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Sayonara Wild Hearts - recensione

Sayonara Wild Hearts è una strana chimera, composta da tanti elementi eppure incredibilmente dosata nelle proporzioni, tornita nelle forme e distinguibile nella sua stranezza. Un po' come quei sogni fatti di tante figure che poi, a conti fatti, si riesce a isolare e interpretare. La testa è un rhythm game, su questo non c'è dubbio. Ma abbiamo anche una coda da racing su corsie, una zampa da shooter e una criniera da videoclip musicale. In sintesi, il gioco ha un cuore da Arcade, un album pop in veste videoludica. Sicuramente è un indie sui generis.



Stando alle parole di Simon Flesser e Magnus Garderbäck (gli autori), non a caso tra le fonti d'ispirazione troviamo F-Zero e Out Run, che aveva raggiunto i nostri cabinati. Insieme a Space Harrier, Gradius, Rhythm Paradise, Wario Ware e Ouendan. Spaziamo dunque da un punto all'altro del panorama videoludico. Per quanto riguarda il design, invece, abbiamo Tron, Sailor Moon, Akira, antenne e cavi elettrici d'impronta nipponica, neon sfavillanti, mulini a vento (che fanno un po' Gorillaz) e ponti sul vuoto.



Per descriverlo si potrebbe partire da distanze siderali, insomma, ma si farebbe più confusione che altro. Giocando vien da pensare addirittura a Wipeout e alle cacce agli smeraldi in Sonic. In certi momenti persino a Robot Unicorn Attack, a cui è difficile non assuefarsi. Ci sono elementi di gameplay presi da questo e da quell'altro gioco: turbo, click ritmici, spostamenti su aree cilindriche e schivate da gestire col giusto tempismo.



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28 settembre 2019 alle 12:10