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Need for Speed: Heat - recensione

C'è stato un periodo storico in cui il nome di Need for Speed era associato all'assoluta eccellenza nel campo dei racer arcade. Nata su 3DO nel 1994, ma divenuta celebre su PlayStation, la serie conta circa 26 capitoli che, nel corso del tempo, sono giunti su praticamente qualsiasi piattaforma apparsa sul mercato riuscendo a ritagliarsi una nutrita schiera di appassionati. Il momento di massimo splendore, però, arriva tra il 2003 e il 2004, quando Electronic Arts ha pubblicato quelli che ancora oggi sono ritenuti i migliori esponenti del brand: i due Underground. Questi ultimi hanno avuto il merito di far conoscere la serie al grande pubblico che ne ha apprezzato le ambientazioni, il gameplay stratificato ed incredibilmente divertente e le molteplici opzioni offerte dalle meccaniche legate al tuning.



Impossibile dimenticare tutte le ore passate, tanto tempo fa, a sfrecciare tra le strade di Bayview a bordo del veicolo che avevamo minuziosamente modificato fin nei più piccoli dettagli con "Riders on the Storm" dei Doors come sottofondo. Si trattava di una formula vincente che coniugava un setting ispiratissimo e liberamente esplorabile con un gameplay accessibile ma che non rinunciava a dare al giocatore la possibilità di personalizzare a fondo la propria vettura prima di lanciarsi nelle gare sparse nella città. Da allora, tuttavia, la serie di EA ha sofferto di pochi alti e tantissimi bassi proponendo a cadenza quasi annuale moltissimi episodi del brand che, purtroppo, poco avevano da spartire con la grandezza dei due Underground. È vero, ci sono stati Most Wanted e Carbon che erano giochi buoni, tutto sommato, ma nulla di paragonabile a ciò che avevano rappresentato i titoli precedenti.



Da quel punto in poi, Need for Speed ha tentato escursioni in quasi ogni ambito possibile: ci sono stati ProStreet e Shift che hanno trasposto la serie nel mondo delle corse legali su circuito, il mediocre Undercover che ci metteva nei panni di un agente di polizia sotto copertura o il pessimo The Run che associava ad una trama quanto meno interessante una formula ludica semplicemente da dimenticare. Insomma, sembrava che l'IP di racing arcade di EA avesse perso la propria identità non riuscendo più a fare breccia nei cuori dei fan come un tempo.



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8 novembre 2019 alle 10:10