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The Longest Five Minutes - recensione

Il boss finale, il demone che sta devastando e sconquassando l'intero pianeta, l'ultimo baluardo di un male che minaccia innocenti e villaggi pacifici, sorride beffardo davanti a noi, pronto alla definitiva e fatale sfida che decreterà il destino di un manipolo di eroi, indomiti temerari che, dopo infinite peregrinazioni e migliaia di scontri, si trovano finalmente di fronte alla prova più difficile e ardua di tutte.



The Longest Five Minutes, nell'incipit che funge anche da conclusione dell'epopea, scavando agilmente un (corto)circuito che presenta la cifra stilistica di tutta la produzione, svela immediatamente la pretesa e presunzione di imporsi come un RPG diverso dal solito, fuori dagli schemi, inedito per come svolge e riavvolge di continuo il racconto, il viaggio che ha portato i protagonisti al cospetto di Demon King.



L'espediente narrativo che apre (e virtualmente chiude) la vicenda è il topos dei topos del genere, qui effettivamente riutilizzato in modo originale. Flash, condottiero di punta del party che controllerete, viene colto da amnesia proprio varcando la soglia della sala che ospita il boss finale. Giunto dinnanzi al suo arcinemico, vuoi per l'emozione, vuoi per l'alto quantitativo di botte in testa collezionate durante le innumerevoli battaglie, lo spadaccino non lo riconosce, non si ricorda il nome dei suoi amici, né sa perché si trovi lì o quali siano le mosse che lo hanno reso tanto potente e abile.

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6 febbraio 2018 alle 09:10