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InnerSpace – Recensione

Qualche anno fa esplodeva il fenomeno del crowdfunding, particolarmente proficuo in ambito videogame, nel quale sono stati finanziati non solo roboanti progetti da milioni di dollari, ma anche piccoli esperimenti ludici. Quest'ultimo è il caso di InnerSpace, nato da un'idea di cinque studenti, un'idea in cui ha creduto Aspyr Media, che ha annunciato la sua partnership con Polyknight Games al PAX East l'anno scorso.



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Spiegare cosa sia InnerSpace è invero piuttosto semplice: si tratta di un gioco di avventura in tre dimensioni focalizzato esclusivamente sulla componente esplorativa. Il giocatore, nei misteriosi panni del Cartographer, guida un velivolo anfibio alla ricerca di antiche reliquie e di nuovi antri da esplorare.



Esiste anche una trama, incentrata sull'esistenza di una civiltà ancestrale e di alcune divinità, ma, di fatto, è il giocatore a decidere quanta rilevanza dare a questi elementi, ultronei rispetto a quello preponderante della tranquilla e rilassante esplorazione degli ampi livelli, collegati fra loro da portali. Gli sviluppatori parlano di “player-driven narrative”, anche se a chi scrive è sembrato molto più banalmente che la storia abbia un ruolo ancillare, essendo relegata perlopiù a conversazioni (non sempre necessarie) con l'Archeologist e al rinvenimento di reliquie, demandato alla perseveranza e alla metodicità del giocatore. Proprio per questi motivi non è facile quantificare la longevità, che comunque, a spanne, dovrebbe assestarsi mediamente intorno alle sette/otto ore di gioco.



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L'ambientazione pensata da PolyKnight è piuttosto suggestiva. Chiamata Inverso, è una sorta di mondo sferico e cavo il cui cuore è dimora dell'aria mentre l'acqua circonda il tutto. Il nome deriva da un'ulteriore peculiarità, che consiste nella forza di gravità di verso opposto rispetto a quello cui ci hanno abituati l'esperienza e la fisica tradizionale: si tratta di una forza centrifuga e non centripeta. Se siete soggetti sensibili, alcune operazioni potrebbero causare motion sickness.



Il gameplay si rivela essenziale. Il sistema di controllo coinvolge le due leve analogiche e un paio di dorsali, e non sono previste particolari interazioni con l'ambiente: il giocatore può giusto sfondare alcune pareti, recidere cavi, tirare leve, interagire con i demigod, tutte operazioni che richiedono per lo più di impattare l'elemento interattivo con il velivolo. Nonostante questo assetto molto semplice, i controlli non sono del tutto soddisfacenti quindi, soprattutto negli spazi più angusti, possono produrre un senso di frustrazione del tutto inopportuno in un gioco del genere.



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Dal momento che InnerSpace si basa precipuamente sull'esplorazione, era necessario concepire un universo davvero suggestivo. In questo senso possiamo dire che PolyKnight ha colto nel segno, a fronte di un comparto tecnico tutt'altro che sofisticato che talvolta presta il fianco a qualche calo di frame rate. Come molto spesso accade in ambito indie, sono dapprima le scelte cromatiche (che potete in parte apprezzare grazie agli screenshot che corredano la recensione) a colpire l'occhio, che poi potrà soffermarsi anche sulla commistione fra elementi naturali stilizzati, specialmente sott'acqua, ed elementi architettonici misteriosi e spesso piuttosto fantasiosi nelle loro forme.



La colonna sonora, composta da Chris Miller (nella cui pagina Soundcloud potete trovare l'OST del gioco), contribuisce enormemente a conferire a InnerSpace quell'atmosfera trasognata che PolyKnight ha tanto desiderato, mentre gli effetti sonori retro non sembrano sempre così calzanti.



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InnerSpace è un progetto suggestivo e interessante, che si inserisce con personalità nel filone indie dei titoli esplorativi. Purtroppo, paradossalmente l'esperienza è in parte compromessa dai momenti frustranti che fanno di tanto in tanto capolino, legati a un sistema di controllo non sempre amichevole e al level design, in alcuni frangenti di difficile lettura.

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22 gennaio 2018 alle 09:10

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