanze in stile "Camera dei Test" di Portal: la moquette si trasforma in un pavimento di metallo, le decorazioni alle pareti spariscono, assorbite da un grigiore asettico.

    Davanti a noi solo parallelepipedi luminescenti, che rappresentano la chiave delle meccaniche di The Spectrum Retreat. L'idea alla base del gioco è piuttosto semplice (e molto simile a quella del bellissimo Antichamber): tutto funziona con i colori. All'inizio c'è solo il bianco - da interpretare come colore neutro - e il rosso, ma più avanti si aggiungono anche il verde ed il blu. Il nostro personaggio è in grado di assorbire un colore alla volta, ed in base a quello in suo possesso è in grado di passare attraverso delle barriere della stessa tonalità. Un esempio pratico: siamo di colore rosso ma davanti a noi c'è una barriera verde, il nostro obiettivo è di trovare il verde, assorbirlo e poi accedere ad una nuova zona. Attorno a questa trovata è costruito un impianto enigmistico gradevole che come di consueto evolve con il tempo. Quando il giocatore ha padroneggiato una particolare meccanica ecco quindi che, alla serie di livelli successiva, gli si presenta qualcosa di nuovo con cui fare i conti, senza dimenticarsi di quel che ha imparato prima. L'infittirsi delle dinamiche ludiche va insomma di pari passo con la curva di apprendimento, mai troppo ripida, anche se la varietà non è forse il punto forte di The Spectrum Retreat. L'aggiunta dei teletrasporti "cromatici" - che funzionano solo se siamo in possesso del colore corrispondente - o di piastre a pressione che cambiano la gravità della stanza - ma che hanno il demerito di rendere anche tutto un po' troppo confuso -, non basta infatti a rendere sempre interessante la creazione di Dan Smith per tutte le cinque ore di durata. La mancanza di differenziazione, comunque, non è il problema più grande. La stortura più evidente si ritrova infatti nel design un po' barcollante di alcune stanze, dove è chiaro che il suo creatore non abbia previsto certi tipi di comportamento. Ad esempio ci è capitato più volte di dover ricominciare un livello perché avevamo commesso un errore irreversibile. In alcuni frangenti abbiamo provato a sbagliare di proposito, per vedere se saremmo stati in grado di tornare indietro: la risposta è stata no.
    Questi problemi non sono molto frequenti e si presentano solo nelle sale più intricate, dove dunque è più arduo tenere in considerazione ogni possibilità. Ma alcune di queste sviste ci sono apparse veramente grossolane, specialmente perché si sta parlando di un puzzle game: come reagireste se in Portal, dopo aver accidentalmente sciolto nell'acido il cubo indispensabile per completare un enigma, non aveste più la possibilità di riottenerlo?
    In ogni caso The Spectrum Retreat rimane un buon passatempo per gli appassionati enigmisti, tuttavia, e ci spiace tirare in ballo sempre la serie di Valve, esistono tante mod di Portal 2 che battono la creatura di Dan Smith sotto ogni punto di vista.

    Mind game

    Come accompagnamento alla più solida struttura puzzle, c'è anche una storyline che viene narrata attraverso frammenti di memoria che balenano durante i vari livelli, oppure tramite testi e diari reperibili con l'esplorazione. La narrazione si inerpica sui drammi - un po' gelidi - di una tragedia familiare, attraverso la quale abbiamo notato la volontà, piuttosto manifesta, di criticare la situazione politica attuale negli Stati uniti d'America. L'impianto narrativo di The Spectrum Retreat è tutto fuorché memorabile, ed è troppo evidente come sia stato aggiunto in maniera posticcia. La spaccatura tra sequenze puzzle ed altre prettamente narrative è di conseguenza troppo visibile, tanto che il gioco sembra l'unione malriuscita di due blocchi sviluppati indipendentemente. Magari il team di sviluppo avrebbe dovuto valutare più attentamente l'inserimento di una sovrastruttura quasi completamente scollegata dal cuore dell'esperienza ludica, e, nel caso, lavorare un po' di più per intrecciare le due parti.
    Inoltre, nei momenti in cui si scorrazza per il Penrose sono molto evidenti tutti i limiti della produzione: tra ambienti statici, problemi di fluidità (su PlayStation 4 Pro) e tutta una serie di imprecisioni tecniche che uccidono un'atmosfera già scarsa. Di contro, l'estetica delle stanze puzzle è minimale ma gradevole.

    The Spectrum Retreat The Spectrum RetreatVersione Analizzata PlayStation 4The Spectrum Retreat non è molto più che un banco di prova per il suo giovane creatore: un ragazzo con delle idee interessanti, che però non è riuscito a consolidare del tutto. Al gioco non manca qualche buona trovata, ma difetta di quel tocco particolare che restituiscono altre piccole creazioni del calibro di Antichamber. The Spectrum Retreat è insomma un po' fuori fuoco, grezzo, a volte disorganizzato. Mediocre nella sua componente da avventura narrativa, gradevole quando assume l'identità di gioco con enigmi, anche se sul fronte dei puzzle si sarebbero dovute limare alcune imprecisioni di design. Potreste dargli un'opportunità qualora siate a corto di titoli del genere, altrimenti vi basta guardarvi intorno per trovare esperienze molto più solide e divertenti.

    6.4

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