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Metro Exodus - recensione

Cercando di analizzare il processo creativo che ha portato alla stesura della storia di Metro Exodus, è interessante chiedersi se Dmitrij Gluchovskij, nell'istante in cui pubblicò il suo romanzo in rete in completo open source, immaginasse che le vicende del giovane Artyom lo avrebbero potuto portare così lontano da quella Mosca innevata e contaminata che abbiamo imparato a conoscere nei precedenti capitoli della ormai nota serie di videogiochi sviluppata da 4A Games.



Metro strappa consensi da quasi 10 anni e lo fa principalmente grazie al suo design unico, che si integra alla perfezione con le incredibili atmosfere che gli sviluppatori hanno saputo confezionare tanto in 2033 quanto in Last Light. La loro formula era apparentemente semplice, ma di evidente successo. Esplorando le gallerie che serpeggiano nel ventre della capitale russa il giocatore era costretto a gestire minuziosamente il suo equipaggiamento, per sopravvivere alle mostruose e innumerevoli minacce che si celavano nell'oscurità.



Espedienti di gameplay come la luce di un accendino, la superficie sporca di una maschera anti-gas e la batteria in esaurimento di una fioca torcia da campo, erano legati a doppio filo con l'ambientazione e per questo è lecito secondo noi considerare i claustrofobici tunnel della metro di Mosca veri e propri coprotagonisti dei titoli della serie Metro fino a questo momento.

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14 febbraio 2019 alle 18:40