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Mortal Kombat 11 - recensione

Dato che siamo in tema di linee del tempo sovrapposte, ci è venuto in mente che sarebbe emozionante poter trasferire nel 2019 il Joseph Lieberman dei primi anni '90. All'epoca, "Joe" era un senatore degli Stati Uniti, uno dei più agguerriti nella battaglia tra gli sviluppatori di videogiochi e il partito conservatore, e non perse occasione per mettere Mortal Kombat all'ordine del giorno nelle interrogazioni parlamentari perché, a suo parere, i videogames violenti rappresentavano un terribile pericolo per le giovani generazioni.



Probabilmente, se dovessimo mettere Joseph di fronte al traguardo tecnico raggiunto da NetherRealm con l'animazione delle cruente e spettacolari Fatality di Mortal Kombat 11, gli faremmo andare di traverso un sorso di qualche pregiato vino della California ma, persino per un uomo della sua levatura morale, sarebbe difficile non rimanere sorpreso al cospetto del livello di cura artigianale celato dietro ogni singolo fiotto di sangue.



Abbiamo detto più volte che sono i dettagli a fare la differenza: ebbene, nell'undicesimo episodio ciascuna cinematica ne svela costantemente di inediti, tanto nella sezione fuori fuoco dell'inquadratura quanto fra i muscoli contratti dei protagonisti, che sia il dito medio di Johnny Cage che si flette trionfale a seguito della decapitazione del nemico o il nome di Ed Boon che fa capolino dal Ciak nella stessa sequenza.



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22 aprile 2019 alle 14:10