Kona (Switch) - recensione
Piccolo, realizzato con affetto per il folklore e ricco di aspettative. Kona è arrivato con queste caratteristiche anche su Switch. Partorito dai canadesi di Parabole, il titolo mischia mistero, fascino per le atmosfere di luoghi isolati e un'indagine investigativa che ben presto straborderà in un racconto cittadino che, per molti versi, può ricordare Twin Peaks con tinte che affondano nel sovrannaturale.
Gli appartenenti al genere dei walking simulator sono perlopiù lineari: dopo aver preso confidenza con le meccaniche di gioco, che raramente vengono spiegate sin dall'inizio, l'azione man mano diventa fluida, organizzata e, sebbene magari priva del misterioso fascino originale, più godibile. L'evolversi della storia e dei personaggi, di cui impariamo a conoscerne tratti, esperienze e, perché no, segreti, è graduale ma costante.
Con Kona, Parabole (la casa di sviluppo) ha voluto riorganizzare l'intreccio, tanto quello narrativo quanto quello ludico, per meglio attecchire al lavoro investigativo del suo protagonista. Il proseguimento, quindi, è saltellante mentre cerchiamo di riavvolgere il filo che intreccia le vicende degli abitanti di Atamipek Lake, in Canada, nel 1970. L'investigatore Carl Faubert deve mettere insieme i pezzi (anche se il gioco organizza comodamente le riflessioni di Carl in un diario consultabile in qualsiasi momento), saltando da un fatto all'altro, da un episodio a quello successivo, da un emporio a un capanno abbandonato per trovare un senso in ciò che sta succedendo.
