SUPERHOT – Recensione
Qual è il giusto prezzo di un'idea? Di una grande idea, per essere più precisi. Perché SUPERHOT, prima ancora che ambire all'Olimpo numerico e statistico, sembra, dall'introduzione sino agli ultimi istanti di gioco, puntare a ben altro. Lo sparatutto nato come esperimento tecnico per poi approdare su Kickstarter e, infine, sugli store digitali di Steam e Xbox One,sembra, anche, voler sfuggire qualsiasi tipo di catalogazione. Non è un FPS, non è neppure un puzzle game e, neanche, un action. Eppure, è sicuramente tutte e tre le cose, mascherate e poi rimescolate dalla manipolazione temporale al servizio dell'utente. O forse, chissà, al servizio un'altra entità. Magari astratta, magari no. E allora, qual è davvero il giusto prezzo di un'idea?
FREE AS A BIRD
Se ti muovi, si muove anche il tempo. Se si muove il tempo, si muovono anche i nemici, le loro pallottole, le loro spade. Se non ti muovi, il tempo resta fermo. Ma non la tua mente, chiamata ad elaborare ogni strategia, ogni movimento, ogni singolo passo. L'azione frenetica non paga, in SUPERHOT. Meglio girarsi intorno, al costo di qualche millesimo di secondo, e capire cosa fare. Ogni “schema” richiede, infatti, la pianificazione totale delle azioni e dei movimenti nemici. Anche, delle opportunità concesse dagli ambienti. Soprattutto, del corpo del giocatore nello spazio e nel tempo. Sembrano concetti filosofici, quasi astratti. In realtà, l'idea alla base di SUPERHOT è, pad alla mano, realmente semplice. Tanto da assimilare, quanto da giocare.
L'azione frenetica non paga, in SUPERHOT
Ogni schema, quasi ogni schema, parte da una situazione di stallo, con l'inquadratura in prima persona che rivela solo una porzione di quella che è l'arena di gioco. All'interno di quell'arena ci sono i nemici, “Red Guys” privi di una qualunque caratterizzazione che non sia, appunto, la posizione, l'arma o meno impugnata, la loro vicinanza al giocatore stesso. Tutto all'inizio è fermo. Meglio: immobile. Muovere il proprio alter ego e, quindi, il mirino e la visuale metterà in movimento l'intero schema e i suoi abitanti, come se la leva sinistra del pad fosse, in realtà, la manovella di un carillon. Se si ferma la manovella, si ferma anche il carillon. Se la manovella gira, il carillon riprende a muoversi. E così via. Laddove, però, un carillon non uccide, ecco che l'universo Superhot, una volta attivato, si rivela in tutta la sua incredibile violenza. Una violenza “base”, quasi ancestrale, priva di sangue e, forse proprio per questo, estremamente affascinante. Il particolare incedere del tempo permette, infatti, di sprigionare l'anima “stilish” di SUPERHOT. Un'anima nascosta dai movimenti e dai fotogrammi che, specie nelle fasi iniziali, rendono l'incedere quasi goffo. Eppure, bastano pochi minuti per acquisire consapevolezza e, al netto di movimenti sempre e forzatamente frammentati, anche fluidità ed estrema bellezza. Accade quando si supera la concezione del classico FPS, ben radicata nella testa del videogiocatore, per abbracciare un gameplay nuovo, originale e innovativo che passa, obtorto collo, dalla necessità di eludere i proiettili avversari in una sorta di danza della morte in scena tra scie ed esplosioni. One shoot, one kill, baby. E la regola vale per tutti.Quindi, con il proseguo dell'avventura, si passa dalla necessità di intuire i movimenti o, addirittura, di memorizzare i pattern d'attacco e movimento degli avversari sino alla meticolosa pianificazione e alla piacevole strategia. Infine, una volta acquisita e metabolizzata la trasmigrazione della mente, che permette di abbandonare il proprio corpo per “occupare” quello di un nemico, la campagna si conclude. Ed è in quel momento che il giocatore è finalmente libero.
Abbracciando contesti e situazioni propri della metanarrativa tanto cara alla fantascienza dello scorso secolo prima ancora che al media videoludico moderno, SUPERHOT centra l'obiettivo, tutt'altro che scontato, di offrire una trama interessante per le 3 ore scarse necessarie al completamento della campagna. Ad un'offerta sulla carta limitata, il titolo polacco risponde con il fascino di schermate in Dos dal sapore anni '80, dialoghi fuori di testa tramite vetusti moduli chat e un intreccio narrativo meta ludico non particolarmente complesso, ma realmente affascinante. Ed è curioso come quella storia, tanto breve e solo abbozzata, continui poi ad aleggiare nelle modalità sbloccabili solo a margine dei titoli di coda. Le sfide e l'endless mode, sezioni da punteggio e sopravvivenza, esaltano definitivamente il level design, chiudendo il cerchio dell'esperienza attorno al puro gameplay.
SUPERHOT centra l'obiettivo, tutt'altro che scontato, di offrire una trama interessante
Se appare naturale che, in termini puramente ludici, SUPERHOT esprima i suoi meriti, com'è giusto, solo a margine del primo test, è altrettanto innegabile che l'aspetto tecnico e i meriti artistici siano emersi molto prima, sin dalle prime schermate di quello che era tutt'altro che un prodotto finito. Il fascino del concept e l'originalità del gameplay sono bissati dal particolare stile grafico del titolo. Detto delle schermate Dos che, alternativamente, fungono da menu piuttosto che da screenplay, SUPERHOT insiste su ambientazioni scarne, spoglie, prive di colori fagocitati da un continua scala di grigi, Il bianco è sempre prevalente e, oltre a rendere sempre leggibile la scena, esalta il lucente rosso che dipinge i nemici. Tutto è molto asettico, eppure spaventoso, misterioso. Alle volte, persino drammatico. Il rosso che, non in questo titolo, non rappresenta il sangue, assente giustificato, ma le scie delle pallottole e, forse, l'anima dei personaggi. E quando, una volta concluso uno schema, si ha la possibilità di rivedere la propria performance a velocità normale, con il tempo che torna a girare per il giusto verso, la voce automatica sovrasta una manciata di effetti sonori per rivendicare lo status di unica e incessante soundtrack: “SUPERHOT”.
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