Shadow of the Beast – Recensione
Il primo Shadow of the Beast per Amiga era stato una rivoluzione, grazie a uno stile visivo e sonoro assolutamente unico, e che rimane ancora oggi nel cuore dei fortunati che ebbero modo di provarlo all'epoca. Questa reinvenzione per console moderne ha quindi il non semplice compito di riportare in vita l'essenza originale del classico, pur rimanendo fedele all'eredità che il titolo Psygnosis ha lasciato al gaming moderno. A un primo impatto, il nuovo Shadow of the Beast fa salire fin da subito il brivido lungo la schiena ai più nostalgici, grazie a un efficace sintesi di grafica e sonoro. Già, perché fin dall'inizio i più attenti riconosceranno le melodie che il prodigioso Amiga riusciva a produrre, naturalmente riarrangiate e orchestrate per soddisfare i palati dei gamer moderni. Il gioco si muove rispettosamente nel solco della tradizione, offrendo sì una grafica interamente poligonale, ma ancorando la progressione al solo asso orizzontale.
I designer hanno scelto di non cedere alle lusinghe del “dark” a tutti i costi
Il risultato è quindi un'esperienza molto vicina a quella dell'originale uscito su Amiga, ma che grazie al make-up poligonale è in grado di sfoggiare un'estetica davvero notevole. Il risultato a livello artistico è degno di nota, perché i designer hanno scelto di non cedere alle lusinghe del “dark” a tutti i costi, e hanno plasmato il mondo di Shadow of the Beast con la stessa varietà cromatica dell'originale. Il contrasto tra la brutalità del gameplay e la vividità dei colori rende questo remake visivamente interessante almeno quanto lo era l'originale. Immancabili anche i livelli di parallasse, presenti come lo erano ai tempi dell'Amiga, e bisogna peraltro segnalare l'introduzione di stilosi giochi di telecamere. Le location, possiamo affermarlo senza tema, conservano intatto il fascino tutt'altro che banale dell'originale, e anche il creature design è assolutamente fresco e ispirato.
IL RISVEGLIO DELLA BESTIA
Se a livello estetico il risultato convince, a livello di gameplay il remake si pone in mezzo tra la continuità con la tradizione e una doverosa (forzata?) innovazione, lanciando non poche strizzatine d'occhio a God of War. Un atteggiamento che all'atto pratico si traduce in un combat system in apparenza molto viscerale, e tuttavia ancorato a una gestione degli spazi decisamente retrò (complici delle animazioni piuttosto legnose). Già, perché bisogna pur sempre ricordare che tutto Shadow of the Beast si svolge sull'asse orizzontale, e questo significa che potrete sferrare attacchi o verso sinistra o verso destra, destreggiandovi strategicamente tra l'una e l'altra direzione per evitare di essere colpiti a vostra volta. Da un certo punto di vista, il fatto che la libertà d'azione sia volutamente limitata induce il giocatore a dover assumere una valutazione tattica ad ogni singolo colpo. Colpire un avversario che si trova a destra, per esempio, potrebbe lasciare a sinistra un'apertura indesiderata di cui un altro nemico approfitterà per attaccarvi. Ma il sistema di combattimento è evidentemente meno immediato dell'originale, e introduce una serie di nuove feature che ne aumentano la profondità. Il rovescio della medaglia è che, rispetto al primo Shadow of the Beast, a causa delle aggiunte questo remake rischia di sembrare meno fluido e, in definitiva, meno appagante.
Il remake si pone in mezzo tra la continuità con la tradizione e una doverosa (forzata?) innovazione
Nemmeno a livello principiante premere i tasti a casaccio vi porterà da nessuna parte, ma dovrete fare uso di tutto il ventaglio di possibilità a vostra disposizione. Che includono una parata, l'immancabile rotolamento e la possibilità di contrattaccare poco prima che il vostro avversario vi colpisca (un po' come avviene in Bayonetta). Esistono anche delle mosse speciali, che si attivano usando il sangue, un'unità di misura che si ricarica una volta che avrete attinto, appunto, alle pozze di sangue lasciate dai vostri nemici. Uno degli attacchi possibili è la cosiddetta Catena di Rabbia, che attiverà all'atto pratico un Quick Time Event, che stona particolarmente in un'ottica di divertimento “old school” e frenetico. Altri attacchi speciali vi richiederanno, per esempio, di premere ripetutamente un tasto onde aumentare il numero di punti ottenuti. Nel corso del gioco continuerete ad apprendere nuove mosse, che renderanno più sfaccettato il modo in cui lottate, e torneranno utili verso le diverse tipologie di ostili con cui avrete a che fare. Potrete anche raccogliere dei talismani, che influenzeranno lo stile di lotta del vostro personaggio. Il gameplay è reso ulteriormente vario dalla presenza di scontri con i boss, che richiederanno un approccio diverso per essere eliminati, pur rimanendo sempre ancorati alla limitazione di design dell'asse orizzontale (senza contare con qualche virtuosismo di telecamera). Se sulla carta queste novità possono suonare interessanti, l'effetto che producono sul gameplay è di diluirlo piuttosto che arricchirlo, allontanando l'user experience dall'impareggiabile immediatezza del capolavoro uscito nel 1989.
Shadow of the Beast conserva anche una componente esplorativa (invero ben più leggera rispetto al capostipite), che vi spingerà a ripercorrere determinati ambienti, con la possibilità di trovare strade grazie alle nuove abilità che avrete appreso (in perfetto stile Metroidvania). Lungo la strada troverete anche dei semplici enigmi, basati perlopiù sull'attivazione di pulsanti e interruttori, che propongono un rilassante break rispetto alla brutalità del gameplay. In generale, si può dire che questo remake ha provato a muoversi in punta di piedi, ma gli sviluppatori si sono concentrati più sull'aspetto formale che meccanico. Il motivo per cui non ottiene un voto più alto, quindi, è che l'approfondimento del combat system ha reso il titolo meno immediatamente approcciabile rispetto al classico Amiga (probabilmente perché oggi, nel 2016, una simile linearità di design non sarebbe stata commercialmente proponibile). A livello visivo, Shadow of the Beast è una piccola perla, ma la mancanza di un corretto equilibrio tra modernità e citazionismo ha prodotto un gioco schizofrenico, che tenta di essere retrò ma allo stesso tempo di adeguarsi allo scenario attuale. Avremmo preferito, dunque, una scelta di campo più netta. Quello che rimane è quindi un dolce tuffo nel passato, che intratterrà per poche ore l'avventore occasionale e che delizierà il fan dell'originale con un po' di sana nostalgia. Ma niente di più.
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