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Trials of the Blood Dragon - recensione

Occhiali scuri alla Terminator, camicia a quadri in stile Chuck Norris, jeans a vita alta, capelli cotonati che nemmeno al ballo della scuola, All-Star ben allacciate ai piedi. Dovrebbe essere questa la divisa ufficiale con cui approcciarsi a Trials of the Blood Dragon, bizzarro, per non dire folle, seguito-non-seguito dell'FPS e spin-off di Far Cry pubblicato nel 2013.



Già ai tempi, su PC, PlayStation 3 e Xbox 360, le cose avevano preso una piega piuttosto inaspettata e originale. Nei panni del temerario Sergente Rex Power Colt bisognava scongiurare il pericolo di una guerra nucleare, prendendo parte ad un'avventura dai temi e toni spiccatamente Anni '80. Un collage di citazioni, colori acidi ed esplosioni a catena che venne apprezzato e lodato all'unanimità, ricordandoci, ancora una volta, di come Ubisoft, tra i grandi publisher che influenzano l'industria videoludica, sia senza alcun dubbio tra quelle che osa di più.



Ovviamente ci aspettavamo un sequel, un secondo capitolo che ne riprendesse l'impostazione, offrendoci un'esperienza ulteriormente perfezionata e galvanizzata dalla rinnovata potenza degli hardware contemporanei. Ci aspettavamo che gli sviluppatori spingessero ulteriormente sull'acceleratore, propinandoci situazioni ancora più assurde e una trama densa di ironia e demenzialità. Ci aspettavamo nuove armi, nemici, ambientazioni, magari un comprimario inedito che desse il suo supporto in una modalità cooperativa dedicata.

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21 giugno 2016 alle 12:10