Lost Sphear (Switch) - recensione
Dopo il bellissimo I Am Setsuna era inevitabile chiedere il bis, pretendere un RPG che si dimostrasse degno, all'altezza delle aspettative che Tokyo RPG Factory aveva alimentato negli appassionati del genere, ora che finalmente avevano messo le mani su un prodotto tanto retrò al punto da ricordare addirittura Chrono Trigger, quanto mai a suo agio in una contemporaneità già affollata da congeneri del calibro di Persona 5 e Final Fantasy XV.
Del resto, non è difficile fare breccia nei cuori di un pubblico composto in larga parte da inguaribili nostalgici che sospirano amaramente al ricordo dei bei tempi andati, coccolati come sono tra remake, riedizioni in alta definizione e prodotti culturali che, in un modo o nell'altro, recuperano vecchi stilemi opportunamente riadattati. Alla "generazione Stranger Things", insomma, non serve chissà che per emozionarsi. Basta un comparto grafico-sonoro che rimandi ad altri tempi, una trama classica quanto basta, meccaniche familiari agli irriducibili. I Am Setsuna era tutto questo e molto altro, un prodotto solidissimo, convincente, perfino sorprendente.
Con Lost Sphear, purtroppo, le cose non sono andate altrettanto bene, nonostante anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un gioco che sa divertire e far appassionare, profondo al punto giusto. A deludere, guarda caso, sono proprio art design e trama. A tratti raffazzonato e poco attento al dettaglio il primo, nonostante non manchino scenari affascinanti, la storia non è graffiante come ci si sarebbe aspettati. Laddove il prequel spirituale emanava dolce malinconia da ogni poro, l'epopea di Kanata e compagni non riesce mai a creare la giusta dose di empatia.
