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My Time At Portia - recensione

My Time At Portia è una sorpresa. È il lavoro di un team che ha imparato dai suoi sbagli e si ripresenta migliorato, concentrato e con molte più risorse che in passato. Pathea Games s'è fatta conoscere con l'ambizioso Planet Explorers: un titolo sandbox dalle grandi potenzialità, costruito con passione, ma che ha perso i suoi giocatori in un periodo in cui Minecraft (con i suoi fantastici amici) la faceva da padrone, intessendo la sua ragnatela fatta di grafica retrò e libertà creativa. Non che sia del tutto colpa della saturazione del mercato: il titolo era un po' acerbo, e pur non passando del tutto inosservato, ha perso la maratona.



Parliamo di uno studio cinese che tenta - con discreto successo - un Kickstarter per la seconda volta. Sotto l'ala protettiva del Team 17, che non ha certo bisogno di presentazioni, percorre le sagge vie dell'Early Access già dal gennaio 2018. Poco per volta e con costante (e continua) attività, con un colpo di piccone qua, uno d'accetta da un'altra parte, ha rifinito il suo lavoro. Il gioco che ne è uscito è - bisogna dirlo - un prodotto genuino, nel vero senso della parola. Un aggettivo su cui battiamo il ferro già da adesso, considerando che c'è tanto, in Portia, che può sembrare derivativo ma che al contrario nasconde grande consapevolezza e amore per il setting proposto.



L'incipit è immediato: impersoneremo l'erede di una bottega d'artigianato, giunto/a dal mare per rilevare la sua eredità. Troveremo una città accogliente, ma anche colma di rivali commerciali e situazioni pronte a metterci lo zampino tra le ruote. Il cuore del gameplay è il crafting: costruire sarà il nostro mestiere principale. Può assumere forme diverse a seconda delle commissioni ricevute, che spazieranno dai mezzi di locomozione alle opere edilizie.

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15 gennaio 2019 alle 12:10