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Dragon Quest Builders – Recensione

Sarò schietto e sincero: non ho mai apprezzato quel mastodontico fenomeno chiamato Minecraft, per niente. Eppure è stato capace di diventare un must tra giocatori di diverse età grazie ad un modo innovativo di intendere la libertà, non più intesa come possibilità di compiere un numero limitato di azioni in un mondo rigido e dalle regole ferree (come tanti sandbox) bensì trasformata nel dominio assoluto di tutto ciò su cui si poteva porre lo sguardo con il solo compito di rispettare quelle due/tre linee guida dettate dalla sopravvivenza. E basta. Ai miei occhi ne risultava un'esperienza impalpabile, a tratti claustrofobica e in molte occasioni tediosa. L'annuncio quindi di un titolo come Dragon Quest Builders ha fatto scattare immantinente l'allarme rosso per una serie così celebre e riconoscibile da non necessitare in alcun modo di uno spin-off che cavalcasse l'onda di un successo, quello del titolo Mojang, decisamente in fase calante.  Nel trovarsi a recensire questo nuovo titolo Square Enix è necessario dunque provare a mettere pace tra riserve personali e potenziale nascosto sotto le superfici cubettose, mettendo le cuffie e sparando a tutto volume i temi classici della serie. Chissà che così non funzioni…



DRAGONLORD, SLIME E CUBETTI
Breve intro, necessaria: Dragon Quest Builders è collocato cronologicamente dopo gli eventi del primo titolo, in una realtà alternativa in cui l'eroe ha avuto la peggio e il mondo di Alefgard è dunque caduto in rovina, divenendo dominio di mostri e demoni. Gli esseri umani vivono nel terrore e non sono in grado di rialzarsi e tornare a combattere in quanto hanno perduto – come in un'amnesia generale – la capacità di costruire qualunque cosa, dalle armi fino al semplice mattone. Il nostro protagonista viene chiamato in causa da una misteriosa voce, con il compito di ricostruire il mondo… ma non di salvarlo: è chiaro fin dall'inizio che egli non è un eroe e non deve nemmeno tentare di esserlo. Compito del giocatore è dunque quello di muoversi lungo i vari continenti per rimettere in sesto città e castelli, fornendo nuovi luoghi di ritrovo agli abitanti che, progresso dopo progresso, inizieranno a popolare le varie roccaforti in cui finalmente trovare riparo. In un universo come quello di Dragon Quest, però, il tutto assume una connotazione piuttosto buffa: i personaggi sono realizzati in maniera caricaturale, con grandi teste e fisici sproporzionati, e si incastrano in maniera sorprendentemente efficace in queste lande squadrate in cui è difficile trovare la medesima grazie e cura nell'impatto visivo.



I nostri progressi sono saggiamente scanditi da necessità crescenti
Pur non trovandoci in un mondo generato proceduralmente come nel sopracitato Minecraft, pianure, valli e montagne soffrono un po' a livello artistico per via della realizzazione dissonante dalla direzione artistica e non entusiasmano in senso assoluto, divenendo però ideale teatro per una storia in cui abbiamo il potere modellare a piacimento ogni centimetro a disposizione. Ci è possibile infatti distruggere i singoli blocchi di materiali differenti, che siano terra, argilla, pietra o altri minerali più resistenti: sarà il nostro equipaggiamento a determinare i limiti delle nostre capacità e andremo ben poco lontano con il semplice bastone di cipresso forgiato nei primi istanti di gioco. Ben presto ci verrà in soccorso il martello, che abbinato all'attacco rotante diventa strumento inarrestabile per raccogliere grandi quantità di materiali senza fatica, coadiuvandoci anche nelle attività di terraforming. I nostri progressi sono saggiamente scanditi da necessità crescenti, legate principalmente ai bisogni degli abitanti che chiederanno di volta in volta strumenti migliori, edifici più comodi e difese più efficaci, dovendo di volta in volta replicare ad attacchi nemici a cui è necessario prepararsi a dovere.



Il gameplay è quindi separato in maniera abbastanza decisa tra recupero risorse ed esplorazione, mentre i combattimenti sono generalmente evitabili tranne nei casi in cui il loro superamento sia un requisito necessario a far avanzare la missione in corso. Tutto molto simile a quanto avviene in un classico gioco di ruolo d'azione, con una trama che si dipana su missioni e boss battle che segnano il passaggio tra un continente e il successivo. Peculiarità di questo sistema di avanzamento è il reset che il giocatore deve affrontare ciclicamente, abbandonando materiali e progetti acquisiti per ripartire con un equipaggiamento di base appena migliore e ricominciare l'opera di restauro in una nuova area, con nuovi abitanti e nuove necessità. Questa pratica all'apparenza tediosa, sebbene si presenti solo una manciata di volte, è molto più fluida di quanto possa apparire grazie al sistema di crafting semplificato, che dona al giocatore ricette e progetti per nuovi strumenti, architetture o cibo nell'istante in cui si recupera la materia prima necessaria, facendo sì che la voglia di scoperta, così come l'avventura in sé, si intrecci in maniera armoniosa con ogni obiettivo completato. Enorme agevolazione in questo senso si ha dalla gestione dell'inventario, che all'ottenimento della Cassa gigantesca permette di inviare automaticamente tutti gli oggetti raccolti in eccesso e di richiamarli quando necessario indipendentemente dal luogo in cui ci si trovi.



La libertà interpretativa si estende anche all'esplorazione
A conti fatti l'esperienza risulta molto lineare e spedita se non ci si fa rapire dalla voglia di plasmare l'area di gioco a nostra immagine o testare i limiti dell'intelligenza artificiale dei compagni o dei nemici. Potreste infatti perdevi letteralmente ore nel dare forma ad una cittadella in grado di rispondere agli attacchi nemici semplicemente perché impossibile da raggiungere per le creature, vincolate negli spostamenti in altezza al singolo blocco e incapaci di saltare spazi vuoti se presenti nel loro percorso: un fossato profondo e un ponte inframezzato da interruzioni possono essere un ottimo modo per rendere l'area inattaccabile e comunque raggiungibile dal giocatore…. e perché non un villaggio sospeso nel vuoto (tempo permettendo)? Per porre un “immaginario” limite alle digressioni dei giocatori entrano in gioco i progetti difensivi, che costringono a realizzare barricate speciali per ostacolare le orde nemiche e che, ovviamente, sarebbero inapplicabili in un'area stravolta dal giocatore. La libertà interpretativa si estende anche all'esplorazione e sarà facile che per superare le aree montane possa venir voglia di costruire strade sopraelevate utili a rendere molto più rapidi gli spostamenti. Grazie al sistema di posizionamento dei blocchi molto intelligente, bastato su movimenti strafe, che permette di inanellare una sequenza di cubi con il minimo sforzo e grande velocità, il tutto risulta decisamente meno dispendioso in termini di tempo di quanto si possa immaginare.



Laddove Dragon Quest Builders non eccelle è nel sistema di combattimento, decisamente molto semplice e vincolato ad hit box discutibili. Non che ci fossero velleità di action game consumato con parate, schivate e mosse speciali, ma le frecce al nostro arco – a parte i veicoli disponibili nelle fasi avanzate o le armi create per difendere le mura che possono essere portate in borsa e posizionate all'occorrenza – sono ben poche, rendendo appassionanti unicamente gli scontri che chiamano in causa l'utilizzo di strumenti speciali o meccaniche ben precise. Affrontare un drago con la sola spada, per capirci, risulta tedioso e di difficoltà infima, proprio per la natura del titolo che si preoccupa di allestire una sfida equilibrata solo in determinati contesti, come nel caso dei boss appunto.



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4 ottobre 2016 alle 15:01

Condiviso da Raime.