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A Way Out - recensione

Nato grazie al programma Originals di un Electronic Arts che non ti aspetti, A Way Out arriva sui nostri schermi per portare l'originalità e il talento di Josef Fares, game designer eccentrico ed incontenibile sia quando si tratta videogiochi sia al di fuori. Famoso il suo "f*ck" agli Oscar di Hollywood ad esempio, nonostante la sua prima occupazione sia quella di regista e sceneggiatore.



È sempre stato così Fares, che non si è mai adattato agli schemi tradizionali del mercato main stream. D'altronde era salito agli onori della cronaca per il suo primo titolo, Brothers, che portava in dote la peculiare meccanica tanto fuori dal comune quanto apprezzabile di poter controllare i due fratelli contemporaneamente per superare gli ostacoli.



Il legame tra i due personaggi protagonisti è una specie di segno di riconoscimento per il creativo nato in Libano ma emigrato in Svezia per via della guerra civile. Una firma che deriva probabilmente dal grande rapporto che ha sempre avuto nella vita reale con il fratello Fares Fares, spesso al centro delle sue produzioni cinematografiche, e che stavolta ha prestato il volto e le movenze all'italo americano Leo Caruso, al centro delle vicende di A Way Out, insieme al neo carcerato Vincent Moretti.

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22 marzo 2018 alle 19:40