Just Cause 4 - recensione
Arrivata al suo quarto capitolo dopo più di dieci anni di attività, la serie Just Cause si è fatta un nome quasi esclusivamente grazie all'incredibile qualità dell'azione che Avalanche è riuscita ogni volta a mettere su schermo, tra esplosioni, sparatorie, pericolose acrobazie e sì, anche mucche che volano. Lo studio svedese ha dimostrato col tempo di essere il Michael Bay dell'industria dei videogiochi, una reputazione che non sembra dispiacerle considerando le dosi aggiuntive di adrenalina e materiale infiammabile che introduce puntualmente a ogni nuovo episodio della serie.
Come intrappolata in una perpetua sindrome di Peter Pan, Avalanche non ha mai colto svariate opportunità per migliorare le criticità del franchise Just Cause, limitandosi invece a donare al giocatore un maggior numero di elementi distruttivi con cui seminare l'apocalisse nella sfortunata isola di turno. La speranza certo è sempre l'ultima a morire, e per questo ci siamo affacciati a Just Cause 4 con l'ottimismo di chi sa bene che ci troviamo ormai nel 2018. Bay è passato di moda e ora a spopolare è Damien Chazelle, quindi perché Just Cause non potrebbe cambiare?
In uscita il 4 dicembre su PS4, Xbox One e PC, la nuova iterazione della serie vede ancora come protagonista Rico Rodriguez, chiamato a sventare i piani di Oscar Espinosa e del suo Progetto Illapa che ambisce a utilizzare le condizioni meteorologiche estreme come un'arma. Fin dall'inizio, Just Cause 4 vuole dichiaratamente battere lo stesso sentiero dei predecessori e quindi eccoci qui, con l'isola di Solís nel cuore del Sud America in mano alle forze della Mano Nera. Rico dovrà allearsi con i ribelli locali dell'esercito del Caos per conquistare regione dopo regione l'intera isola, smantellando i pezzi del sanguinoso regime di Espinosa.
