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Stifled - recensione

Arroccarsi attorno ad un concept intrigante e originale, ma al tempo stesso limitato e limitante, è sempre un rischio. Decine e decine di giochi prima di Stifled hanno battuto questo impervio sentiero, sorretti e sostenuti da un'unica, geniale idea, ma fallendo miseramente a causa di gameplay sterili ed esperienze di gioco asfissianti e poco profonde.



Non sorprende più tanto, insomma, il trovarsi di fronte un walking simulator dalle tinte horror, ravviato qua e là da qualche enigma, interessantissimo sulle prime, ripetitivo e fiacco una volta fatta la conoscenza delle poche meccaniche ludiche che alimentano l'avventura.



Il problema è prima di tutto narrativo. Manca una coerenza di fondo, l'espediente che giustifichi l'handicap con cui il videogiocatore dovrà fare i conti per tutta la durata del gioco. Il protagonista, difatti, non vede come una persona normale. Grazie a poteri simili a quelli di Daredevil, l'anonimo personaggio costruisce una mappa del mondo che lo circonda grazie alle onde sonore, ad una sorta di sonar mentale con cui disegna e dipinge i contorni degli oggetti, delle strutture, dell'ambientazione in cui si muove e che voi vedrete contando sulla visuale in prima persona.

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9 dicembre 2017 alle 17:30