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Moons of Madness - recensione

Il genere horror, nei videogiochi, sta vivendo una seconda giovinezza. Se per anni, infatti, i suoi unici esponenti degni di nota sono stati i classici Resident Evil e Silent Hill, oggi ci troviamo letteralmente invasi da tutta una serie di sfumature e interpretazioni dell'orrore digitale che, con risultati più o meno convincenti, riescono a offrire una sana dose di brividi agli appassionati.



Più nello specifico, ultimamente, stiamo assistendo al proliferare di titoli basati sullo sconfinato e sempre intrigante universo lovecraftiano che, più volte, ha dimostrato di essere perfettamente attuale anche dopo quasi un secolo dal suo concepimento. Dopo Call of Cthulhu e The Sinking City, dunque, arriva Moons of Madness, la nuova fatica del piccolo team norvegese Rock Pocket Games, prodotta da Funcom (già artefici del bizzarro Secret World).



Nelle intenzioni degli sviluppatori, questo nuovo progetto avrebbe dovuto coniugare gli stilemi e i canoni classici della poetica di Lovecraft con un setting affascinante e spesso esplorato nel media videoludico: quello della superficie di Marte. Il Pianeta Rosso, infatti, data la coltre di mistero che tipicamente lo avvolge, rappresenta un terreno fertile per un male oscuro e imperscrutabile come quello rappresentato dai Grandi Antichi che attendono nascosti appena oltre il "velo di Maya" e tramano complotti che la mente umana non può nemmeno concepire.



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25 ottobre 2019 alle 16:10