The Witch and the Hundred Knight 2 - recensione
Quando si parla di Nippon Ichi Software non si può non pensare alla splendida saga di Disgea, serie di JRPG tattici che hanno visto la luce nel lontano 2003 con Disgaea: Hour of Darkness. Esattamente dieci anni dopo The Witch and the Hundred Knight approdava su Playstation 3, un titolo che si è presentato un po' come il rovescio della medaglia della celebre saga della software house nipponica. Dove in Disgea il gameplay riflessivo era il perno centrale, in The Witch and the Hundred Knight l'azione e il caos facevano da padroni di casa.
Convertito successivamente per PS4, The Witch and the Hundred Knight non ha mai colpito al cuore pubblico e critica, ma nonostante ciò Nippon Ichi Software ha deciso di puntare inaspettatamente su un sequel, dando alla luce The Witch and the Hundred Knight 2, un gioco di ruolo d'azione con visuale isometrica, totalmente immerso in un'atmosfera fantasy medievale con retrogusto barocco. L'ambientazione di The Witch and the Hundred Knight 2 si discosta totalmente da quella del primo capitolo, aprendo le porte a Kevala, un mondo tanto colorato quanto brutale, dove la paura di esseri abominevoli come le Streghe e i Manania è estremamente palpabile.
In un villaggio sperduto tra i boschi chiamato Ecke facciamo la conoscenza di Amalie e Milm, due sorelle che vivono un vita di stenti dopo la perdita dei propri genitori a causa di una Strega. Un giorno la piccola Milm si perde nei boschi, per cercare un Mana Flower da offrire in regalo alla sorella maggiore per il suo compleanno. Quando finalmente Amalie ritrova la sorellina, nota una cicatrice sulla fronte della ragazza e la riporta prontamente a Ecke per farla medicare. È qui che l'anziano del villaggio intuisce la tragedia. La cicatrice sulla fronte di Milm non è un taglio, ma è un occhio, ancora socchiuso. Il famigerato terzo occhio che contraddistingue tutte le Streghe di Kevala.
