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Shakedown: Hawaii - recensione

Tra i vari "istinti" posseduti dall'uomo, troviamo l'interesse per l'orrore, il male ed il caos. E sono proprio i videogiochi a dare sfogo a queste pulsioni innate. Shakedown Hawaii è l'esempio di come la trasgressione umana possa essere veicolata in videogioco, al netto di successi globali come GTA e Saints Row, riportando sensazioni vintage e una voglia di anni '80: la West-Coast sarà investita da un'ondata di violenza come mai prima d'ora.



La somiglianza di Shakedown Hawaii, sequel dell'irriverente Retro City Rampage, ai primi due capitoli di GTA, per gameplay e mood, non può essere ignorata.
Il protagonista, il CEO, è un imprenditore ritrovatosi sul lastrico, dopo il fallimento delle sue aziende quotate in borsa, costretto a riabbracciare il mondo malavitoso per il bene dei suoi affari. A spalleggiarlo vedremo il figlio Scooter e il Bodyguard, caratterizzati dai compiti impartiti dal capoccia e dal legame che questi hanno con lui.



La trama di gioco si delinea attraverso le missioni assegnate ad ognuno, all'insegna dell'action-movie e del mantra "spara-scappa-spara". Ognuno degli anti-eroi che impersoneremo avrà dei compiti personali in linea con la caratterizzazione del personaggio, differenti per età, fisionomia e ideologia. L'elemento comune, a quasi ogni fase di gioco, è la possibilità di distruzione che è concessa al giocatore, a prescindere dal personaggio utilizzato, coinvolgendo le forze dell'ordine, che ostacoleranno la divenuta della città in un inferno terrestre, riprendendo la meccanica cara a GTA, per l'appunto.



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15 maggio 2019 alle 13:50