Warriors Orochi 4 – Recensione
Dopo la cocente delusione, almeno per quanto ci riguarda, di Dynasty Warriors 9, Omega Force torna a percorrere la strada dei musou con il quarto capitolo della serie Warriors Orochi. Nata su PlayStation 2, come crossover tra Dynasty e Samurai Warriors, questa saga in realtà non ha mai ricevuto grandissimi consensi, soprattutto dagli addetti ai lavori, nonostante la sua originalità nell'unire le meccaniche di due diversi hack ‘n' slash. Questo tipo di produzione comunque, non è una novità per Koei Tecmo; circa un anno fa abbiamo infatti parlato di Warriors All-Stars, titolo non perfetto ma comunque abbondantemente sopra la sufficienza. Warriors Orochi 4 prova percorrere la stessa strada, tornando alle origini, piuttosto che ripetere l'esperimento poco riuscito dell'open world dell'ultimo Dynasty Warriors, sarà stata la scelta giusta?

Non far arrabbiare gli dei
Come già detto nell'introduzione, Warriors Orochi 4 unisce i combattenti del Giappone e della Cina dei Tre Regni, rispettivamente provenienti dai mondi di Samurai e Dynasty Warriors. Zeus, il dio supremo, ha infatti intenzione di far scontrare ancora una volta gli eroi delle due dimensioni per dare vita alla propria linea temporale e al proprio mondo. Per fare ciò il dio si servirà dei poteri contenuti nei bracciali Ouroboros, fino a che suo figlio Perseo non ruberà questi potentissimi oggetti per fermare il delirio di onnipotenza del padre. Purtroppo i bracciali finiranno nelle mani sbagliate e starà ai nostri eroi recuperarli per ripristinare l'ordine nella storia e ritornare a casa.
Un incipit narrativo semplice alla base ma efficace, capace di coinvolgere il giocatore con diversi misteri; pian piano infatti scopriremo cosa sta succedendo, perché e chi si nasconde dietro tutta la vicenda. Pur non brillando per originalità, la trama riesce nel suo intento di unire più personaggi da diversi contesti, con una storia del tutto inedita (a differenza di Dynasty e Samurai Warriors che prendono ispirazione da fatti realmente accaduti). Bene anche il cast dei personaggi, tutti come al solito ben caratterizzati e con dei ruoli ben definiti all'interno della storia. Il comparto narrativo insomma, è più di un semplice collante per tenere insieme il gameplay e i centosettanta personaggi del roster, che restano comunque la base di questa produzione.

Ritorno alle origini
Rendere un musou open world non è stata un'idea azzeccatissima, come ha dimostrato Dynasty Warriors 9, e, quindi, Omega Force ha ben pensato di tornare al tipo di gameplay classico che gli amanti del genere hanno imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Dite quindi addio a lunghe fasi di esplorazione, crafting e attività secondarie; Warriors Orochi 4 si concentra soprattutto sul combattimento, ed è proprio in questo aspetto che riesce a dare il meglio di sé. Oltre alle classiche combo, eseguibili alternando l'uso dei tasti quadrato e triangolo, sarà infatti possibile utilizzare dei veri e propri poteri magici grazie ai Tesori Divini. I personaggi inoltre, saranno divisi in tre classi e, naturalmente, ognuna di esse avrà il suo diverso tipo di combo e di abilità peculiare. Pur rimanendo un hack ‘n' slash senza troppe pretese, il musou di Koei Tecmo riesce a offrire delle buone varianti al tema, aumentando notevolmente il fattore divertimento e attenuando, almeno in parte, la ripetitività che caratterizza il genere.
Come al solito infatti, il livello di sfida offerto dai nemici sarà abbastanza basso e le missioni tutte troppo uguali tra di loro; ogni volta ci verrà infatti richiesto di conquistare delle basi nemiche, sconfiggere alcuni generali, per poi arrivare allo scontro finale con il boss. Uno schema fisso che, seppur mitigato da alcune novità come gli obbiettivi secondari presenti in ogni missione, difficilmente riuscirà a fare breccia nel cuore di chi non è già appassionato di musou. Warriors Orochi, in questo senso, ci è parso un gradino sotto ad altre produzioni simili (come Dragon Quest Heroes II, per citarne una), pensato più per proporre un crossover indirizzato ai fan piuttosto che qualcosa di appetibile anche per i meno avvezzi al genere.
