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Sheltered - recensione

Paragonare Shletered al recente spin-off di Fallout è utile per inquadrare il genere d'appartenenza dell'intrigante produzione di Unicube, ma depista alla grande circa stile, ambizioni e tipo d'esperienza veicolato in ogni partita. Chiunque abbia avuto la fortuna di godere e piangere alla visione del film The Road, tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, si calerà facilmente nella deprimente atmosfera che si respira nel minuscolo e claustrofobico bunker in cui, nella speranza di farla sopravvivere il più a lungo possibile, gestirete una famiglia sopravvissuta alla fine del mondo e composta da due adulti, altrettanti infanti e un animale.



L'art design, rigorosamente in pixel art bidimensionale, proietta sullo schermo un mondo monocromo, spento, ingrigito, facilmente accostabile alla fotografia utilizzata nel lungometraggio diretto da John Hillcoat. Il legame familiare che accomuna i protagonisti dell'avventura, soprattutto nelle eventualità più drammatiche, ricordano i tantissimi momenti tragici e commoventi vissuti dall'Uomo (interpretato nel film da un bravissimo Viggo Mortensen) e dal Bambino.



C'è in particolare una scena, l'unica in cui la tensione si distende momentaneamente, dove i due si imbattono fortuitamente in un vecchio rifugio antiatomico abbandonato, zeppo di scorte alimentari, prodotti per la cura del corpo, perfino alcool e qualche sigaro. Un piccolo angolo di paradiso in un mondo irrimediabilmente distrutto e largamente disabitato. Un piccolo angolo di paradiso che in Sheltered vi sarà negato, visto che il bunker è salvezza e insieme fonte di tanti affanni per il quartetto di sopravvissuti a un non meglio specificato olocausto nucleare che ha spazzato via civilizzazione e i confort a cui l'uomo comune è abituato.

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9 maggio 2016 alle 10:40