Pop-Up Pilgrims - recensione
Quando la realtà virtuale viene percepita come un semplice orpello, e non come una feature fondante e fondamentale per gameplay e art design, è sempre un problema. In casi del genere, la pur promettente tecnologia che sta faticosamente cercando di farsi strada nell'industria videoludica si tramuta in un autentico intralcio, un inutile eccesso che non aiuta ad incrementare l'immedesimazione e l'immersione in mondi digitali.
In Pop-Up Pilgrims, purtroppo, si ha questa mortificante sensazione sin da quando l'iniziale ed effimera meraviglia, scaturita dal delizioso stile grafico adottato, lascia il posto ad una sconsolante domanda: c'era davvero bisogno della realtà virtuale in un puzzle-platform fondamentalmente bidimensionale? Se siamo stati disposti ad accettare l'inevitabile scomodità della VR in esperienze come quelle garantite e offerte da produzioni del calibro di Resident Evil 7: Biohazard, in altri casi è utile fare delle valutazioni, soppesare il senso dell'opera e analizzare le strategie da perseguire per ottenere il miglior risultato, tutte operazioni che Dakko Dakko, team di sviluppo già artefice del più che discreto Scram Kitty And His Buddy On Rails, ha evidentemente trascurato, se non proprio tralasciato.
Una considerazione del genere ha tanto più valore e peso, quanto più ci si accorge di avere a che fare con un prodotto modesto, limitato nelle meccaniche, ridondante nel level design. Non si tratta di un brutto gioco, beninteso. Pop-Up Pilgrims, quando il PlayStation VR non vi peserà troppo sulla testa, sa divertire e farà la felicità dei neofiti, ma non è in grado di mantenere alto l'interesse del pubblico smaliziato, magari appassionato al genere.
