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Detention - recensione

Spesso i giochi migliori arrivano dal nulla. Te li ritrovi davanti senza neanche capire da dove siano sbucati. Detention è uscito da Taiwan, un paese che non fa certo dello sviluppo di videogiochi la sua tradizione più famosa. A crearlo sono stati i ragazzi della Red Candle Games, un gruppo di sviluppatori indipendenti che più indie non si può.



Siamo di fronte ad un gioco horror in 2D, un genere non comune che ha in Lone Survivor il suo esponente più famoso. Ne sono protagonisti due ragazzi di nome Kay e Wei, rimasti loro malgrado intrappolati nella loro scuola, un luogo che non può non ricordare le lugubri e terrificanti atmosfere del primo Silent Hill. Ancora più terrificante è lo scenario che fa da contorno al gioco: la Repubblica di Cina degli anni '60, un paese soggiogato da un regime governativo opprimente nel quale vige una rigidissima corte marziale. Non esiste libertà di stampa e ancora meno quella di parola.



Fuori piove e le ombre che vengono proiettate nelle aule della scuola fanno paura. Non vogliamo ovviamente rovinarvi le sorprese del gioco, ma sappiate solo che dopo un evento Kay perde di vista Wei e si ritrova sola in un luogo simile, ma non uguale, a quello in cui credeva di essere. Wei sembra essere scomparso e tutto intorno a lei si è trasformato in uno spaventoso teatro infernale. Il modo in cui questo piccolo team di sviluppatori è riuscito a rendere inquietante il gioco, utilizzando uno stile grafico tutto sommato povero, ha dell'incredibile. Detention dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che a volte idee e talento possono colmare il divario che separa un piccolo gruppo di programmatori dagli squadroni di sviluppo con budget a otto zeri.

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13 aprile 2017 alle 11:00