I Am Bread: dalle stalle alle cucine - recensione
I detrattori di Goat Simulator potranno pensare che questo titolo sia la dimostrazione di come i giocatori, soprattutto quelli amanti del trash, siano disposti ad acquistare qualsiasi cosa purché ben pubblicizzata e impacchettata. Per noi si tratta piuttosto della dimostrazione di come l'intenzione di creare qualcosa di nuovo venga premiato dagli utenti, stanchi dei "more of the same" dell'industria videoludica. Ma non sempre si riesce a sfuggire alle grinfie del mercato...
Il noto gioco avente per protagonista una capra ha avuto infatti il ruolo di creare un nuovo sottogenere, quello dei simulatori folli, dove piccole aziende hanno riversato idee e fondi, inconsapevoli di un semplice adagio: "essere al secondo posto è molto diverso dall'essere primi." Tutti i simulatori di erba, rocce, sedie, materassi e rastrelli spuntati dopo Goat Simulator, sono appunto arrivati tardi e finito il momento mediatico si sono rivelati come meri esercizi di sviluppatori che tentavano d'emergere in un ambiente competitivo. I Am Bread non fa eccezione, non del tutto almeno.
Si tratta ancora una volta di un videogioco che vuole simulare l'impossibile, in questo caso la vita e le trasformazioni di una fetta di pane. Un'idea divertente, in grado di rubare una risata di primo acchito ma che ben presto lascia perplessi. Come dovrebbe essere la vita di una fetta di pane? È così interessante da giustificare addirittura una modalità storia? A quanto pare sì, visto che i Bossa Studios hanno incluso nel gioco una trama.
