Dead Island Definitive Collection – Recensione
Esiste una differenza sostanziale tra Raccoon City e l'isola di Banoi. Ed è la stessa che passa tra uno zombie solitario che barcolla sotto la luci intermittenti di un lampione scassaro nella notte suburbana e uno zombie a bordo piscina, con tanto di costume colorato che riflette i raggi del sole. Se Techland, nel 2011, ha avuto davvero un merito è stato quello di sdoganare anche nel videogioco l'immaginario zoombesco slegandolo da un certo tipo di oscure ambientazioni per portarlo in un paradiso tropicale della Nuova Guinea, terra di Chimbu e villaggi turistici. Anche di zombie, ci mancherebbe. Che, con un boost generazionale, si rifanno il trucco per apparire ancora più belli e più vivi. In senso figurato, s'intende.
LA MORTE TI FA BELLA
Inutile, in questa sede, lanciarsi nella solita e dura reprimenda contro il fenomeno delle “remaster”, segno distintivo di una generazione videoludica carente in idee prima ancora che in tecnologie. Se davvero è “remaster era” è solo perché la gente compra. Piuttosto, è bene chiarire che Dead Island Definitive Collection rappresenta, nel sotto genere delle rimasterizzazioni, un esperimento sicuramente riuscito. Non perfetto e, anzi, decisamente migliorabile. Eppure, al netto dei contenuti e della qualità, sicuramente apprezzabile. L'offerta di Deep Silver, alle prese con varie problematiche conseguenti alla rottura del rapporto con Techland, è sostanziosa. A subire il processo di masterizzazione è l'originale Dead Island datato 2011 e il suo seguito, Dead Island: Riptide. A questo, si aggiunge il download di Dead Island: Retro Revenge, una sorta di picchiaduro a scorrimento continuo e costante su binari in puro stile 8-16 bit che rappresenta la vera novità della collection. Tutt'altro che epico l'incipit narrativo, che mette il giocatore nei panni di Max, buzzurro americano con la passione dei gatti e dei videogiochi chiamato a recuperare il suo felino domestico facendosi largo sulle strade californiane popolate da pixel e da zombie. Il gioco, che presenta una grafica bidimensionale “sporcata” da scan lines e distorsioni da tubo catodico, è caratterizzato dallo scrolling orizzontale e continuo dello scenario e dalla presenza di diversi livelli su cui muoversi a suon di combo, colpi speciali e, addirittura, magici. Si tratta di un simpatico plus, sviluppato da Empty Clip Studios e inserito in un bundle dove, però, a farla da padrone sono, appunto, le rimasterizzazioni del primo Dead Island e del seguito Riptide.
Dead Island Definitive Collection rappresenta, nel sotto genere delle rimasterizzazioni, un esperimento sicuramente riuscito
Inutile, pure, lanciarsi in lunghe e tediose descrizioni sui due titoli, bene o meno conosciuti a tutti i fan del genere e le cui peculiarità sono comunque a portata di Google. Basti sapere che, sfruttando una visuale in prima persona, entrambi i giochi propongono ambientazioni free roaming più o meno estese dove, sfruttando armi da fuoco e, soprattutto, da mischia, farsi largo tra orde di zombie mai troppo numerose, ma decisamente aggressive. L'ibrido tra Fps, Survival Horror e Rpg, componente, questa, poco sviluppata eppure presente, seppe catturare le attenzioni della critica e soprattutto del pubblico, rendendo il primo Dead Island una sorta di sleeping hit ben sfruttata dal reparto marketing di Deep Silver. D'altro canto, Techland aveva tra le mani diverse carte vincenti. La naturalezza del sistema di combattimento, che sfruttava un melee ben implementato attraverso il rafting delle armi, veniva esaltato dalle funzionalità multiplayer proprie della co-op per quattro giocatori rendendo il titolo, alla pari di Left for Dead, perfetto per la caccia di zombie in compagnia. Il seguito, Riptide, bissò, se pur in forma minore, il successo del predecessore, presentando la stessa formula, gli stessi 4 personaggi selezionabili e le stesse meccaniche. Anche, la stessa trama, che riprendeva e sviluppava quanto accaduto nel gioco precedente fornendo, però, una nuova mappa di gioco nella solita atmosfera tropicale.
Dead Island Definitive Collection non modifica la ricetta, mettendo sul piatto gli stessi due giochi impreziositi, però, da un aspetto tecnico in parte rivisto e aggiornato alle capacità delle nuove console e delle nuove schede grafiche. Il primo elemento è l'aumento di risoluzione che, dai canonici 720p passa, nelle versioni console testate, al Full HD. Al raggiungimento del tetto dei 1080p, Deep Silver ha quindi accompagnato una lunga serie di accorgimenti e limature al motore grafico proprietario. In primis, al sistema di illuminazione, capace di gestire routine molto più complesse e realistiche che esaltano l'ambientazione tropicale ed una fotografia satura, colorata e luminosa. Merito, anche, del lavoro svolto sui modelli poligonali, in parte ridisegnati e sicuramente più morbidi, meno spigolosi e maggiormente dettagliati. Sui volti compaiono pori, imperfezioni, fili di barba e nuovi particolari, mentre i tessuti degli abiti guadagnano in realismo. Il boost grafico si estende a tutto l'ambiente di gioco.
D'altro canto, Techland aveva tra le mani diverse carte vincenti.
Detto delle nuove routine di illuminazione, appare degno di nota l'utilizzo di nuove texture e di shader capaci di restituire nuova bellezza a piante,superfici e materiali. Insomma, tutto appare più sinuoso, più levigato. Il potenziamento del filtro antialasing è notevole, impattando in maniera decisa sulla qualità visiva arricchita, infine, dall'introduzione di nuove tecniche di occlusione ambientale. Insomma, motore rivoluzionato? Nì, perché se è oggettivo il gran lavoro svolto da Deep Silver sui due titoli, è altrettanto vero che di acqua e soprattutto di giochi sotto i ponti ne son passati tanti. L'impegno dei programmatori riesce, quindi, a svecchiare il titolo che, però, fatica comunque nel tenere il passo di prodotti più recenti come, ad esempio, lo splendido Dyng Light targato proprio Techland. La resa visiva, pur migliorata, appare così un po' impastata e afflitta da una serie di magagne tipicamente old generation. La verità è che il Chrome Engine prestava il fianco a più di qualche critica già un lustro or sono. Se è possibile chiudere un occhio su alcune compenetrazioni poligonali, comunque piuttosto rare, sarà difficile, per il videogiocatore del 2016, ignorare la legnosità delle animazioni e, soprattutto, sopportare il frame rate ancora bloccato sui 30 fotogrammi al secondo. Proprio la mancata introduzione dei 60 FPS appare, così, come la classica “occasione mancata”. Quella, cioè, di rendere questa collection realmente appetibile per chiunque abbia, almeno una volta, visitato l'isola di Banoi, i suoi punti relax e le sue aree più sperdute.
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