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.hack//G.U. Last Recode – Recensione

I videogiochi, sopratutto nell'ultimo decennio, sono riusciti con sempre maggior frequenza a compenetrare altri campi d'interesse, grazie alle loro parentele, dirette o indirette, con tanti altri media. Ecco che, sempre più spesso e in maniera affine ad altri universi, ci si trova ad assistere a loro trasposizioni, animate, filmiche e così via, capovolgendo un trend che andava per la maggiore sino a qualche anno fa. A questo proposito, la serie .hack è uno degli esperimenti meglio riusciti nella storia dei videogiochi, e nel corso del tempo ha costantemente esposto il suo ampio universo all'ibridazione con altri medium, che passano in scioltezza dal romanzo al manga, dall'anime al videogame.



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Il marchio, per chi non lo conoscesse, è stato ideato e sviluppato da Bandai ed ha come fulcro il web stesso e l'infinito mare magnum delle comunità virtuali, con un occhio particolare agli MMORPG: la serie è infatti incentrata in larga parte sulle vicende che si susseguono all'interno di un RPG virtuale chiamato The World. Ecco, .hack//G.U. Last Recode è la summa massima di questo universo, un totale rifacimento (ma sarebbe più corretto definirlo accorpamento) della trilogia vista su PS2 con l'aggiunta di un quarto episodio inedito. A quest'ultimo è affidato il compito di ricollegare all'intreccio generale gli ultimi pezzi di un gigantesco puzzle che all'epoca furono “dimenticati” nella scatola, nonostante il terzo capitolo rappresentasse una conclusione più che degna. Last Recode offrirà la libertà di decidere da dove riprendere l'avventura, scegliendo fra Rebirth, Reminisce, Redemption ed il nuovo capitolo, Reconnection, tutti collegati fra loro e parti differenti della stessa linea narrativa.
Dannati Player Killer!



Ma procediamo con ordine: la stragrande maggioranza dell'avventura verte sulle vicende di Haseo, un ragazzo qualunque che si avvicina per la prima volta ad un MMORPG, in questo caso The World R:2, versione riveduta e corretta del primo ruolistico massivo (fittizio) sviluppato da CC Corp. Dato avvio alla propria “campagna”, cominciano i problemi: il nostro eroe incappa in due utenti all'apparenza amichevoli che però ben presto si rivelano degli odiatissimi Player Killer. Proprio quando la situazione sembrava volgere al peggio, a salvare la vita digitale di Haseo giunge l'abilissimo Ovan, un altro utente del meta-universo di gioco. Da questo incipit hanno inizio le peripezie del protagonista e del suo party, con lo scopo finale di scovare il più forte dei Player Killer, detto Tri-Edge, e svelare alcuni dei misteri che si celano nel mondo virtuale del “gioco nel gioco”. L‘intreccio narrativo, che influenza e a sua volta è fortemente influenzato da temi affini ai videogiochi, è sicuramente il punto di forza della narrazione, anche grazie alle sue numerosissime sfaccettature, pensate dagli autori per rendere più vivo e concreto quello che solo in apparenza è un “semplice” mondo virtuale. Dai piccoli problemi classici delle esperienze massive online, risolvibili in cinque minuti, il gioco passa ben presto a questioni più profonde, che fanno riflettere su questioni di carattere etico e morale, inducendo spesso a porsi più di qualche domanda. La storia e degli eventi chiave che le permettono di evolversi sorreggono un intero impianto narrativo che viene mosso a ritmi piuttosto lenti e pacati, con aspetti e meccaniche che possono facilmente risultare indigeste all'audience moderna ma che, al contrario, verranno particolarmente apprezzate da una fedele nicchia di pubblico.



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Concettualmente parlando, l'esperienza in stile action RPG (con una spolveratina di MMO) non è cambiata di una virgola. La ricostruzione dell'immaginario gioco di ruolo The World: R2 è piuttosto curata, a cominciare dai tanti hub social ai quali, man mano, riusciamo ad accedere, ognuno coi suoi diversi vendors. Al contempo, l'universo a nostra disposizione è come sempre ricolmo di dungeon liberamente esplorabili e generati in modo totalmente automatico dal mondo virtuale inserendo specifiche parole chiave. Rispetto al passato, i sotterranei del mondo di gioco sono stati notevolmente migliorati nella struttura ed arricchiti di più trappole, puzzle e affini, alcuni dei quali anche un po' più studiati. Nonostante l'apprezzabile tentativo, i dungeon diventano ripetitivi e scontati piuttosto alla svelta, precludendo in via definitiva a questa collection la possibilità di aumentare la propria longevità.
Dal passato al presente, con un occhio al futuro



Le novità non finiscono qui: anche il sistema di combattimento mostra un lieve ammodernamento rispetto al passato, soprattutto prendendo in esame la velocità e la fluidità degli scontri. Il nostro eroe, che resta l'unico personaggio giocabile, potrà contare su un attacco combo, un attacco caricato ed un'abilità speciale che potrà attivare durante il corso dei combattimenti; fortunatamente, potrà fare affidamento anche su una parata, utilissima per salvarsi la pelle in molte situazioni complicate. Un altro elemento di cui tenere conto in fase di battaglia è il cosiddetto “Awakening System”, che permette ad Haseo di utilizzare potenti attacchi univoci in grado di sovvertire il corso delle battaglie, accessibili dopo aver riempito un'apposita barra a loro dedicata. L'intricatissimo The World permette di affrontare tutte le sue sfide assieme ad altri due combattenti, scelti liberamente dal giocatore ed ognuno con le sue abilità peculiari ed i suoi punti di forza e debolezza. La crescita di Haseo stesso, definito dal gioco un “Adept Rogue”, sarà gestibile in diversi modi grazie ad un ventaglio piuttosto vario di poteri ed armi, sbloccate gradualmente nel corso dell'avventura. Nonostante nella riedizione si sia in parte lavorato anche sulla differenziazione del combat system, anche quest'ultimo alla lunga mostra tutti i suoi limiti in maniera piuttosto evidente, per colpa della semplicità degli scontri: Last Recode, per sua sfortuna, non è riuscito a schiodarsi da un'intelaiatura action che già all'epoca era piuttosto banalotta ed eccessivamente facile.



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Le note positive albergano maggiormente in altri campi, a cominciare da una UI snellita e più organica, per arrivare alla maggior velocità di movimento (Final Fantasy XII ha fatto scuola), passando per un ritmo più rapido e cadenzato, seppur comunque lento se paragonato agli standard moderni. Come accennavamo in precedenza, però, il vero problema di questa remaster è il non essersi riuscita a scrollare di dosso il pesante fardello ereditato dai titoli originali, messi in scena con una concezione “antica” e per giunta facilotta. La ripetitività è quasi asfissiante, e rappresenta la principale nota dolente del gioco: in un mercato ormai dedito alla continua ibridizzazione,dove quasi tutti riescono a trovare un modo per scampare ai pericoli più gravi con continui “prestiti” dagli altri generi, questo è un peccato assolutamente imperdonabile. Nelle numerose ore di gioco richieste per arrivare al finale della trama, tutto quel che dovremo fare sarà affrontare una serie interminabile di scontri, poco impegnativi e tatticamente semplicissimi nella stragrande maggioranza dei casi. Vero è che questa continua “routine” fu concepita come parte integrante delle opere originarie, pubblicate a pochi mesi di distanza l'una dall'altra e differenziate soltanto dai contenuti, eppure il fatto che la community sia di per sé abituata a giocare in questo modo non è affatto un motivo per scagionare il titolo. Anzi, in questo caso, trovandosi di fronte ad una compilation concepita per essere giocata tutta d'un fiato, l'estrema ripetitività potrebbe essere accentuata e “sentita” ancor di più.



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Prendiamo infine in esame quello che poi era il principale obiettivo di The Last Recode, ovvero l'aggiornamento grafico alla produzione originale. Ebbene, anche questo aspetto non è propriamente esente da difetti. Il gioco gira a 1080p e 60 fps che restano generalmente solidi, con la possibilità di raggiunger il 4K sia su PC che su PS4 Pro. Tutte le versioni possono godere di texture e ombre più definite, assieme al supporto per l'antialiasing. Purtroppo, però, permangono quasi inalterati i fastidiosissimi difetti dei titoli originali: i continui ed anacronistici pop-up e la solita ripetitività estetica degli ambienti, composti spesso da una manciata di elementi ripetuti ad oltranza, compongono un quadretto micidiale e a tratti quasi irritante. Sotto parecchi aspetti, è innegabile, sembra di giocare ancora su PlayStation 2: se gli sviluppatori volevano regalarci un po' di feels e nostalgia, sotto questo aspetto (e non solo) ci sono riusciti anche troppo bene. Perlomeno, una menzione positiva va rivolta ai più che degni intermezzi narrativi, che si attestano quasi sempre su buoni livelli e riescono da soli a catturare l'attenzione, grazie anche ad un'ottima regia.



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9 novembre 2017 alle 11:00