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Sniper: Ghost Warrior 3 – Recensione

Sarà pur vero che un cecchino, un bravo cecchino, deve sapersi nascondere e aspettare il momento giusto per piazzare il colpo, ma Sniper Ghost Warrior 3 ha anticipato i tempi arrivando sugli scaffali, fisici e digitali, evidentemente troppo presto. Troppo presto nonostante uno sviluppo lungo e, al netto di una manciata di rinvii dall'annuncio del 2014, probabilmente travagliato. Un vero peccato, perché i tanti, troppi bug che intaccano la qualità complessiva dell'opera di CI Games rischiano di occultare gli indubbi meriti di una produzione ambiziosa, divertente e, lo si dica subito, persino originale. Alla faccia delle fonti di ispirazione e dei richiami. A dispetto di quegli stessi glitch e bachi già citati. In barba, pure, a quelle velleità da Tripla A che dovrebbero giustificare il prezzo pieno. SGW 3, sotto certi aspetti, è un gran gioco, ma, per altri, è pure tutto quello che un gioco non dovrebbe essere. Almeno per il momento.



GEORGIA ON MY MIND
A creare un Open World divertente, vivo e pulsante in metropoli come Los Angeles o San Francisco sono bravi tutti. Provateci voi, invece, a ricreare la zona montuosa della Georgia dove, tra cunicoli e villaggi, dighe e baraccopoli, vivono in un clima tutt'altro che idilliaco le varie fazioni che operano nel mondo di SGW3. Nella guerra civile tra separatisti e rivoluzionari, ecco che compare, di forza, il solito esercito americano, alle prese con i terroristi locali e, anche, con la Società 23, un misterioso esercito di supersoldati collegato, in qualche modo, al rapimento di Robert North, marine statunitense e, soprattutto, fratello di Jonathan “Jon” North, cecchino dell'esercito a Stelle e Strisce e pronto a risolvere la crisi georgiana, certo, ma soprattutto a recuperare informazioni sull'amato germano, scomparso dai radar solo 23 mesi prima. Al fianco di Jon, una squadra di comprimari, tra cui le donzelle Raquel e Lydia, e il ricordo, costante, dell'infanzia e della fratellanza, di quel rapporto speciale tra consanguinei legati, prima ancora che dal dna, dal grilletto di un fido fucile da precisione, vero protagonista ludico dell'intero pacchetto. Abbozzati, in linea di massima, i fatti narrati nel prologo, la storia di SGW3 è una bella storia, con tutti gli ingredienti giusti. C'è la famiglia, c'è l'amore e la passione, la rivalità, le differenze culturali e ideali tra popoli e persone. Ci sono, soprattutto, diversi colpi di scena, intervallati dai flashback sull'infanzia di Jon e Robert mescolati a cospirazioni un pelo fantascientifiche. Una bella storia, appunto, non sempre, però, raccontata con lo stesso gusto. Colpa, probabilmente, di un doppiaggio inglese troppo esagerato, di una regia poco ispirata e, togliamoci subito il dente, di filmati rovinati da modelli poligonali presi di peso da una generazione fa. Nonostante l'impiego del portentoso Cry Engine, infatti, la qualità delle espressioni facciali e, più in generale, delle fattezze dei protagonisti e dei comprimari, nemici inclusi, appare mediocre, assolutamente inferiore ai prodotti di riferimento del genere. Già, ma quale genere? Come già emerso dalle numerose anteprime e, ancor di più, dalla closed beta di febbraio, SGW3 conferma un'origine fortemente derivativa, presentandosi come una sorta di Sniper Elite che incontra gli ultimi episodi di Far Cry. Una forte inversione di marcia rispetto ai precedenti episodi, ingabbiati da script e percorsi ben determinati che scompaiono, almeno parzialmente, nella vasta mappa di gioco disegnata dai programmatori polacchi. L'open world di SGW3, composto da tre macroaree liberamente esplorabili entro i confini che ne determinano l'ampiezza, non può e non vuole competere con quella dei titoli più moderni, ma rappresenta un vero punto di svolta nel gameplay di un qualsiasi sparatutto tattico. Ancor di più in un qualsiasi simulatore di cecchino, sottogenere tutto particolare.



DA SNIPER WOLF A SNIPER POLISH
A creare FPS da cecchino sono bravi tutti. Provateci voi, però, a divergere dai soliti binari ludici e, quindi, proporre un approccio sempre vario. Tre approcci, per la precisione, che determinano, anche, la varie sezioni dell'albero legato allo sviluppo delle abilità. Come Sniper, neanche a dirlo, il giocatore sarà chiamato a far fuori i nemici dalla lunga distanza, armato del più fedele dei fucili di precisione. Come Ghost, invece, ci si infiltra in silenzio, cogliendo il nemico alle spalle senza far rumore, come un fantasma. Warrior, invece, resta la tecnica di ingaggio preferita dai Rambo wannabe, che, armati di pompazzo d'ordinanza piuttosto che di kalashnikov, preferiscono far parlare le raffiche di piombo. Tre approcci tre, da sviluppare tramite lo sblocco di armi e abilità, tutt'altro che esclusive, ma anzi idealmente selezionabili a seconda dell'indole del giocatore o della situazione. È fondamentale, in SGW3, saper leggere bene ogni singolo presidio, magari aiutandosi con il drone – pure quello, come tutte le armi e gadget, espandibile – per marcare la posizione dei nemici. Sì, come Far Cry. È fondamentale, in SGW3, imparare subito ad utilizzare la modalità scout, una sorta di occhio di falco capace di leggere gli indizi e, magari, evidenziare gli appigli su cui arrampicarsi per raggiungere la posizione di tiro migliore. Sì, un po' come Assassin's Creed, se Ezio avesse avuto un fucile di precisione. A incorniciare il tutto, un buon livello di personalizzazione nell'arsenale, relegato a tre tipologie di armi trasportabili, e delle munizioni. Per altro, fabbricabili in casa grazie al reperimento delle risorse disseminate sulla mappa di gioco. Uno stimolo, quest'ultimo, all'esplorazione, in vero relegata ad una serie di attività secondarie poco ispirata e sicuramente lontana dalla vastità dell'offerta di altri open world. Quel che conta, in questo contesto, è che l'amalgama di generi funziona. Per quanto l'approccio sniper sia, specie ai livelli di difficoltà più alti, tendenzialmente preferibile alle altre, vi sono momenti, bei momenti, in cui SGW3 smette di essere derivativo e regala, appunto, dosi importanti di sano e puro divertimento. Merito del buon feeling delle armi, dei settaggi dei vari mirini, dell'influenza del vento e dell'atmosfera sul singolo sparo, magari quello decisivo. Merito, soprattutto, di un level design di buon livello, capace di ricordare – benedette ispirazioni – le infiltrazioni di Big Boss in Afghanistan. Quando l'AI dei nemici funziona, e basta settare verso l'alto la difficoltà di gioco per superare alcuni – ma non tutti! – comportamenti anomali registrati a normal, le possibilità offerte dalla mappa e dall'esplorazione si uniscono alla necessità di cercare approcci sempre diversi e soluzioni assolutamente appaganti.



CRY BABY CRY
A creare panorami mozzafiato e ambienti lussureggianti con il Cry Engine sono bravi tutti. Provateci voi, però, a rendere varia e interessante una mappa di gioco che predilige montagne, rocce e sporadici avamposti di autoctoni alle bellezza da cartolina ammirate in altri titoli. Nessun dubbio che gli artisti di CI Games abbiano saputo cogliere l'atmosfera della campagna sovietica, anche grazie alle routine che regolano l'illuminazione messe alla prova dal ciclo giorno – notte, ma la scarsa varietà degli ambienti e delle strutture cozza, un po', con le ambizioni ludiche del progetto. Per altro, proprio al Cry Engine, meglio: alla non impeccabile ottimizzazione del motore targato Crytek, sono legate le magagne tecniche già accennate. I modelli poligonali dei personaggi sono poveri di dettagli e anche di poligoni. Non tutte le texture sono al posto e alla risoluzione giusta. Le compenetrazioni tra ambienti e personaggi intaccano scontri fisici e arrampicate. Non tutti i frame, specie nelle pessime sezioni di guida necessarie durante i lunghi spostamenti, appaiono inossidabili. Almeno su Playstation 4 Pro, hardware utilizzato per il test. Un test durato circa una 30ina di ore, quelle necessarie per portare a termine la campagna principale, una manciata di missioni secondarie e il DLC La fuga di Lydia incluso nel season pass e nell'edizione Day One. Probabilmente, per vedere tutto ne servirebbero il doppio. Certamente, ne sarebbero servite molto meno se la prova non fosse stata inficiata da una lunga serie di crash e bug pronti, in attesa di una patch risolutiva, a fare la gioia degli hater dell'Internet. L'impossibilità di proseguire in alcune fasi random a causa dei blocchi del software o dell'interfaccia dei menu in tilt, è probabilmente offensiva nei confronti dell'acquirente e dei suoi risparmi, ma anche del tempo necessario per il caricamento di una partita o una mappa. Si parla di circa 5 minuti, e alle volte anche di più, da passare davanti ad una schermata fissa musicata da una canzone in stile folk balcanico. Bella, bella davvero. Peccato, date le circostanze, dover arrivare ad odiarla.



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25 aprile 2017 alle 00:10