Agony - recensione
La release di Agony ha tenuto fede in modo impeccabile al nome che porta il titolo. Dopo la fortunata campagna Kickstarter, infatti, il gioco è stato rimandato più volte ed è inoltre finito al centro di diverse polemiche in merito alla crudezza di certe scene, sfociate poi nella censura di alcuni contenuti. Oggi siamo qui per fare chiarezza su un'opera coraggiosa e brillante dal punto di vista artistico ma non esente da difetti, soprattutto per quanto concerne il versante ludico.
Parliamoci chiaro, Agony è un titolo che ha attirato su di sé l'interesse di una generosa fetta di videogiocatori, soprattutto per merito dell'ambientazione infernale e dei suoi contenuti espliciti, serviti sul piatto degli utenti al pari di una succulenta bistecca grondante sangue. Se ad una prima occhiata era apparsa appetitosa, così invitante da renderci impazienti di affondare i denti nelle sue morbide fibre e divorarla con voracità, una volta fatto il primo boccone il sapore non è stato così stupefacente come era lecito aspettarsi.
Vomitati dai miasmi sulfurei che si agitano nel ventre contorto degli inferi su di un pontile dalle fattezze di una gigantesca spina dorsale, muoviamo i primi strascicati passi verso un mondo ostile e ricolmo di letali creature. Il nostro obiettivo è la ricerca della Dea Rossa, un demonio travestito da sensuale meretrice che sussurra al nostro orecchio sibilline promesse di libertà. La morte ci ha già colto una volta e il corpo che occupiamo non è che un involucro utile solo a contenere il nostro spirito, un feticcio legato ad una concezione di "vita" ormai obsoleta e che cambieremo più frequentemente di quanto vorremmo.
