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The Church in the Darkness - recensione

La storia di Jonestown, del suo leader Jim Jones e del suo culto (il People's Temple Agricultural Project), è una delle cose più bizzarre che ci sia capitato di leggere. Dopo essersi isolati per anni in una comune (di stampo prettamente agricolo e religioso), 909 persone decisero, il 18 novembre del 1978, di suicidarsi tutte insieme, per poi essere trovate così com'erano, morte, sparse in giro nella comune, dalle autorità.



La vicenda è piuttosto convoluta. Oltre al suicidio ci fu l'assassinio a sangue freddo di un senatore americano che aveva recentemente visitato la comune (in cerca di prove) e diversi elementi che puntavano in direzione di un suicidio non esattamente volontario. La verità è tutt'oggi avvolta da un alone di mistero, cosa che rende l'intera vicenda un ottimo materiale per eventuali drammatizzazioni. E The Church in the Darkness è esattamente questo: un videogioco liberamente ispirato a questa vicenda con grandi ambizioni, di gameplay e di narrativa.



L'idea di base è quella di offrire uno stealth game in cui la trama è molto presente e, soprattutto, talmente variegata da offrire ben diciannove (19) finali diversi. Tale narrativa assomiglia ovviamente alla storia di Jonestown: Isaac e Rebecca Walker, i due leader della comune religiosa, lasciano gli Stati Uniti per fondare questa sorta di setta (la 'Collective Justice Mission') nel mezzo della giungla, nello stato fittizio di Battuela. Voi vestite i panni di Vic, un inizialmente non meglio definito personaggio alla ricerca del nipote Alex; l'obiettivo è, per l'appunto, di portare Alex a casa.



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12 settembre 2019 alle 10:30