Pixel Piracy - recensione
Per un pirata che si rispetti nulla è più prezioso di una mappa del tesoro. Rum a parte s'intende, e ci mancherebbe altro, ma per tramutare un manipolo di rozzi filibustieri buoni a nulla in una ciurma degna di questo nome serve autorevolezza, qualche punizione esemplare e, ovviamente, la promessa di una lauta ricompensa. Al resto ci pensa il setting: tra isole tropicali, mostri marini ed equipaggi avversari da scoraggiare a suon di palle di cannone, l'avventura che ogni corsaro sogna, sin da quando ciuccia alcool dal biberon, si realizza praticamente da sola.
Il tesoro, a dire il vero, i ragazzi di Re-Logic lo hanno già dissotterrato diversi anni fa, quando presero in prestito qualche elemento dal bellissimo Minecraft e lo adattarono al loro atipico action-RPG bidimensionale. Terraria era una sorta di The Legend of Zelda (Zelda II: The Adventure of Link, se vogliamo essere precisi) in cui sconfiggere gigantesche mostruosità assortite, dopo aver raccolto sufficienti risorse per costruire tutto il necessario per tramutarsi e inventarsi eroi.
La stessa formula può funzionare in altri contesti? Sulla carta assolutamente sì. Nella pratica, il pur intrigante Pixel Piracy ha dimostrato che non è affatto scontato che ciò che abbia funzionato sulla terraferma possa ammaliare identicamente anche in mare aperto.
