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GRIS - recensione

Come l'ottimo Hyper Light Drifter insegna, dietro alle idee migliori e ai giochi indie più riusciti c'è spesso una storia particolare, un evento quasi pilotato dal destino che ha deciso che sì, una certa opera deve assolutamente vedere la luce.



In questo caso il fato ha deciso di far incontrare due sviluppatori soddisfatti del proprio lavoro in Ubisoft ma con un progetto personale in mente (Adrian Cuevas e Roger Mendoza) e un artista alla ricerca di nuovi modi per esprimere le proprie ispirazioni (Conrad Roset). Il trio che avrebbe poi dato vita a Nomada Studio s'incontra quasi per caso a una festa che, a conti fatti, ha innescato la serie di eventi che oggi ci regala GRIS (grigio in spagnolo). Uno scontro/incontro tra mondi e modi di lavorare diversi.



Roset non aveva mai pensato ai videogiochi come alla tavolozza adatta alle sue idee ma l'ispirazione giusta è progressivamente arrivata grazie a un tris di giochi a cui il titolo di cui vi parliamo quest'oggi deve parecchio. Journey, Inside e Monument Valley hanno fatto capire a Roset che soprattutto il panorama indipendente poteva rivelarsi la valvola di sfogo giusta per la sua creatività. Non vogliamo entrare nell'annoso dibattito che circonda l'accostamento videogioco/arte ma molto probabilmente GRIS è ciò che più si avvicina a quella che potrebbe essere definita arte videoludica.

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13 dicembre 2018 alle 15:10