Pokémon GO - recensione
La curiosità per Pokémon GO non poteva che essere tanta, ma alla luce delle notizie che stanno arrivando in questi giorni, con persone che scoprono di tutto, visitano luoghi improbabili o acchiappano Pokémon nelle situazioni più impensate, la Poke-mania sembra essere dilagata a velocità incredibile. Noi, naturalmente, non potevamo esimerci dall'andare a caccia dei Pocket Monster, e ci siamo quindi tuffati immediatamente nell'avventura.
Dopo l'installazione, prima di andare a caccia si passa per la personalizzazione del proprio alter ego, scegliendone le tipiche caratteristiche come il colore degli occhi, dei capelli, della pelle, il sesso e qualche vestito. Ci viene quindi chiesto quale Pokémon catturare per primo. Possiamo scegliere tra i tre classici starter della prima generazione, vale a dire Squirtle, Charmander o Bulbasaur, per poi procedere alla cattura vera e propria. A questo punto entra in gioco la realtà aumentata, che è poi il vero punto di forza del gioco: lo schermo del vostro smartphone vi mostra quello che inquadra la fotocamera con in sovrimpressione il Pokémon scelto da catturare (nel mio caso Charmander) e, in basso, la Poké Ball da lanciare con il dito.
Inizialmente non è chiarissimo il da farsi: sopra al Pokémon c'è un cerchio bianco con un altro verde che scorre al suo interno, e si è portati a pensare di dover lanciare la sfera al momento giusto, ma dopo un paio di tentativi andati male diventa chiaro che i cerchi servono solo a sottolineare l'ovvio, cioè la presenza del mostro da catturare, mentre l'unica cosa che conta è lanciargli in testa la nostra sfera biancorossa. Fatto questo, si apre una schermata con le statistiche del Pokémon catturato e si guadagnano i primi punti esperienza.
