Hellblade: Senua's Sacrifice - recensione
Diciamoci la verità: i casi in cui il/la protagonista di un videogioco non è un mostro di profondità o originalità si sprecano. Non che sia necessariamente un male, dato che in diverse occasioni ricorrere al più classico degli stereotipi risulta tanto semplice quanto efficace. È tuttavia evidente il fatto che spesso la natura interattiva stessa di questo medium costringa sceneggiatori e director a scendere a patti con il gameplay, con il fatto che qualcuno dovrà impersonare quel personaggio e divertirsi senza dover forzatamente vivere un percorso di crescita o di introspezione.
I motivi per cui vale la pena puntare la luce dei riflettori su Hellblade: Senua's Sacrifice sono una miriade. Perché è il nuovo titolo di una software house che nel corso degli anni ha sfornato opere magari imperfette (o sottovalutate come Enslaved) ma sempre piene di stile e di elementi degni di lode. Perché è il primo esponente di un nuovo modello di business coniato dal team stesso, un AAA indie che vuole coniugare la cura e la ricercatezza dei migliori AAA con un budget limato grazie a un team più contenuto (in questo caso circa venti persone) e tagli al marketing e alla distribuzione retail.
Tutti argomenti legittimi ma al di là della qualità dei vari trailer mostrati, si torna inevitabilmente al tema con cui abbiamo aperto questa recensione: la caratterizzazione del personaggio principale. Affermare che Senua non sia il classico prototipo dell'eroina sarebbe un eufemismo. Di certo questa giovane donna non è indifesa, dato che dimostra una grande abilità con la spada e che è indubbiamente una guerriera piuttosto capace. Sono le sue mancanze, le "debolezze" e la diversità ad attirare la nostra attenzione e soprattutto a evidenziare uno degli scopi principali del lavoro del director Tameem Antoniades e soci.
