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The Long Journey Home - recensione

Faster Than Light (meglio noto come FTL) ha fatto scuola. Un gioco che partiva con ambizioni decisamente limitate si è guadagnato il rispetto e l'ammirazione degli appassionati di videogiochi grazie a un gameplay divertente e coinvolgente quanto precisamente limato intorno ad alcuni (pochi) elementi principali. Permadeath, elementi rpg, tattica e alta difficoltà sposati con una semplicità di fondo e un'immediatezza senza pari; questi i segreti di FTL.



I pilastri del genere roguelike si sono così affermati ancora di più, dopo FTL, come princìpi da seguire per portare sul mercato titoli dal grandissimo potenziale di vendita. Gli esempi sono pressoché infiniti. Il modello di FTL, tuttavia, non è mai stato seguito pedissequamente e, nei cinque anni successivi al lancio del gioco dei Subset Games, nessun vero clone è apparso sul mercato. Ed ecco The Long Journey Home che, lungi dall'essere un clone, ci propone un gameplay basato su un viaggio-odissea simile a quello di FTL, ma costituito da elementi differenti: una sorta di ricetta in cui cambiano gli ingredienti ma la formula di base rimane la medesima.



Innanzitutto la premessa: in un futuro non troppo lontano l'umanità si prepara a lanciare la prima spedizione su Alpha Centauri, è il primo viaggio in un sistema stellare diverso dal nostro. Così il giocatore assembla un team di quattro astronauti (da un pool di dieci candidati) dotati di abilità diverse (e una dote di un singolo oggetto), sceglie un'astronave (con diverse caratteristiche come la resistenza della chiglia, la grandezza della stiva, la manovrabilità, la capacità del serbatoio), un lander (anch'esso con diverse caratteristiche), inserisce un seed (per eventualmente condividere la generazione casuale della galassia con un amico) e lancia la missione.

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17 luglio 2017 alle 11:30