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The Spectrum Retreat - recensione

Suona la sveglia ed è il momento di vivere ancora una volta la solita vuota routine che caratterizza ogni singola giornata. Giornate sicure, irrimediabilmente tranquille e piene di agi ma anche strane, quasi irreali. Poi qualcuno bussa alla porta. Di fronte ai nostri occhi una sorta di androide in smoking ma per quanto possa sembrare strano è questo il personale del lussureggiante Penrose Hotel e ormai ci abbiamo fatto l'abitudine. "La colazione è servita al ristorante. Le ricordo, signore, che il nostro hotel è particolarmente rinomato per la qualità del proprio cibo".



Usciamo, passiamo di fronte a un ascensore in riparazione sin da quando ne abbiamo memoria e proseguiamo verso la hall. Il manager ci augura una splendida giornata e parla di condizioni climatiche instabili che ci impediscono di lasciare l'hotel. Ma in fondo che sarà mai? Perché non uscire e dare un'occhiata con i nostri occhi? Ci dirigiamo verso le porte scorrevoli, le attraversiamo ma inspiegabilmente non c'è alcuna apertura verso l'esterno, neanche l'ombra di un'uscita. Che cos'è davvero il Penrose Hotel?



The Spectrum Retreat nasce da una premessa che non passa inosservata ma non è solo questa "base" narrativa ad attirare la nostra attenzione. Questa interessante avventura puzzle in prima persona è l'opera prima di un giovane sviluppatore che nel 2016 si è portato a casa nientemeno che il BAFTA come miglior giovane game designer, una categoria che premia i migliori ragazzi prodigio tra i 15 e i 18 anni. La curiosità per l'opera prima di Dan Smith è quindi molta: un giovane di puro talento riuscirà a concretizzare tutte le proprie qualità in un videogioco che sappia lasciare il segno?

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18 luglio 2018 alle 10:50

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