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King's Quest Episodio 2: Rubble Without a Cause – Recensione

Il primo King's Quest ci aveva piacevolmente sorpresi: The Odd Gentlemen riusciva infatti nell'intento di rievocare la classica serie fantasy di Sierra, con tanto humour e una buona dose di enigmi da avventura grafica tipicamente vecchia scuola. Anche il secondo episodio di questa serie mantiene tutti i punti di forza del predecessore, introducendo tuttavia delle nuove meccaniche, innovative per il modello “interactive drama” formalizzato da Telltale. La premessa è sempre la stessa: interpretate l'anziano King Graham che, bloccato a letto, racconta alla nipotina le sue (dis)avventure di quando era giovane. Se il primo episodio narrava le peripezie di Graham quando era ancora cavaliere, in Rubble Without a Cause il setting cambia di registro. Ora non siete più un aspirante al trono, siete un regnante, con le sue responsabilità da rispettare. A livello di interfaccia non si riscontra alcun cambiamento, e il modello è ancora una volta improntato all'accessibilità: vi muovete con lo stick analogico, con un tasto interagite con lo scenario e con l'altro usate un oggetto. Anche a livello grafico si riscontra il cel shading del primo episodio, che sembra strizzare l'occhio ai classici Disney degli anni '70.





NELLE PROFONDITÀ DELLA TERRA
Rubble Without a Cause, rispetto al primo episodio, fa un balzo cronologico piuttosto notevole, portandovi direttamente ai vostri primi tempi nei panni di re (come è avvenuta l'incoronazione sarà probabilmente uno degli argomenti dei prossimi episodi). La situazione tuttavia non è delle più rosee: siete infatti stati rapiti assieme ai vostri sudditi dai Goblin, che vi tengono rinchiusi nelle loro segrete. La prigionia diventa un'occasione quindi per sfidare il giocatore, e vedere se saprà rivelarsi all'altezza del compito richiestogli. Il gioco assume inaspettatamente le tinte del gestionale: di giorno i Goblin vi chiederanno infatti di pulire le loro caverne, ed è in questo frangente che incontrerete i sudditi di Daventry. Questi vi chiederanno aiuto, e la loro sopravvivenza rappresenta il fulcro del gameplay: dovrete assicurarvi che non si ammalino, che si nutrino a dovere e che non si preoccupino troppo. Naturalmente questo vi metterà di fronte a delle scelte, dando un'intensità al gameplay che rappresenta uno dei punti di forza più solidi del lavoro firmato The Odd Gentlemen. Preferirete badare a voi stessi o vi prodigherete per il prossimo? Questo dilemma dà forma al gameplay, e si concretizza in momenti di scelta e conseguenza; prendiamo per esempio il cibo: i vostri sudditi ve lo chiederanno di continuo, ma se lo date via tutto non ne rimarrà per voi, che non avrete abbastanza energie per esplorare le aree più remote del vostro luogo di prigionia. Ben presto vi renderete conto che avere la botte piena e la moglie ubriaca, come si suol dire, è decisamente impossibile e sarete costretti a fare dei compromessi tanto dolorosi quanto necessari. L'elemento “survival” offre un'ulteriore sfaccettatura al gioco, rinfrescando in maniera significativa il collaudatissimo modello Telltale e introducendo una profondità strategica solitamente assente in questo tipo di giochi.



C'è da dire tuttavia che la meccanica può rivelarsi leggermente frustrante: in alcuni casi non vi sarà dato il tempo di completare un'azione che sarete immediatamente sbattuti nella vostra cella, il che è piuttosto grave dal momento che una volta perso un suddito non potrete più tornare indietro: la frittata è fatta, insomma. Non è l'unica macchia di questo secondo capitolo: l'ambientazione sotterranea infatti viene facilmente a noia, soprattutto perché vi sarà chiesto di tornare più volte nello stesso luogo. D'altro canto, la bravura degli scrittori di The Odd Gentlemen si vede proprio nella loro capacità di rendere vivace anche questo setting noioso e statico, grazie a una forza che non conosce limiti: la scrittura.
L'intensità del gameplay rappresenta uno dei punti di forza più solidi
Come nel primo episodio, l'humour squisitamente british del gioco contribuisce a creare i suoi momenti migliori, alternando dialoghi brillanti a momenti dal sapore epico, il tutto sostenuto da un doppiaggio espressivo ed eseguito magistralmente. Si tratta chiaramente di un capitolo di transizione, che getta le basi per eventi più in grande scala che avverranno nei futuri episodi. Ciononostante, al suo interno sono presenti dei cruciali momenti di caratterizzazione, che rafforzeranno il vostro legame con gli altri personaggi portandovi a preoccuparvi seriamente per loro. Soddisfare le loro richieste non sarà sempre facile, ma darà vita a dei siparietti semplicemente esilaranti. Anche i nemici sono descritti con grande abilità: non potrete che innamorarvi dei Goblin e delle loro idiosincrasie, per non parlare del loro bizzarro culto che li porta a venerare le fiabe quasi come se fossero una religione.



Infine, è da segnalare che rispetto al precedente episodio questo è lievemente più corto (si parla di due ore in meno). Ma d'altro canto, sarebbe davvero sciocco valutare questo tipo di giochi da un punto di vista quantitativo, soprattutto considerando che quelle circa cinque ore che vi farà trascorrere valgono assolutamente il prezzo del biglietto di Rubble Without a Cause. Pollice in alto, quindi, per un secondo episodio necessariamente meno esuberante del predecessore, ma che costruisce magistralmente l'aspettativa per il prosieguo della serie.



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28 dicembre 2015 alle 17:51