The Walking Dead Stagione 6 – Recensione
Si è da poco conclusa la stagione 6 di The Walking Dead. La serie dei record trasmessa sul network della AMC, devoluta da Frank Darabont ed ispirata ai fumetti di Robert Kirkman,si accommiata dal pubblico nella maniera più usuale possibile, senza quella sua dose di tensione e degrado sociale che aveva caratterizzato lo show nelle annate precedenti. Un season finale, quello andato in onda qualche giorno fa, che conclude frettolosamente una stagione sottotono, che si è persa in frasi già dette, in situazioni al limite del tedio, regalando pochi episodi degni di nota (4/5 su 16 è un record pressoché negativo), e realizzando appunto un finale lungo più un'ora che cade di nuovo in errori stilisti, tempistici e narrativi.
Compare finalmente il diabolico Neegan (Jeffrey Dean Morgan) dopo che attorno a lui è stata costruita la trama della seconda parte della stagione, eppure nonostante la perfetta release stilistica e la grande tensione emotiva (soprattutto perché ora si apre un grande punto interrogativo sulla morte di uno dei personaggi principali), The Walking Dead non colpisce più come lo aveva fatto in passato, diventato una caricatura di se stesso. Già durante la season four si era sentito un calo di emotività, la stagione 5 poi è risultata vagamente interessante grazie all'innesto di nuovi personaggi, questa appena conclusa invece, finisce per confermare tutti i dubbi e le incertezze che, anche il fan più accanito, ha notato. E' una serie che ormai brancola nel buio, non procede spedita verso un destino ultimo, preferendo di dare ampio spazio ad un'asfissiante caratterizzazione dei personaggi a discapito di un plot audace e dal grande spessore. In un momento molto particolare per la serie TV stessa e con un carico di episodi alle spalle, The Walking Dead non può permettersi di ripetere schemi e situazioni già ampliamente sfruttati e soprattutto non deve costruire un arco narrativo su un'attesa snervante, su un momento che alla fine si tramuta in un nulla di fatto. E' venuto meno il pathos, il dramma familiare, il difficile contesto sociale, le vere emozione ed un pizzico di sano entertainment, particolarità questa di importanza fondamentale, perché è l'ingrediente principale che, in The Walking Dead, serve a bilanciare la psicoanalisi ed il vero cuore del racconto.
The Walking Dead non colpisce più come lo aveva fatto in passato
In questa stagione molti – se non troppi – sono stati i momenti morti: da quelle lunghe macchinazioni per la salvaguarda di Alexandria al ritorno di Morgan (Lennje James) e la lunga digressione sul suo essere naturalista, da quell'episodio in bianco in nero impeccabile dal punto vista registico ma povero di contenti fino allo stesso finale di stagione, lento e didascalico che brilla solo per il grande monologo di Neegan, senza dimenticare l'antipatia nei riguardi di Carl (Chandler Riggs) e le sue turbe adolescenziali. Sparuti quindi gli episodi da antologia, se non quello dedicato all'apparente morte di Glen (Steven Yeun) – altro grande epic fail della stagione- alla lotta disperata per la salvezza di Alexandria quando l'ultima città fortificata è stata attaccata dagli Erranti, ma anche il momento in cui Maggie (Lauren Cohan) e Carol (Melissa McBride) sono state prese in ostaggio dagli scagnozzi di Neegan e, soprattutto, l'arrivo di Jesus (Max Payne) personaggio dal grande appeal ed unica vera ventata di aria fresca in un panorama asettico.
Cosa rimane quindi di The Walking Dead dopo questa stagione altamente deludente? Rabbia ed amarezza. Rabbia perchè con un tale background ed una pienezza di sentimenti, non si capisce come una serie di questa portata sia diventata una parodia di se stessa; amarezza perché nonostante in molti hanno compreso il mare di prevedibilità in cui sta annaspando lo show, rimane ancora uno dei prodotti più visti della tv, e soprattutto uno fra i più discussi del web, quando invece dopo 6 stagioni (una settima in arrivo ad ottobre ed uno spin-off in avanzata produzione), si potrebbe scrivere tranquillamente un finale decente e cercare di non offuscare ulteriormente un mito della serialità moderna. La radice di una produzione televisiva è lo storytelling, il saper rendere partecipe il pubblico e, se questo viene a mancare e si continua a portare avanti un prodotto a scopo commerciale, prima di tutto non si ha rispetto per i telespettatori. Purtroppo però con questi indici di gradimento ci saranno altre stagioni di The Walking Dead, ma prima a poi ci dovrà essere una svolta epocale, oppure il tedio ci ucciderà?
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